Tendo a osservare ciò che mi circonda, ad ascoltarmi e cogliere i segni dell’universo. Intervista esclusiva con Michela Zanarella

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Michela Zanarella è nata a Cittadella (PD) nel 1980. Ha pubblicato diciassette libri. Negli Stati Uniti è uscita in edizione inglese la raccolta tradotta da Leanne Hoppe “Meditations in the Feminine”, edita da Bordighera Press (2018). Giornalista, autrice di libri di narrativa e testi per il teatro, è redattrice di Periodico italiano Magazine e Laici.it. Le sue poesie sono state tradotte in molte lingue.

L’Idea Magazine: Buongiorno Michela. Dal 2006 ad oggi, hai pubblicato ben diciassette raccolte di poesie. È vero che cominciasti a scrivere solo dopo un grave incidente stradale?
Michela Zanarella: Buongiorno Tiziano, è proprio così. Nel 2001 andando a lavoro sono stata investita da una macchina. Era una mattina nebbiosa, non si vedeva nulla. Stavo attraversando la strada in sella alla mia bicicletta, molto probabilmente chi era alla guida non mi ha proprio visto, perché la visibilità era quasi nulla. Fui agganciata dalla macchina al manubrio della bici e sbalzata in aria. Mi trovai al centro della strada completamente sanguinante. Ricordo che sentii una voce che mi disse di alzarmi, ma dal lato opposto della strada non c’era nessuno. Mi ritrovai in piedi, e un secondo dopo un tir travolse la bici. Poi persi conoscenza e iniziò un duro percorso di recupero e riabilitazione dell’uso degli arti durato quasi due anni. Oltre al trauma cranico che mi scosse profondamente. Nel 2004 ho iniziato a scrivere le prime poesie, consapevole che qualcosa in me era cambiato. Non ero più sola, ma avrei dovuto imparare molte cose di me che ancora non avevo mai affrontato. La scrittura è arrivata in un momento difficilissimo, mi ha aiutato a superare ostacoli e a capire l’importanza di ogni istante. Da allora la poesia è diventata la mia luce, la mia guida.

L’Idea Magazine: Di queste raccolte, una è stata anche pubblicata in traduzione dai nostri amici di Bordighera Press nel 2018, proprio qui a New York. Puoi parlarcene un poco? [inserisci pure una poesia in inglese, se vuoi]
Michela Zanarella: Questa raccolta in edizione bilingue inglese/italiano con traduzioni di Leanne Hoppe è arrivata in modo inaspettato. Leanne mi contattò tramite mail dicendo che aveva letto alcune delle mie poesie in rete e ne era rimasta molto colpita. Mai avrei potuto immaginare di essere apprezzata da così lontano. Con la sua docente della Boston University scelse di lavorare alla traduzione di miei testi da un libro che pubblicai nel 2011 “Meditazioni al femminile”. Tra noi iniziò una fitta corrispondenza, poi lei decise di venire a Roma per conoscermi. Dopo due anni di lavoro arrivò “Meditations in the feminine” con Bordighera Press, una delle realtà editoriali indipendenti più interessanti nel panorama italoamericano, fondata nel 1989 da Fred Gardaphé, Paolo Giordano e Anthony Julian Tamburri. Nello stesso catalogo ci sono nomi importantissimi della poesia contemporanea italiana come Dacia Maraini, Silvio Ramat, Paolo Ruffilli, per citarne alcuni. Vorrei scegliere una delle poesie incluse nel volume in inglese:

Spark of life

In these bones
I travel
and I carry with me
the little sparks of life.
I unearth heat,
take in breath,
I love.
I want
to stay in this skin,
I want it to remain
magic
in destiny.
I want you to erupt
out of me
and I want to know
the taste of the sea.

L’Idea Magazine: Il tuo ultimo libro, “Recupero dell’essenziale”, che è stato appena pubblicato, è frutto di un recupero di poesie andate perdute. Puoi dirci di più al proposito?
Michela Zanarella: Il libro nasce da un recupero vero e proprio di inediti andati persi per un guasto irreversibile al computer. Sono riuscita a ritrovare parte dei testi grazie all’aiuto di alcuni amici, a cui avevo inviato le poesie in lettura. Fortunatamente invio spesso ciò che scrivo ad un gruppo fidato di persone che mi seguono e apprezzano. In questo caso sono stati: Felicia Buonomo, Corrado Solari, Fiorella Cappelli e Giovanni Battista Quinto a salvare una parte della mia produzione poetica. Senza di loro questo libro non avrebbe mai preso forma. Quindi a loro devo un grazie infinito. Tra le poesie ‘recuperate’ troverete anche questa:

Esiste una lingua segreta che s’impara
origliando ai piedi dell’erba
sottoterra c’è una folla di ombre sepolte
rugiade strette che vogliono tornare
sale su per le radici la grammatica dei papaveri
sosta come respiro tra le labbra il sogno di fiorire
il sole varia la sua voce a seconda della luce
cede la parola al silenzio ed è petalo sanguigno
che osa tramonti prima della sera.

L’Idea Magazine: I tuoi molti libri sono stati tradotti, oltre che in inglese, anche in francese, spagnolo, arabo, portoghese, hindi, giapponese, albanese, tedesco, polacco, turco, cinese e uzbeko. Congratulazioni! Pensi che nelle traduzioni siano riusciti a trasporre appieno i tuoi sentimenti? Qual è stata la reazione nelle altre nazioni alla tua poesia? Ci sono stati contatti di lettori/lettrici dall’estero?Nelle tue presentazioni, leggi mai una tua poesia in traduzione?
Michela Zanarella: Mi considero molto fortunata, perché ho avuto l’opportunità di incontrare ottimi traduttori, alcuni di loro sono anche poeti, quindi consapevoli dell’importanza dei significati, della musicalità, del ritmo. Non è facile tradurre un testo, perché si rischia di andare a modificare il senso dei termini se non si ha una certa dimestichezza con la poesia. Ho sempre avuto riscontri molto positivi dai lettori di altre nazioni, la poesia se ben tradotta, riesce ad avvolgere, emozionare, arriva dritta al cuore, sono molto contenta degli attestati di stima che ho ricevuto negli anni. Ho avuto la possibilità di conoscere tante persone, di essere letta quasi ovunque. È un privilegio. In molte presentazioni internazionali ho letto anche in versione tradotta le mie poesie. La mia formazione mi ha dato anche gli strumenti per conoscere bene altre lingue. Parlo tedesco, francese e inglese.

L’Idea Magazine: Si parla molto, ovviamente, delle tue poesie, ma tu hai scritto anche testi per il teatro, alcune canzoni e diversi racconti.  I tuoi testi teatrali sono stati mai messi in scena? I tuoi racconti sono apparsi in qualche antologia, suppongo…
Michela Zanarella: Alcuni dei miei testi teatrali sono stati rappresentati in molti teatri italiani. Ho la fortuna di avere un compagno regista e attore che mi ha aiutato molto. Avere una guida esperta nel settore è importantissimo. Tra i monologhi a cui tengo maggiormente cito “Tragicamente rosso” diretto da Giuseppe Lorin, interpretato da Chiara Pavoni, con le musiche del maestro Mauro Restivo. È un testo contro la violenza sulle donne, incluso anche in un libro omonimo, in cui ho affrontato il tema della violenza in poesia sotto diversi aspetti, non solo violenza di genere, ma esclusione sociale, violenza verso l’ambiente, violenza psicologica, oltre alla tragica ferita rimasta indelebile nella storia con la Shoah. Abbiamo portato il monologo nei teatri, nelle piazze, nelle scuole per ben cinque anni, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica su un argomento purtroppo sempre attuale. Per i racconti, invece, ho pubblicato un quadernetto nel 2009 “Convivendo con le nuvole”, che ebbe un discreto seguito; molti altri sono stati pubblicati in antologie. La poesia resta comunque la mia priorità.

L’Idea Magazine: Da dove trai ispirazione per le tue poesie? Ci sono poesie che ti hanno fatto soffrire a scriverle?
Michela Zanarella: Tendo a osservare ciò che mi circonda, ad ascoltarmi e cogliere i segni dell’universo. La mia poesia si nutre di simboli, corrispondenze, trae linfa espressiva dagli elementi della natura. Alcune poesie mi hanno procurato non sofferenza, ma uno stato di svuotamento interiore, ripercorrere certe immagini, certi ricordi, non è stato semplice. Ma fa parte di un percorso, credo, necessario. Dovevo entrare in profondità, accettare certe esperienze, rinnovarle.

L’Idea Magazine: Ma tu hai anche un romanzo nel cassetto in attesa di pubblicazione…
Michela Zanarella: È lì da tanto tempo, sospeso in un limbo. Ho quasi paura di pubblicarlo, perchè dentro c’è molto di me, non so se avrò la forza di fare questo passo. Tutte le mie ferite sono tra le pagine, affronto temi sicuramente attuali, che magari appartengono a tante donne. Chissà se avrò abbastanza coraggio. Temo più me stessa che il giudizio dei lettori.

L’Idea Magazine: Nel 2018 sei stata eletta Presidente della Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo. Che importanza ha per te questo onore?
Michela Zanarella: La Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo Associazione di Promozione Sociale RIDE -APS, con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), riunisce associazioni ed enti pubblici e privati (profit e no-profit) e opera al fine di realizzare i principi della Carta delle Nazioni Unite e, a livello europeo, e gli obiettivi del partenariato euro-mediterraneo contenuti nella Dichiarazione di Barcellona del novembre 1995, coerentemente con gli obiettivi della “Fondazione Euro-mediterranea Anna Lindh per il Dialogo tra le Culture” (FAL, o secondo la dicitura inglese Anna Lindh Foundation-ALF) della quale la RIDE-APS si costituisce come “Rete Italiana”.

La RIDE-APS, in collaborazione con le istituzioni pubbliche e private, gli organismi non governativi e della società civile operanti in Italia, promuove il dialogo tra i popoli e gli Stati, in special modo nello spazio euro-mediterraneo, aderenti ai principi e finalità della Costituzione italiana, della Dichiarazione universale dei Diritti umani del 1948, dell’Unione per il Mediterraneo (UpM). La nostra mission consiste nel promuovere iniziative nel quadro della cooperazione allo sviluppo e della solidarietà internazionale; promuovere il dialogo tra i popoli e le realtà culturali, all’insegna delle rispettive identità e della reciprocità, con particolare attenzione all’area euro-mediterranea; tutelare e valorizzare beni comuni di interesse artistico e storico in Italia e nei Paesi del Mediterraneo; favorire l’incontro, il collegamento, il coordinamento e la cooperazione fra tutti i soggetti e le organizzazioni della società civile che operano in Italia per il dialogo euro-mediterraneo e lo scambio di buone pratiche. Mi onora essere stata eletta, perchè è un incarico che richiede responsabilità e fiducia da parte dei soci membri. Essere impegnata in un contesto di rilievo internazionale, mi conduce a mantenere un equilibrio diplomatico e ad imparare l’ascolto assoluto.

L’Idea Magazine: Sei anche stata nominata Extraordinary Ambassador for Naji Naaman’s Foundation for Gratis Culture. In che cosa consiste questa nomina? 
Michela Zanarella: Nel 2016 vinsi il premio “Creativity Prize” nel prestigioso concorso internazionale Najj Naaman, che porta il nome dello scrittore e umanista libanese che lo ha ideato. Nello stesso anno mi nominarono ambasciatrice culturale per l’Italia. Cerco di valorizzare i talenti italiani, facendo conoscere i poeti del nostro Paese, tradotti anche in altre lingue. Un bellissimo incarico che negli anni mi ha dato la possibilità di dare voce a tanti giovani, ma anche a tante voci di spessore.

L’Idea Magazine: Quali sono le tue funzioni in seno all’associazione “Le Ragunanze”?
Michela Zanarella: L’Associazione di Promozione Sociale “Le Ragunanze” è formata da persone che intendono promuovere e impegnarsi nella diffusione della Cultura e dell’Arte in tutte le sue espressioni. L’Associazione si ispira ai principi del libero associazionismo, è apolitica e non persegue finalità di lucro.
“Ragunanza” è stato un vocabolo quotidiano dell’epoca barocca e significava “radunanza”, raduno di più persone, in principal modo individui di qualsiasi espressione artistica. Era un termine che designava l’incontro di più artisti che mostravano agli astanti quanto l’ingegno, se ben guidato, poteva produrre. Ed è proprio, seguendo le orme di Cristina di Svezia, ideatrice dei raduni degli artisti con la sua Arcadia, che l’Associazione di Promozione Sociale intende ripristinare gli antichi incontri denominati “Le Ragunanze”, valorizzando nel contempo l’ambiente, il territorio, il genio artistico, espressione di qualsiasi forma d’Arte. Da ben otto anni organizziamo il concorso letterario internazionale “Le Ragunanze” con i patrocini di Consiglio Regionale del Lazio, Roma Capitale XII Municipio, Ambasciata di Svezia, Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, Golem Informazione, Associazione Culturale Euterpe, Leggere Tutti, ACTAS, Premio internazionale di Poesia & Narrativa Città di Latina, WikiPoesia. Abbiamo cercato di valorizzare il territorio e il quartiere Monteverde, nel cuore di Roma, premiando l’arte, la cultura e la bellezza.

L’Idea Magazine: Potresti parlarci un poco del Gruppo di Esplorazione Letteraria Poeti Emozionali?
Michela Zanarella: Il gruppo è nato da un’idea dello scrittore Domenico Garofalo, durante la pandemia. È riuscito a riunire scrittori con stili diversi provenienti da varie regioni, uniti dalla stessa passione per la poesia. Possiamo definirci amici scrittori accomunati da affinità letterarie ed emotive nella creazione delle liriche, delle emozioni provate durante lo scrivere o nel declamare versi. Esploratori dell’anima che amano guardarsi dentro per migliorarsi. Siamo: Antonio Corona, Johanna Finocchiaro, Francesco Nugnes, Domenico Garofalo, Immacolata Rosso ed io.

L’Idea Magazine: Molti dei nostri lettori, e anche ad un paio dei nostri giornalisti, saranno molto orgogliosi che tu sia originaria della provincia di Padova. Ti sei però spostata a Roma. Come mai?
Michela Zanarella: Sono nata a Cittadella, in provincia di Padova, ma sono cresciuta a Campo San Martino, piccolo paese della provincia di Padova. Ho vissuto lì fino al 2007, poi per amore, mi sono trasferita a Roma, dove vivo tuttora. Ho scelto di seguire il cuore, anche se poi la storia con la persona con cui stavo si è interrotta. Sono rimasta a Roma, e mi sono trasferita nel quartiere Monteverde, un quartiere verde, ricco di storia e cultura, dove mi sento accolta e apprezzata. Qui hanno vissuto, tra l’altro, alcuni dei poeti che amo, come Pier Paolo Pasolini e Giorgio Caproni. Mi emoziono ogni volta pensando che si sono ispirati tra queste strade, osservando gli stessi luoghi dove mi trovo anch’io.

L’Idea Magazine: Hai anche contribuito alla stesura di un romanzo, essendo uno degli otto co-autori del romanzo di Federico Moccia “La ragazza di Roma Nord”. Da che cosa è nato questo progetto e a che cosa mirava?
Michela Zanarella: Il progetto è nato da un contest letterario organizzato dalla casa editrice SEM in collaborazione con Federico Moccia, che invitava i lettori a essere parte attiva del suo romanzo. Si poteva partecipare con poesie e racconti. Solo otto avrebbero potuto essere inseriti nel romanzo. La mia poesia rientrò tra gli otto testi meritevoli. Non avrei mai pensato di riuscire a superare la selezione tra migliaia di concorrenti. Quando mi telefonarono per darmi la notizia pensavo fosse uno scherzo. Invece era tutto vero. Fui inserita non solo con la poesia, ma sono diventata un personaggio in un capitolo del libro. Una bellissima emozione. Ho avuto anche l’onore di partecipare ad alcune presentazioni del libro insieme a Federico, una persona splendida, molto disponibile.

L’Idea MagazineCollabori con la redazione di Periodico Italiano Magazine, Laici.it e Brainstorming Culturale, oltre ad altre testate. Come sono nate nel corso degli anni queste collaborazioni e quali sono le differenze sostanziali tra queste testate e, di conseguenza, il tuo rapporto letterario?
Michela Zanarella: Con Periodico Italiano intrapresi un percorso di formazione in redazione per diventare giornalista pubblicista. Devo molto agli insegnamenti di Vittorio Lussana, direttore, e Francesca Buffo, capo redattore. Mi hanno insegnato una professione che richiede passione, impegno e costante approfondimento. Dal 2018 sono quindi pubblicista iscritta all’ordine dei giornalisti del Lazio, e ho continuato a scrivere recensioni, interviste, per Periodico Italiano, Laici e altre testate. Con Brainstorming Culturale diretto da Annalisa Civitelli mi occupo della recensione di libri. La scrittura giornalistica è completamente diversa dalla poesia, quindi ho dovuto fare una separazione netta dalla mia dimensione poetica. È stato un percorso duro e faticoso, ma ho capito le tecniche e le regole richieste, studiando, leggendo e scrivendo molto.

L’Idea Magazine: È vero che ci sono in corso di creazione anche un podcast e un canale TV da parte tua?
Michela Zanarella: Si, grazie al lavoro del mio webmaster Alessandro Bagnato, che ha curato la grafica e i contenuti del mio sito ufficiale www.michelazanarella.it ho scelto di mettermi in gioco per dare voce e spazio anche ad altri artisti. Ho dato il via a due rubriche “Scrivimi” dove realizzo delle brevi interviste a scrittori, artisti, performers, e “Liberi”, dove ospito i versi di poeti contemporanei nazionali e internazionali. La sezione podcast è in via di sviluppo e conterrà interviste audio e video.

L’Idea Magazine: Se tu potessi incontrare un personaggio del passato, o anche del presente, chi sarebbe e che cosa chiederesti?
Michela Zanarella: Se potessi, del passato vorrei incontrare Pier Paolo Pasolini, perchè chissà quante cose avrebbe da raccontare ancora. Gli chiederei cosa pensa del nostro tempo, del governo attuale e dell’Italia in genere. Sarebbe stato un bel confronto. Avremmo parlato a lungo di poesia, di vita e morte. E poi Alda Merini, donna e poeta immensa. Mi affascina molto la vita dei poeti, soprattutto di chi si è spinto oltre, senza nascondere mai la propria identità. Del presente vorrei incontrare due persone: Gabriele Galloni, giovane poeta, scomparso prematuramente. Ci siamo scritti tante volte, ma non sono mai riuscita  a incontrarlo. Poi Marcella Continanza, splendida voce della poesia contemporanea, giornalista e ideatrice del Festival della poesia europea di Francoforte sul Meno. A lei ho dedicato il mio ultimo libro “Recupero dell’essenziale”. Ci siamo sempre telefonate per anni, siamo diventate grandi amiche, ma anche con lei non c’è stato mai l’incontro.

L’Idea Magazine: Quando incontri un’altra persona, qual è il pregio che ti attira di più e qual è il difetto che ti da più fastidio?
Michela Zanarella: Mi attira la spontaneità, l’umiltà. Mi dà molto fastidio la troppa saccenza, la presunzione.

L’Idea Magazine: Se dovresti definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Michela Zanarella: Curiosa, timida, generosa.

L’Idea Magazine:  Sogni nel cassetto?
Michela Zanarella: I sogni sono tanti, ma resto dell’idea che sia giusto vivere senza troppe aspettative. Mi accontento di stare bene, di avere a fianco le persone che amo, di continuare a coltivare le mie passioni.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Michela Zanarella: Cercate di ascoltarvi e di prestare ascolto anche agli altri, amarsi è il primo passo per amare il mondo. E se potete non rinunciate mai a ciò che vi fa stare bene.

Ho ritrovato una parte delle mie radici nella cura degli alveari. Intervista esclusiva con l’autore e apicoltore Francesco Colafemmina.

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Francesco Colafemmina è nato a Roma nel 1980. Laureato in filologia  classica ha frequentato la scuola di giornalismo della RAI per poi dedicarsi  all’attività imprenditoriale nel settore dell’energia e dell’agricoltura  sostenibile. I suoi interessi spaziano dal mondo classico all’arte e alla  spiritualità. Continua  ad associare l’attività pubblicistica al proprio impegno verso l’ambiente,  attraverso la sua azienda di apicoltura biologica. 

L’Idea Magazine: Buongiono Francesco. Tu possiedi un azienda di apicoltura biologica.Come sei arrivato dalla frequentazione della scuola di giornalismo della RAI all’attività imprenditoriale nel settore dell’energia e dell’agricoltura sostenibile?
Francesco Colafemmina: Buongiorno a voi, e grazie per il vostro interesse. È certamente una lunga storia, ma diciamo in premessa che in un mondo sempre più analitico, dove la specializzazione fa l’individuo, continuo a professare l’ideale rinascimentale dell’uomo che al mattino cura i suoi campi, il pomeriggio discute della politica del suo paese, e a sera si immerge negli studi. Qualcosa del genere… Sono sempre stato refrattario agli ordini di scuderia, alle obbedienze e ai conformismi, perciò ho preferito dedicarmi alla consulenza aziendale in una fase molto dinamica della mia vita, quando viaggiavo di qua e di là, esplorando una settimana le terre della Tessaglia per realizzare impianti fotovoltaici, quella successiva le colline attorno a Costanza sul Mar Nero per issare anemometri per l’eolico, e l’altra ancora volando nell’isola di Terranova per un convegno sul trasporto del gas compresso. Dopo diversi anni mi sono reso conto che i paesaggi, i campi ora fioriti ora arati esercitavano su di me un profondo richiamo alle origini, alla civiltà dei miei nonni. La scoperta delle api, della loro società ordinata e coesa, è stata poi una vera e propria rivelazione. Ho lasciato tutto il resto e ho ritrovato una parte delle mie radici nella cura degli alveari.

L’Idea MagazineNel 2017, per ‘Apinsieme-Rivista Nazionale di Apicoltura’, hai pubblicato “Le Api e Noi”, una approfondita storia sociale delle api e del miele. Ti affascinano molto le api?
Francesco Colafemmina: Sono creature meravigliose, fatte di perfezione. Alle volte mi capita di contemplarne una ferma sulla mia mano per un’improvvisa esigenza di riposo. La osservo e rifletto su quanto l’essere umano sia per molti versi una creatura irrisolta, imperfetta, spesso una minaccia per se stesso e per le altre creature. L’ape no. L’ape è l’emblema di una intelligenza superiore che anima il cielo e la terra. E infatti questo piccolo insetto racchiude in sé il mistero di entrambi i mondi, del sole che trae a sé i fiori, della terra che li nutre. E realizza un prodotto unico, straordinario, come il miele, dolce sintesi di estati e primavere.

L’Idea Magazine: Oltre a ciò, tu continui con la tua attività di giornalista pubblicista e, chiaramente, di autore. Essendo laureato in filologiaClassica, il tuo libro del 2007, “Dialoghi con un Persiano di Manuele II Paleologo” mi sembra tratti di un argomento ben mirato. Potresti parlarcene?
Francesco Colafemmina: In uno dei miei tanti viaggi in Grecia, quando esisteva ancora Alitalia e distribuiva i quotidiani in volo, mi capitò fra le mani una copia del Corriere della Sera che riferiva di una lectio magistralis di papa Benedetto XVI a Ratisbona nella quale il grande teologo rimarcava come le radici del Cristianesimo affondassero anche nell’ellenismo e citava questi sconosciuti dialoghi dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo. Appena misi piede a terra chiamai un mio amico che lavorava per Rubbettino e gli proposi di pubblicare una traduzione inedita di quei dialoghi. Fu una esperienza entusiasmante. Benedetto XVI richiamava, sulla scorta di Manuele II, la dimensione di intima convinzione spirituale racchiusa nella conversione: opera del cuore e della ragione, non della costrizione o della spada. L’imperatore bizantino era all’epoca dei suoi dialoghi ostaggio del Sultano e discettava di religione con un dotto musulmano persiano, ma non aveva difficoltà nel sottolineare le storture di una religione imposta con la violenza e la sottomissione. All’epoca la prolusione del papa suscitò aspre critiche ma anche numerosi consensi nello stesso mondo musulmano. Tuttavia, a distanza di quattordici anni da quel momento, sembra che tutto sia finito nel dimenticatoio, e non perché gli eccessi del fondamentalismo siano spariti, ma perché il nostro mondo sembra aver sostituito ormai la fede in una religione con i tanti talismani tecnologici che ingombrano le nostre esistenze, e le plasmano costringendole a tenere gli occhi rivolti verso il basso, verso uno schermo, sicché la fede sembra svanire in una vaga memoria del passato. Gli antichi dicevano: motus in fine velocior. Un’accelerazione terminale della nostra civiltà.

L’Idea Magazine: Trovi difficoltà a gestire l’aspetto imprenditoriale e ritenere la tua attività di scrittore oppure essere immerso nella natura ti aiuta a creare ancor più?
Francesco Colafemmina: Certamente aiuta a riflettere. L’apicoltura è mestiere solitario e anarcoide, simile alla pastorizia per molti versi. Chiaramente nella fase produttiva, da marzo a luglio, è molto difficile combinare le due cose, fra viaggi notturni con le api alla ricerca di nuovi pascoli, e mattutine visite agli alveari, posa e ritiro dei melari, smielatura, etc. Tuttavia quei mesi sono come un lievito. Qualcosa matura dentro, mentre senti il vento sul viso, mentre sudi sotto il sole, mentre aggrotti la fronte per una puntura inaspettata. Ma la scrittura non è un mestiere, è una passione – per ritornare all’uomo rinascimentale. Per certi versi anche l’apicoltura lo è. Quindi le cose sono molto più intrecciate di quanto possa sembrare.

L’Idea Magazine: Hai seguito nel 2010 con l’inchiesta artistico-giornalistica “Il Mistero della chiesa di San Pio”. Di che mistero si tratta?
Francesco Colafemmina: È il mistero della simbologia “esoterica” di molte opere d’arte e d’architettura sacra che non nascono in un contesto religioso, ma laico o addirittura anticattolico.  Per alcuni anni ho gestito un blog di successo dedicato all’arte e all’architettura sacra. Una esigenza nata a partire da esperienze di personale orrore dinanzi a chiese che sembrano hangar o opere d’arte sacra che sembrano caricature dell’arte. Il santuario di San Pio a San Giovanni Rotondo, realizzato dall’archistar Renzo Piano, mi parve un esempio straordinario di questo corto circuito fra committente ed artista/architetto, che altera in maniera definitiva il significato di uno spazio o di un’opera che dovrebbero invitare alla preghiera e che in realtà assumono i tratti individualistici e micragnosi delle laicissime forme d’arte e architettura contemporanee. Ma anche qui il vento è cambiato da un giorno all’altro. E la confusione è cresciuta così tanto che un giorno ho deciso di cancellare per sempre il blog. Ne resta sostanzialmente questo libro inchiesta, quale frutto più maturo.

L’Idea Magazine: Sempre stando nell’era classica, hai anche pubblicato “Storia del Matrimonio nella Grecia classica”. Non mi sarei mai immaginato che un soggetto tale potesse avere diramazioni sufficienti per un libro… Come ti è sorta l’idea per il libro e quanta ricerca hai dovuto fare al proposito?
Francesco Colafemmina: Perché ci sono numerosissimi pregiudizi a riguardo. Pregiudizi contemporanei sui costumi sessuali degli antichi e sulla creazione “religiosa” del vincolo matrimoniale. In realtà, se scaviamo nel passato, scopriamo che talune istituzioni fondamentali come il matrimonio sono radicate nella civiltà greco-romana, con legami simbolici fortissimi e tuttora operanti, come il velo o l’anello.  E i costumi degli antichi non erano poi così rivoluzionari come si tende a pensare. La libertà sessuale era riservata ad una ristretta cerchia aristocratica, la stessa che la accreditava attraverso la letteratura o la filosofia. Il popolo, la massa anonima, era spesso molto più bigotta di quanto si possa immaginare. D’altro canto è questo uno dei segni caratteristici delle civiltà contadine.

L’Idea Magazine: “La Democrazia di AteneStoria di un mito” è il tuo libro del 2020. Intende essere un punto di riferimento per chi studia la storia della democrazia o della Grecia antica?
Francesco Colafemmina: Non direi, non ho simili pretese. Ma di sicuro non esisteva in Italia un testo che ricostruisse le origini e lo sviluppo della democrazia ateniese seguendo un po’ le tracce della grande scuola elitista italiana (quella per intenderci di Mosca, Pareto e Michels). L’assunto di fondo è che il sistema democratico – cosa in generale condivisa dagli storici – non fu mai una creazione dal basso, ma una composizione di interessi elitari. Dalla mia analisi emerge inoltre che le élites che “inventarono” la democrazia ateniese erano élites ribelli rispetto all’aristocrazia terriera classica. Permeate dallo scetticismo e dal razionalismo della sofistica, in un rapporto osmotico con la cultura del grande antagonista degli Elleni, l’impero Persiano, strutturarono una forma politica creativa e in perpetuo divenire, ma assai meno stabile e “democratica” di quanto possa sembrarci. Così anche oggi che viviamo in democrazie “formali” non possiamo accontentarci di una formula, di un meccanismo apparentemente in grado di rappresentare i cittadini, perché oggi tutte le democrazie occidentali sono minacciate dalla tecnica, da nuovi pervasivi metodi di controllo che limitano o sono in grado di limitare le nostre libertà fondamentali. Così lo studio del passato e delle sue contraddizioni può aiutarci a trovare una via per rimettere in equilibrio una pericolante struttura democratica, sempre più inclinata verso nuove tirannidi.

Il 14 gennaio del 1506 l’incontro con il Laocoonte trasformò Michelangelo in nuovo Enea. Prese su di sé l’eredità dell’antico e la tradusse in una forza nuova, talmente avanzata da confondere i suoi contemporanei. ENIGMA LACCOONTE analizza tutti gli ingranaggi di questa intricata vicenda, ne ricostruisce il contesto storico e culturale, richiamando la dimensione simbolica del Laocoonte e il suo messaggio spirituale e politico.

L’Idea Magazine: “Enigma Lacoonte” è il tuo ultimo libro, che possiamo definire un “giallo artistico”… Pensi di pubblicare anche una versione in inglese?
Francesco Colafemmina: Al momento non è prevista una traduzione, ma sarebbe certamente un valido strumento per ampliare la discussione sulle diverse questioni ancora aperte relative al Laocoonte vaticano.

L’Idea Magazine: Qual è il personaggio (o quali sono i personaggi) del passato che ti affascina(no) di più?
Francesco Colafemmina: Ve ne sono di innumerevoli. Chiunque ami la storia e la lettura per certi versi fa come Zenone di Cizico. Il grande filosofo stoico era in realtà un mercante di origini fenicie. Un giorno perse il suo carico di porpora in un naufragio, mentre lo aspettava nel porto di Atene. Così, decise di farsi indirizzare nella sua vita dall’Oracolo delfico. E la Pizia gli disse soltanto: “mettiti in comunicazione con i morti”. Con questo intendeva indicargli la riscoperta dei grandi sapienti del passato. Per certi versi ognuno di noi sa che il passato è un luogo abitato da intere comunità di amici. Ricordo ancora il mio professore di letteratura cristiana antica chiamare Omero “nonno” e Virgilio “zio”, come se fossero tutti membri di una nostra intima famiglia spirituale.

L’Idea Magazine: Nel 2011 hai anche pubblicato il tuo primo romanzo, “La Serpe fra gli ulivi”.  Dai libri di soggetto storico o eco-biologico, ambedue soggetti pertinenti ai tuoi studi e attività imprenditoriali, sei anche arrivato al romanzo. Che cosa ti ha spinto a scriverlo?  Qual è la trama?
Francesco Colafemmina: È un thriller sui generis ambientato in Puglia, scritto quando la Puglia si proiettava come regione del turismo e delle tradizioni, mentre in realtà sotto questa patina dorata si nascondeva spesso un mondo di corruzione e mafia, di droga e “allegra” imprenditoria. La Serpe fra gli Ulivi è un racconto di un microcosmo ancora molto attuale. E tra l’altro contiene una “profezia”: quella dell’elezione del papa latinoamericano…

L’Idea Magazine: Quest’anno è attesa la pubblicazione del tuo secondo romanzo, “Con lo stesso sguardo”. Di che cosa tratta?
Francesco Colafemmina: In realtà “Con lo stesso sguardo” uscirà forse nel 2022. A breve è invece attesa l’uscita di un altro romanzo, “La Guerra non è finita”. Un romanzo distopico che narra le vicende di una generazione di trentenni che improvvisamente, venuti a contatto con oggetti appartenuti ai loro nonni, iniziano a sognarli. E questi sogni si traducono in una rivoluzione, una “rivolta contro il mondo moderno”. Usciranno dalla gabbia del fatalismo, per accendere la fiammella della speranza.

L’Idea MagazineChi è lo scrittore o scrittrice al quale senti più affinità? E quale pensi ti abbia influenzato di più?
Francesco Colafemmina: Indubbiamente Dino Buzzati, scrittore che amo più di ogni altro, italiano e straniero. Ma oltre Buzzati ce ne sono molti altri, come ad esempio lo sconosciuto ai più Marcello Gallian, straordinario autore di romanzi dalle tonalità decadenti e a tratti surrealiste nel pieno degli anni ’30. E poi c’è la mia passione per la letteratura greca moderna, da Papadiamandis a Myrivilis, passando per poeti come Karyotakis e Sarandaris.

COLAFEMMINA SULLA COPERTINA DELLA RIVISTA “VATICAN”

L’Idea Magazine: Hai altri progetti letterari in lavorazione?
Francesco Colafemmina: A marzo per i tipi di Settecolori sarà pubblicata la mia traduzione di un capolavoro della letteratura neogreca, ‘Il Numero 31328” di Ilias Venezis. Un omaggio ai greci dell’Asia Minore vittime del genocidio del 1922. Un’opera piena di tristezza, intrisa di crudeltà, e nello stesso tempo carica di nostalgia e tenerezza che viene per la prima volta proposta ai lettori italiani dal 1931, anno della sua prima pubblicazione.

L’Idea Magazine: Qual è il libro scritto da te con cui ti identifichi di più, e perché?
Francesco Colafemmina: Una bella domanda! Certamente i romanzi sono i luoghi della scrittura nei quali si racconta molto di sé, e si è più liberi di lasciare tracce che poi il lettore dovrà seguire.

Alle volte la solitudine può essere una opportunità.

L’Idea Magazine: Si parla di ‘sindrome da isolamento’ causata da Covid. Tu ne hai risentito?
Francesco Colafemmina: Grazie alle api ho sofferto poco di questa sindrome. La libertà di movimento ha permesso all’apicoltore di continuare indisturbato i propri spostamenti notturni di alveari, di colloquiare con la natura e di impegnare all’aria aperta i propri giorni. Un grande astrologo francese che nel 1993 predisse la pandemia, André Barbault, parlava tuttavia in relazione al 2020 di un momento di grande “introspezione” dell’uomo. Alle volte la solitudine può essere una opportunità. Mi rendo tuttavia conto che la solitudine forzata sia stata per molti di noi soltanto uno spreco, condita com’era da angosce, incertezze e paure costantemente alimentate da ogni mezzo di comunicazione. Il fatalismo ci avvince, e la speranza si rifugia nel sogno.

L’Idea Magazine: Se tu avessi l’opportunità di parlare con un individuo del passato, chi sarebbe e che cosa chiederesti?
Francesco Colafemmina: Mi piacerebbe incontrare Solone e potergli chiedere cosa esattamente gli dissero i sacerdoti egizi in merito alla vicenda di Atlantide. Naturalmente gli chiederei anche come sia riuscito a spianare la strada alla democrazia ad Atene. Poi finiremmo con l’invitare un po’ di amici al simposio, qualche bella flautista, e si chiacchiererebbe fino al mattino. Sveglio, mi renderei conto che è stato solo un sogno, ma almeno mi piacerebbe poter ricordare le sue parole su Atlantide…

L’Idea Magazine: Potresti cercare di definire te stesso con tre aggettivi?
Francesco Colafemmina: Curioso, testardo, sognatore.

Mi affido allo stupore che la vita mi riserva giorno per giorno.

L’Idea Magazine: Oltre l’apicoltura e la letteratura, hai altri interessi?
Francesco Colafemmina: Un tempo ballavo il tango; dopo diverse partner che non apprezzavano, ho appeso le scarpe al chiodo… Mi limito ad ascoltare la buona musica. E amo cucinare, naturalmente cucina greca…

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Francesco Colafemmina: Mi affido allo stupore che la vita mi riserva giorno per giorno.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Francesco Colafemmina: Coltivate la speranza, non smettete mai d’essere curiosi, ricercate sempre la bellezza.

Il prof. Gentile, chirurgo plastico di Tor Vergata, nella classifica Top Scientists dell’Università di Stanford. Intervista esclusiva.

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Nella classifica TOP SCIENTISTS, ranking dei migliori scienziati al mondo, appena pubblicata dalla Stanford University (August 2021 data-update for “Updated science-wide author databases of standardized citation indicators – published October 19, 2021), figura il Prof Pietro Gentile, Professore Associato di Chirurgia Plastica all’Università di Roma “Tor Vergata”. Lo studio condotto dal Prof. John Ioannidis, della Università di Stanford, ha analizzato ben 8,6 milioni di ricercatori di Università e Centri di ricerca di tutto il mondo, identificando gli scienziati che si sono distinti a livello mondiale per autorevolezza
scientifica sulla base del numero di pubblicazioni e di citazioni nelle relative aree disciplinari.
L’analisi dei dati bibliometrici ha consentito di creare una lista pubblicamente disponibile di oltre 100.000 scienziati di spicco, (2% del totale), classificati in 22 campi scientifici e 176 sottocampi, che fornisce informazioni standardizzate su citazioni, h-index, ed altri indicatori bibliometrici.
Il prof. dott. Pietro Gentile, che ci ha dato l’opportunita di intervistarlo, è stato inoltre identificato dall’agenzia di ranking americana ExpertScape come il miglior chirurgo plastico italiano 2021 e tra i primi 20 a livello mondiale.
Questi risultati evidenziano l’eccellenza e la rilevanza internazionale della ricerca scientifica italiana anche nell’ambito della chirurgia plastica.

L’Idea Magazine: Buongiorno Prof. Gentile. Essere riconosciuto come uno dei migliori dottori in chirurgia plastica del mondo deve essere averla riempita di orgoglio…
Prof. Pietro Gentile: Non posso negarlo! Anche se quello che mi rende più orgoglioso non è il titolo ma il riconoscimento a livello mondiale dei risultati dell’attività medico-scientifica svolta per oltre quindici anni di ricerca.

L’Idea Magazine: Che cosa Le ha fatto scegliere questo ramo della medicina?
Prof. Pietro Gentile: L’amore per l’arte e per la scienza: due mondi apparentemente opposti che la chirurgia plastica riesce incredibilmente ad unire. La chirurgia plastica è, infatti, l’unica branca della medicina che coniuga il rigore metodologico (proprio della scienza) al senso estetico (propria dell’arte).

L’Idea Magazine: Qual è stata per Lei l’operazione più complessa o difficile nel corso della Sua carriera?
Prof. Pietro Gentile: Dipende cosa si intende per complessità e difficoltà. Vede, a prescindere dalle difficoltà tecniche proprie di qualsiasi settore della medicina, nella chirurgia plastica il sanitario non solo deve garantire l’osservanza delle buone pratiche chirurgiche nel rispetto delle linee guida e dei protocolli scientifici, ma deve altresì riuscire a soddisfare le esigenze del paziente; ne consegue che le complessità e le difficoltà vanno di pari passo con il risultato auspicato dal paziente stesso. Venendo alla sua domanda, ho eseguito interventi di chirurgia plastica oggettivamente complessi ed innovativi in diverse parti del mondo che hanno richiesto precisione e professionalità, ma le posso assicurare che, al pari, anche interventi per così dire di routine possono nascondere complessità proprio in ragione del risultato da raggiungere. Il mio modo per ovviare alle difficoltà è stato quello di adottare un estremo rigore metodologico in ogni operazione dalla più semplice alla più complessa.

L’Idea Magazine: Lei ha pubblicato, tra le altre ricerche, una in particolare sull’uso del plasma arricchito di piastrine per trattare l’alopecia androgenetica a base ormonale. Potrebbe darci una breve spiegazione in merito?
Prof. Pietro Gentile: Mi rende orgoglioso aver pubblicato molti articoli scientifici su riviste internazionali ad alto impact factor anche sull’uso del PRP e di altre strategie rigenerative nell’alopecia androgenetica (AGA). Il PRP è un concentrato di fattori di crescita ottenuti dal proprio sangue, che ha dimostrato avere – in pazienti selezionati e ritenuti idonei – risultati statisticamente significativi nell’AGA di grado lieve/moderato: Circa il 60% dei pazienti trattati ha avuto risultati pienamente soddisfacenti. Ma, trattandosi di dati scientifici, è bene considerare anche l’altro lato della medaglia: infatti, un 20% di pazienti non ha avuto risultati così soddisfacenti, mentre un altro 20% non ha avuto miglioramenti. Una informazione che ritengo doverosa precisare è che il trattamento può essere eseguito in Italia soltanto in centri medici muniti di una specifica autorizzazione da parte del centro trasfusionale di riferimento, nel rispetto del Decreto Legge 2 Novembre 2015 (Legge sangue). Pertanto, invito i lettori interessati a ben documentarsi, anche sul possesso o meno di tale autorizzazione, prima di sottoporsi al suddetto trattamento medico.

L’Idea Magazine: Come possono essere usate le cellule staminali nella chirurgia plastica estetica e rigenerativa?
Prof. Pietro Gentile: Nella Chirurgia Plastica Rigenerativa, l’uso delle cellule staminali mesenchimali di derivazione adiposa (ricavate dunque dal proprio grasso) ha avuto un notevole incremento negli ultimi 10 anni. La procedura si basa su una liposuzione minimamente invasiva che consente di prelevare una doppia quantità di grasso. Una prima parte del grasso raccolto viene sottoposta a procedure di centrifugazione e filtrazione meccanica, procedure di manipolazione minima (legge 23 CE 2004 e successive) volte a isolare una sospensione di cellule vasculo sromali in cui sono contenute le staminali mesenchimali. Una seconda parte del grasso raccolto, viene arricchita con la sospensione cellulare e re-innestata nelle sedi di deficit dei tessuti molli.
Esempi di impiego possono essere, infatti, la ricostruzione mammaria, le cicatrici, deformità congenite o acquisite, esiti di ustione oppure motivazioni estetiche. In quest’ultimo caso, il grasso innestato, comunemente chiamato Lipofilling o Lipostructure, viene arricchito ed utilizzato – in pazienti selezionati – per l’aumento di volume del seno o per il rimodellamento mammario, per il ringiovanimento del volto, per l’aumento dei glutei o per il ringiovanimento delle mani. Negli ultimi anni ho notato che sono sempre più numerose le pazienti che prediligono l’utilizzo del grasso per l’aumento del seno (al posto delle protesi) in considerazione del risultato totalmente naturale ed armonico che tale pratica garantisce.

L’Idea Magazine: Lei pensa che in Italia siamo ormai all’avanguardia in questo settore?
Prof. Pietro Gentile: L’Italia è oggi – senza ombra di dubbio – tra i paesi al mondo più all’avanguardia nell’ambito della chirurgia plastica, ed il riconoscimento che personalmente ho ricevuto, essendo stato inserito nella “Top Scientist” sulla base delle pubblicazioni scientifiche realizzate in tale settore, ne è solo un piccolo esempio.

L’Idea Magazine: Riguardo l’estensione della chirurgia plastica, quando scelta puramente per scopi estetici, Lei pensa che ci possa essere un limite oltre al quale il medico non dovrebbe andare o la considera esclusivamente una scelta personale del paziente?
Prof. Pietro Gentile: Il Chirurgo Plastico deve necessariamente scoraggiare il paziente o la paziente quando vengono richiesti interventi chirurgici non indicati. In questi casi, non è etico assecondare il paziente pur di eseguire l’intervento richiesto, piuttosto è necessario trovare un giusto equilibrio tra ciò che viene chiesto durante la visita e ciò che davvero è indicato fare nel rispetto dei protocolli scientifici e delle linee guida.

L’Idea Magazine: Che cosa Le piace fare nel tempo libero, sempre ammesso che ne abbia?
Prof. Pietro Gentile: Com’è facile comprendere, tra l’attività di ricerca, gli interventi chirurgici e l’attività di divulgazione scientifica nei congressi internazionali, di tempo libero ne ho davvero poco! Cerco comunque di ritagliarmi degli spazi per svolgere attività fisica preferibilmente all’aria aperta e al sole – che consiglio a tutti come toccasana per stimolare l’ossigenazione dei tessuti e la rigenerazione cellulare – nonché per godermi la vita familiare con la mia compagna e con gli amici.

L’Idea Magazine: Se Lei potesse incontrare una persona del passato, o anche del presente, qualsiasi persona, chi sarebbe e che cosa Le piacerebbe chiedere?
Prof. Pietro Gentile: Nell’ordine: Chris Barnard, Neil Armstrong, Giulio Andreotti e mia madre. Al primo chiederei quanto ha davvero contato la fortuna e la velocità nel fare il primo trapianto di cuore ai fini della carriera. Ad Armstrong chiederei la sensazione che ha provato nell’attimo in cui ha messo il piede sulla luna. Ad Andreotti chiederei di poter sbirciare nei suoi “famosi” archivi. A mia madre – che non c’è più ed alla quale devo tutto – chiederei se è orgogliosa dei risultati che ho raggiunto.

L’Idea Magazine: Se Lei dovesse definirsi con tre aggettivi, quali sarebbero?
Prof. Pietro Gentile: Visionario, Ostinato, Perfezionista.

L’Idea Magazine: Un messaggio ai nostri lettori?
Prof. Pietro Gentile: Ho trasformato ogni avversità, ostacolo e rifiuto in opportunità; vi auguro di riuscire a fare lo stesso.

“Ero in realtà interessato alla scrittura, ma pian piano il morbo della batteria ha prevalso, in quei lontanissimi anni…” Intervista esclusiva con Francesco Cusa [L’IDEA MAGAZINE 2021]

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Francesco Cusa, batterista, compositore, scrittore, nasce a Catania nel 1966. Si trasferisce a Bologna nel 1989, dove si laurea al Dams nel 1994. Il suo percorso artistico lo porterà a suonare, negli anni, in Europa, America, Asia e Africa. Da sempre interessato all’interdisciplinarità artistica, è anche scrittore di racconti, romanzi e poesie.

L’Idea Magazine: Buongiorno Francesco. Allora, tu hai iniziato i tuoi studi musicali con il piano, poi sei invece passato alla batteria. Che cosa ti ha spinto al cambiamento?
Francesco Cusa: È stato del tutto casuale, giacché dopo il diploma chiesi in regalo una batteria per puro sfizio. Ero in realtà interessato alla scrittura, ma pian piano il morbo della batteria ha prevalso, in quei lontanissimi anni.

L’Idea Magazine: Da Bologna, dove ti sei laureato, il tuo percorso artistico ti ha portato in molte parti del mondo. Lo hai fatto sempre con il collettivo bolognese “Bassesfere”?
Francesco Cusa: Certamente, come musicista, una svolta è stata la mia decisione di trasferirmi da Catania a Bologna alla fine degli anni Ottanta, nella Bologna ancora pregna dell’humus della ricerca e intrisa di fermento. Erano gli anni della “Pantera”, delle lezioni al DAMS con Eco, Nanni, Celati, Clementi, Donatoni, gli anni della nascita di importanti collettivi artistici come quello di “Bassesfere”, di cui sono uno dei fondatori. È parte di un percorso che si dipana fra studi di batteria, concerti con Steve Lacy, Tim Berne, Kenny Wheeler, i tour per ogni dove, la creazione dei miei progetti da leader come “66sixs”, “Skrunch”, “The Assassins”, “Naked Musicians”, fondazione di una label e di un collettivo come Improvvisatore Involontario, l’insegnamento in conservatorio… Bassesfere ha rappresentato simbolicamente il senso del collettivo artistico, ancora prassi e laboratorio in quei fervidi anni.

L’Idea Magazine: Potresti parlarci del progetto artistico “Improvvisatore Involontario”?
Francesco CusaImprovvisatore Involontario nasce da una duplice esigenza. Da un lato la necessità di produrre musica senza dover “dipendere” dalle scelte di altre label (o dagli eventuali rifiuti). Dall’altra da una passione viscerale per le musiche contemporanee, nel tentativo di fare emergere ciò che continuerei a definire “underground”, senza tema di smentita. Per molti anni siamo stati un collettivo aperto, e abbiamo avuto decine e decine di iscritti da tutto il mondo. Poi, dopo esperienze memorabili, quale l’organizzazione di un tour americano e di tantissime rassegne, abbiamo deciso di esistere in quanto label, attualmente gestita da me, Mauro Medda e Paolo Sorge.

fc and the assassins

L’Idea Magazine: In questo momento fai parte di vari gruppi jazzistici…
Francesco Cusa: Attualmente sono leader dell’FCT TRIO con Tonino Miano e Riccardo Grosso, del FRANCESCO CUSA & THE ASSASSINS con Domenico Caliri, Giovanni Benvenuti, Ferdinando Romano, dell’ensemble: “NAKED MUSICIANS”, del progetto di sonorizzazione di film d’epoca “SOLOMOVIE”, dello spettacolo “DRUMS & BOOKS”, co-leader dei THE LENOX BROTHERS (Cusa/Mimmo/Martino) dei “THE BLACK SHOES” in duo con la flautista Giorgia Santoro, e dello spettacolo musical-teatrale “MOLESTA CRUDELTÀ”. in trio batteria e voce insieme alle attrici Alice Ferlito e Laura Giordani.  Il mio Naked Musicians” è un metodo di conduction musicale che è stato realizzato in varie parti del mondo e da cui è stato tratto anche un libro di teoria musicale sulla “conduction”, chiamato, appunto “Naked Performers”.

L’Idea Magazine:Il tuo NAKED PERFORMERS: “Elementi di Conduction” è un libro di teoria musicale. A che cosa fa riferimento?
Francesco CusaNaked Musicians è una forma di orchestrazione e direzione dell’improvvisazione collettiva, che rinforza il sottile legame fra la tradizione della musica classica e quella del jazz creando uno spazio intermedio tra la notazione e l’improvvisazione, nonché permettendo l’acquisizione di nuove competenze e prospettive. Tramite ciò è possibile identificare e sfruttare i punti deboli e quelli di forza di entrambi e rappresentare le limitazioni che hanno fra loro. Naked Musicians è un vocabolario di segni ideografici e gesti utilizzati per costruire un arrangiamento o una composizione in tempo reale. Ogni simbolo trasmette informazioni per l’interpretazione da parte del musicista o del collettivo in modo da dare le possibilità di modificare armonie, melodie, ritmi, articolazioni, un fraseggio o forme.

L’Idea Magazine: Componi anche musica, mi pare…
Francesco Cusa: Sì certo, da sempre.

L’Idea Magazine:Nella composizione di brani musicali, chi è stato il musicista che ti ha influenzato di più?
Francesco Cusa: Tim Berne senza dubbio, ma come non citare anche Zappa, Bartok, la musica seriale, ecc. In Italia sono stato fortunato ad avere studiato con Alfredo Impullitti e Domenico Caliri.

L’Idea Magazine: Insegni anche al Conservatorio di Reggio Calabria, dopo molti anni di insegnamento presso i conservatori di Benevento, Monopoli, Frosinone, Lecce. Trovi una differenza sostanziale nell’insegnare la batteria jazz con, per esempio, la batteria rock and roll?
Francesco Cusa: Nella sostanza no. Nella forma ci sono sostanziali differenze che occorre focalizzare al fine di “liberare” l’allievo dalle dipendenze dei vari stili.

L’Idea Magazine: Oltre alla musica, tu hai anche avuto molte esperienze letterarie. Di che cosa tratta il tuo primo libro, “Novelle crudeli” (2014)?
Francesco Cusa: Mi piace riportare i pareri di alcuni lettori che rispecchiano le mie intenzioni“Uomini incompresi ma compiaciuti di essere portati sul baratro della routine di coppia, personaggi ambigui, logorroici, consapevoli della propria bruttezza o della disonestà delle proprie azioni. In questo ritmo spasmodico denso di caratteri a volte molto differenti tra loro, trascende una lucida consapevolezza della condizione umana, con i difetti e le virtù che la contraddistinguono, e la “crudeltà” nel titolo, non estromette il lirismo che tra le righe si riesce a cogliere. Non vi aspettate banalità ma lasciatevi trasportare da una disperata follia in cui, con fascino dissacrante, la morte corporale o spirituale, denota in verità un cambiamento, l’inizio di una mutata esistenza”.
Francesco ama le donne. Donne cantate e musicate nelle sue novelle. Donne dai diversi ritratti psicologici che non si stanca di sottolineare. Incedono con i loro vestiti, talvolta macchiati di sangue, in un tramonto colmo di liberazione. Nei suoi racconti è presente sempre il lato oscuro del dolore. Il dolore agghiacciante, terribile, squarciante come lama sottile. Il dolore narrato, il dolore indicibile… “è forse questo canto, questa tenue melodia che nella notte si fa strada vezzosamente una carezza di mia madre …”

L’Idea Magazine: Con “Racconti molesti” del 2017 che intenzioni avevi?
Francesco Cusa: Dopo la crudeltà sentivo il bisogno di esplorare il territorio della molestia. Come qualcuno ha ben scritto a proposito del libro: “è un libro in cui ci sono ‘amore’, ‘donne’, ‘esseri sovrannaturali’ e – ovviamente − l’Autore, ma − essendo un libro di racconti molesti − nessuno dei summenzionati è come ci si aspetterebbe, o si desidererebbe”. Amo costruire trappole semantiche in cui far precipitare il lettore. Sono alla ricerca di un senso nell’assurdo, per tale ragione ordisco tranelli, utilizzando magari una trama particolarmente accattivante, ma sempre con lo scopo di escogitare un trucco che rimanda sempre a un altrove rispetto alla trama.

L’Idea Magazine: Di che cosa tratta “Stimmate”, il tuo libro del 2018?
Francesco Cusa: È una raccolta poetica, la mia seconda delle quattro finora edite. Si tratta di un lavoro concettuale molto certosino, suddiviso in ben tre sezioni: Stimmate, Rime Sbavate e Rizoma che, come ha ben scritto il critico Patrizio De Santis, comprendono il tema del radicamento: “La radice è il punto focale di tutta la struttura di questa opera poetica, e si tratta in verità di un rizoma lirico invisibile, poiché nella concezione spirituale e essenziale dell’ Essere come parte della Radice regna l’ invisibile, che è al di là del reale. Sono odi e canti profondamente visionari, pervasi di un aspetto mistico, come ci suggerisce l’eponimo titolo che svetta sulla copertina del libro, dove si intravede una mano metallica e virtuale attraversata da un foro che sta ad indicare la passione del Cristo. Lettura veloce, non complessa ma cantabile e musicale”.

L’Idea Magazine:Altro libro importante della tua carriera letteraria è “Il surrealismo della pianta grassa” (2019). Che argomento tocca?
Francesco Cusa: è una sorta di pamphlet, di zibaldone che riassume tutti i generi letterari in cui mi sono cimentato: la poesia, il racconto, il piccolo saggio, l’aforisma… una sorta di diario romanzesco e picaresco delle mie avventure nel mondo. Altamente consigliato.

L’Idea Magazine:È da poco uscito in libreria il tuo ultimo romanzo, “Vic”. Potresti parlarcene?
Francesco Cusa: Vic è un ragazzo-uomo maturo-anziano che vive la sua schizofrenica vita di scrittore in un luogo immaginario del Sud dell’Italia: Cotrone. È un personaggio che rappresenta il trauma irriducibile, il caso clinico principe oggetto delle ricerche dei freudiani. Fortunatamente lui se ne sbatte di tali indagini, giacché egli rappresenta il cortocircuito di ogni narrazione clinica volta all’individuazione del caso topico, del “problema” su cui orchestrare la riuscita di un progetto teorico. In questo senso Vic nasce per ridonare all’Occidente l’aura mitica della legge di natura, ciò che prevale rispetto alla legge morale; in buona sostanza per restituire l’uomo alla sua sacralità. Forse è giunto per consentirmi di esplorare alcuni aspetti oscuri della mia coscienza.

L’Idea Magazine:Stai lavorando ad altri romanzi al momento?
Francesco Cusa: Ho appena terminato il mio ultimo romanzo, “2056”, ambientato appunto in un futuro distopico, di cui preferisco non rivelare nulla. Spero di trovare una casa editrice per farlo uscire nel 2022. Inoltre, ho già pronte altre due raccolte poetiche che, per ora, sto tenendo nel cassetto.

L’Idea Magazine: La tua attività di musicista continua nonostante il Covid o ne ha sofferto molto?
Francesco Cusa: Naturalmente abbiamo sofferto tutti, adesso stiamo pian piano riprendendo a suonare con continuità.

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Francesco Cusa: Vedere che succederà nel 2056 e riavere indietro i miei capelli.

L’Idea Magazine: Se dovessi definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Francesco Cusa: Ambiguo, straniante, generoso.

L’Idea Magazine:Se avessi l’opportunità di poterti incontrare con un personagiio del passato  o del presente, qualsiasi persona, chi sarebbe e che cosa vorresti chiedere?
Francesco Cusa: Certamente Socrate. Gli direi se, alla luce dei fatti ai giorni nostri, sceglierebbe ancora di bere la cicuta.

L’Idea Magazine:Un messaggio per i nostri lettori?
Francesco Cusa: Seguite sempre i vostri deliri, non accontentatevi mai, dubitate sempre e… comprate i miei libri!

“La poesia è viva, fertile e vivace…” Intervista esclusiva con il poeta Fabio Strinati. [L’Idea Magazine July 2021]

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Fabio Strinati (San Severino Marche, 19 gennaio 1983) è un poeta, scrittore, pianista e compositore italiano. Autore di numerose raccolte poetiche, è presente in diverse riviste e antologie letterarie. Sue poesie sono state tradotte in romeno, in bosniaco, in spagnolo, in albanese, in francese, in inglese, in catalano e in lingua croata.

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Tiziano Thomas Dossena: Fabio, hai debuttato come poeta nel 2014 con il libro «Pensieri nello scrigno. Nelle spighe di grano è il ritmo». Che cosa ti ha spinto a scrivere le poesie di quella raccolta e ad iniziare la tua vita di poeta?
Fabio Strinati: La verità è questa: dentro di me (in maniera piuttosto corpulenta), avevo
come una sorta di guazzabuglio senza né capo né coda; percepivo il caos. La mia mente assomigliava ad una stanza immersa nel disordine, e i miei pensieri, erano come in rivolta: tutto, si muoveva all’interno di un turbinio perfettamente fuori controllo. Ecco, il mio primo libro non è altro che lo sfogo di una persona fuori controllo, “non compos sui”.

“La poesia, è al pari di una pastiglia per me: è pura ed essenziale terapia.”

Tiziano Thomas Dossena: Tu curi una rubrica poetica dal nome «Retroscena» sulla rivista trimestrale del «Foglio Letterario». Puoi parlare un po’ di questa tua esperienza?
Fabio Strinati: Si tratta di una rubrica semplice e frugale, spontanea, senza fronzoli né orpelli, dove giovani poeti e non, esprimono le proprie libertà poetiche attraverso una sensibilità di fondo. “Retroscena” è un luogo ospitale, una stanza dove poter creare quadri, e affreschi di parole. Ma… è l’intera rivista del “Foglio Letterario” ad essere un luogo speciale. Un autentico capolavoro. E ad essere sincero, il merito di tutto questo è di Gordiano Lupi: scrittore, editore dal 1999, traduttore, finalista per ben due volte al Premio Strega. Un uomo di grande cultura, di grandissima sensibilità. Ha tradotto tutta l’opera di Nicolás Guillén, Obra Poética – 1922-1989, Edizioni Il Foglio, 2020. Basterebbe questo per capire la sua grandezza! Un libro monumentale. In Italia, con tutta onestà, dovrebbero apprezzare di più Gordiano Lupi.

“L’unico sogno che ho è quello di essere ricordato come una brava persona.”

Tiziano Thomas Dossena: Sei anche il direttore della collana poesia per le «Edizioni Il Foglio». Curi tutte le edizioni di poesia, allora? Trovi che  la poesia sia ancora viva nel DNA umano?
Fabio Strinati: Curare la collana “Poesia” per Il Foglio Letterario significa a tutti gli effetti arricchire ed ampliare il proprio bagaglio culturale. Il tutto, assomiglia come ad un enorme contenitore dove le più variegate energie dell’Universo si tengono per mano con naturalezza assoluta. Poi… sicuramente, tutto questo è possibile proprio perché la poesia è viva, fertile e vivace. Venire a contatto con molteplici sensibilità e sfaccettature è come andare in luna di miele con la poesia, che in fin dei conti, alberga nelle più nobili profondità del cuore umano.

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Nei cinque sensi e nell’alloro

Tiziano Thomas Dossena: Il tuo ultimo libro di poesie, “Nei cinque sensi e nell’alloro” (Edizioni Il Foglio, 2021) porta in sé una rilevanza emotiva particolare. Potresti parlarne?
Fabio Strinati: Si tratta una raccolta poetica-spirituale che nasce da un bisogno irrefrenabile di raccontare un dolore forte vissuto con il cuore in mano e la penna come compagna di un viaggio, a tratti sterminato; brevi poesie-preghiere che portano in superficie il dono della parola come testimonianza rara di una storia eterna. Versi che portano il peso di un dolore interminabile. Come fosse un lungo percorso illuminato dai fari d’una rinascita figlia della Vita, ogni poesia è pregna d’una Fede rara, che si manifesta con sincerità assoluta.

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Tiziano Thomas Dossena: Hai pubblicato in totale ben 21 libri, un fenomeno quasi ultraterrestre, considerando la tua età. Sono tutti libri di poesia? Parlane un po’, per cortesia…
Fabio Strinati: Sinceramente non li ho mai contati, ma sapere che sono 21, un po’ mi spaventa! Sono libri di poesia, pensieri, aforismi, sperimentazioni, preghiere; ho una spiritualità molto accentuata e questo mi porta ad approfondire alcuni lati di me che sono in qualche modo nascosti là, proprio negli abissi dell’animo umano. Ogni libro scritto, realizzato e pubblicato, per me, non rappresenta altro che un punto di inizio; mi piace ragionare come se stessi immerso dentro ad un lunghissimo viaggio; una lunga e sterminata strada dove è possibile viaggiare, scrutare, adocchiare ed infine, sostare con libera pazienza; i miei libri sono come delle macchie scure nel bel mezzo di un prato verde.

“…per me comporre risulta essere assolutamente vitaminico…”

Tiziano Thomas Dossena: Come musicista e compositore hai pubblicato per la Ema Vinci – L&C il disco dal titolo: “Chiaroscuro estemporaneo – Nel DNA il suono”. Che tipo di musica è? Intendi continuare a comporre musica?
Fabio Strinati: Per quanto riguarda il disco, si tratta di un lavoro che pone al centro di tutto l’identità del suono come lungo viaggio all’interno di un labirinto magico e sonoro. Ambienti nebulosi, stanze che si muovono nel “qui e ora” dando voce e spazio ad un canto libero in grado di diffondersi in un’immaginazione sconfinata. Ogni brano, possiede la sua forma, unica ed irripetibile; pennellate musicali che nascono da un’esigenza di mettersi a nudo attraverso la poetica del pianoforte. Un disco in grado di permeare l’anima degli ascoltatori (quelli più attenti) attraverso un dialogo continuo tra la nota musicale e il “tutto” che la circonda. Un disco di musica classica/contemporanea-sperimentale. La verità, è che per me comporre risulta essere assolutamente vitaminico: continuerò a farlo fino a quando nelle mie vene scorreranno i notturni di Chopin e gli Improvvisi di Schubert!

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Tiziano Thomas Dossena: Insegni anche pianoforte. Qual è la passione che è nata prima, la musica o la poesia? Visto che scrivi anche testi per canzoni, devo dedurre che queste due arti si complementano in te. Vorrei sapere, però, se a volte sono in concorrenza con la tua psiche, cioè se trovi che una sia più preponderante dell’altra in te?
Fabio Strinati: Musica e poesia sono sempre state dentro di me, fin dalla nascita. O almeno credo, e… tuttora, penso che l’una abbia bisogno dell’altra e viceversa. Anche se… quasi subito abbandono questa tesi un pochino strampalata. In realtà, sia la musica, sia la poesia, hanno il pieno diritto di vivere la propria vita, la propria identità e la propria dimensione, come tutto d’altronde: l’individualità come creatura unica ed irripetibile.

Tiziano Thomas Dossena: In genere, che cosa ti stimola a scrivere una poesia?
Fabio Strinati: L’irrequietudine che alberga dentro di me, proprio nella parte più profonda. La poesia, è al pari di una pastiglia per me: è pura ed essenziale terapia.

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Tiziano Thomas Dossena: E come inizia invece il processo creativo della tua musica?
Fabio Strinati: Di solito, tutto inizia dal silenzio. Uno stato di meditazione che fluttua al ritmo di un’esigenza permanente e costante; m’immergo nell’Universo e ragiono in maniera quadridimensionale. Metto in moto un meccanismo dove frequenze e sintonizzazioni si tengono per mano all’interno di un valzer cosmico; penso ai suoni e alle note, come fossero dei lampi gamma all’interno di uno spaziotempo (o cronòtopo) in grado di penetrarmi senza trovare resistenza alcuna.

Tiziano Thomas Dossena: Hai progetti in lavorazione?
Fabio Strinati: Sto mettendo in piedi con assoluta scrupolosità e passione, insieme a Maurizio Sinibaldi, uno spettacolo teatrale di musica e poesia da realizzare a Roma, in memoria di Gabriele Galloni, giovane poeta scomparso prematuramente lo scorso settembre. Sono poesie che fanno parte di una mia raccolta inedita dal titolo “Notturni”; testi un po’ torbidi e nebulosi, che una volta pubblicati in una silloge, saranno dedicati proprio a Gabriele. Sto lavorando molto sulla musica, che… ahimè, sarà anch’ella abbastanza torbida, e vagamente nebulosa.

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Tiziano Thomas Dossena: Sogni nel cassetto?
Fabio Strinati: L’unico sogno che ho è quello di essere ricordato come una brava persona.

L’Idea Magazine: Se tu potessi incontrare un personaggio del passato o del presente, qualsiasi persona, chi sarebbe e quale domanda porresti?
Fabio Strinati: Sicuramente Walt Whitman, e senza mezzi termini né troppi giri di parole, gli direi (con semplicità e sincerità assoluta): “Mio caro Walt, ma da dove diavolo è saltato fuori tutto quel coraggio che ti ha portato a scrivere un capolavoro assoluto come Foglie D’Erba? (Leaves Of Grass)”. Sì perché… oltre ad essere una penna eccezionale, per partorire un libro come quello bisogna avere anche (e soprattutto), una buona dose di coraggio! Siamo nel 1855! Davvero pazzesco! Semplicemente un genio.

Tiziano Thomas Dossena: Un messaggio per i nostri lettori?
Fabio Strinati: Cercate la Pace, e soprattutto, ricercate il bene, perché… soltanto così sarete davvero liberi.

BIBLIOGRAFIA

  • Pensieri nello scrigno. Nelle spighe di grano è il ritmo, 2014, Edizioni Il Foglio.
  • Un’allodola ai bordi del pozzo, 2015, Edizioni Il Foglio.
  • Dal proprio nido alla vita, 2016, Edizioni Il Foglio.
  • Al di sopra di un uomo, 2017, Edizioni Il Foglio.
  • Periodo di transizione, 2017, Bibliotheca Universalis.
  • Aforismi scelti Vol.2, 2017, Edizioni Il Foglio.
  • L’esigenza del silenzio, 2018, Le Mezzelane Casa Editrice.
  • Sguardi composti… e un carosello di note stonate, 2018, Apollo Edizioni.
  • Quiete, 2019, Edizioni Il Foglio.
  • Concertino per melograno solista, 2019, Apollo Edizioni.
  • Discernimento atrabile, 2019, Macabor Editore.
  • Lungo la strada un cammino, 2019, Transeuropa Edizioni.
  • La Calabria e una pagina, 2020, Meligrana Editore.
  • Toscana – Venezia solo andata, 2020, Calibano Editore.
  • Obscurandum, 2020, Fermenti Editrice.
  • Oltre la soglia, uno spiraglio, 2020, Edizioni Segreti di Pulcinella.
  • Frugale trasparenza, 2020, Edizioni Segno.
  • Anime tranciate, 2020, CTL Editore Livorno.
  • Aforismi in un baule, 2021, Edizioni Segreti di Pulcinella.
  • Nella valle d’Itria il sole e l’oro, 2021 Nuova Palomar Editore.
  • Nei cinque sensi e nell’alloro, 2021, Edizioni Il Foglio.

Sono felice della mia vita, della mia famiglia e della vita semplice… Intervista esclusiva con l’autore Vincenzo Di Michele. [L’Idea Magazine, 2021]

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Vincenzo Di Michele , detto Enzo, Scrittore, Giornalista Pubblicista, è nato e vive a Roma.
Laureato in Scienze Politiche indirizzo Politico Amministrativo con la votazione di 110/110 all’Università di Roma “La Sapienza”, ha pubblicato numerosi scritti sulle disposizioni legislative, ed in particolare, sulla normativa del Codice della Strada.
Di Michele è l’autore di ben dieci libri, dei quali uno pubblicato anche in inglese.

Tiziano Thomas Dossena: Dott. Di Michele, Lei scrive principalmente libri che trattano la storia della Seconda Guerra mondiale, ma il suo primo libro fu “La famiglia di fatto”. Di che cosa tratta?
Vincenzo Di Michele: Quando scrissi nell‘anno 2008 il libro “La famiglia di fatto “ non esisteva nei fatti una legislazione sulla convivenza more uxorio. Esistevano però già da allora, moltissime convivenze tra uomini e donne. Era dunque necessario porre all’attenzione pubblica e del legislatore quel giusto impulso per codificare al fine di ottenere un’adeguata tutela di entrambi i conviventi riguardo le situazioni reali della vita di tutti i giorni e altri aspetti, come a esempio: i rapporti contrattuali tra conviventi, il diritto di proprietà sull’abitazione comune, il contratto di locazione della casa comune, il decesso del partner e alcune soluzioni patrimoniali per assicurare al proprio compagno un certo beneficio economico.

Tiziano Thomas Dossena : Ha anche scritto un libro che è praticamente un manuale per chi vuole ottenere l’annullamento del matrimonio presso La Sacra Rota...
Vincenzo Di Michele: Ho voluto fare chiarezza su alcune questioni mai messe adeguatmente in risalto all’attenzione pubblica. A esempio nei fatti numerose coppie unite in matrimonio con rito religioso, al momento della separazione sceglievano il tribunale ecclesiastico anziché quello civile. Ci si chiedeva se era una scelta di carattere religioso, per avere la possibilità di risposarsi in chiesa, oppure si mirava a un beneficio economico, dato che le sentenze di nullità ecclesiastica, a differenza del divorzio civile, non comportano l’obbligo di un riconoscimento economico nei confronti dell’ex coniuge?
Nel mio libro ho dunque analizzato: i motivi di nullità del matrimonio (dall’immaturità alla simulazione, dall’infedeltà alla gelosia, dall’egoismo al maschilismo, dall’infertilità all’esclusione della prole, dall’impotenza ai comportamenti sessuali trasgressivi), le modalità processuali e i costi che si devono affrontare, inclusi gli eventuali oneri aggiuntivi al tribunale della Rota Romana, smentendo l’opinione comune secondo la quale il procedimento di nullità del matrimonio religioso sarebbe una procedura riservata a pochi benestanti.

Tiziano Thomas Dossena : E non dimentichiamo il libro “Guidare Oggi”, che in un certo senso fa parte della Sua specializzazione, avendo progettato dei Centri di Educazione Stradale per bambini e un parco scuola itinerante presso il “Parco Scuola del Traffico di Roma”…
Vincenzo Di Michele: “Guidare Oggi” è un libro sulla PREVENZIONE contro i drammatici e sempre presenti incidenti mortali che si riscontrano nelle nostre strade. Sono un insegnante di teoria , un istruttore di pratica per tutte le categorie di patenti. Per tale ragione ho ritenuto utile dare quelle spiegazioni in più che non sempre sono presenti nei manuali di guida. Cito a esempio il trasporto su strada delle attrezzature turistiche e sportive (windsurf, canne da pesca, barche e gommoni, roulotte, rimorchi di vario tipo), di cui spesso si ignorano le regole causando gravosi incidenti, e di circolazione di SUV, camper, trattori agricoli, autocarri e furgoni, con le relative problematiche.
Al motociclista si suggeriscono l’abbigliamento più adatto, la condotta di guida, le norme di sicurezza per il trasporto dei bambini e si mette in guardia dai maggiori rischi e pericoli per sé e per gli altri a bordo di un ciclomotore.
Per ultimo, ma non meno importante, si tratta l’importante argomento delle assicurazioni: bisogna conoscere e capire le clausole del contratto stipulato perché, in determinate situazioni, potrebbero non essere tenute a rispondere dei danni e poi le risposte ai dubbi e ai quesiti più impensati degli automobilisti. Invece Il “Parco Scuola del Traffico” di Roma , di cui sono molto fiero di esserne stato il responsabile tecnico nella predisposizione della segnaletica stradale , consiste in un autentico percorso stradale in scala 1:2, dove tutto è simile alla realtà. È un’area appositamente attrezzata con incroci, rotatorie, semafori, segnali stradali, attraversamenti pedonali per educare i giovani dai 4 ai 17 anni con mini vetture , ciclomotori da 50 cc. e minivetture per diversamente abili. Insomma una mini città con la finalità dell’insegnamento stradale per i bambini e per i ragazzi.

Tiziano Thomas Dossena : Però il suo forte come scrittore è certamente la storia. Con questo tema ha scritto vari libri che hanno vinto molti premi e riconoscimenti. Il Suo primo libro su questo tema,“Io, Prigioniero in Russia”, è stato pubblicato ben tre volte, la prima volta nel 2008da Maremmi Editori, poi nel 2010 da “La Stampa” e successivamente edito nel 2019 da “La Repubblica” nella raccolta “Enciclopedia degli Alpini”, con oltre 50.000 copie vendute. È un successo più che invidiabile. Può parlarcene un po’?
Vincenzo Di Michele: Il Libro “Io prigioniero in Russia” è nato dal diario autografo di mio padre.Praticamente dopo ben 50 anni anni della sua avventura bellica in Russia decise di scrivere il suo racconto nel 1993. Quel diario scritto da mio padre doveva essere necessariamente reso pubblico anche perché sono molti quelli che credono di conoscere una realtà che non hanno mai vissuto e, proprio perché non hanno mai conosciuto questa sofferenza, si sentono spesso audaci nel mostrare il loro istinto violento. La tragedia dell’ARMIR è stata una vera disfatta per l’esercito italiano. In realtà e a onor di verità è stato proprio mio padre a rendere omaggio a me con il grande successo e la notorietà acquisita grazie a questo libro. La richiesta di nuove copie è ancora notevole, tanto è che proprio ora mel mese di Giugno 2021 ho dovuto rieditare nuovamente il LIBRO “ Io prigioniero in Russia “ questa volta con il marchio editoriale VINCENZO DI MICHELE.

Tiziano Thomas Dossena : “Mussolini finto Prigioniero al Gran Sasso” del 2011 ebbe pure un notevole successo. L’argomento mi interessa molto perchè io stesso sto completando un libro nel quale è citata l’esperienza del poeta Federico Tosti in merito al Gran sasso proprio nel periodo quando Mussolini vi era imprigionato. Su che cosa si basa la Sua teoria?
Vincenzo Di Michele: Fu una prigionia ‘finta’ quella di Mussolini a Campo Imperatore, tra il 28 agosto e il 12 settembre del 1943. È vero che la liberazione dei tedeschi si concretizzò pienamente nella completezza della sua azione sceniche con tanto di alianti e paracadutisti al seguito, ma gli agenti di custodia non opposero alcuna resistenza. In questo libro ho svelato episodi e testimonianze inedite. Grazie alle testimonianze dei pastori abruzzesi e di chi era presente nel settembre 1943 nella località montana abruzzese, sono stati accertati e riscontrati avvenimenti storici sinora sconosciuti. Addirittura, è stata menzionata la presenza di tre personaggi nell’albergo di Campo Imperatore invitati proprio dal tenente Alberto Faiola, Comandante del nucleo Carabinieri addetto alla sorveglianza di Mussolini al Gran Sasso. Uno di questi personaggi, Alfonso Nisi, rilasciò un’intervista dove dichiarò la sua presenza in quei giorni proprio in quell’albergo. Tale notizia—restando peraltro inosservata—fu così riportata ai primi degli anni 60, dalla rivista Storia Illustrata: “Che tutto il servizio di sicurezza e di sorveglianza intorno a Mussolini funzionasse bene e severamente—lassù a 2130 metri d’altezza—non si può certo dire. Quelle giornate tra il 28 Agosto e il 12 Settembre hanno avuto anche alcuni strascichi giudiziari per cause intentate dal Tenente Faiola contro Alfonso Nisi, un grosso armentiere di Bracciano ed ex amico dell’Ufficiale, il quale ebbe a dichiarare che Mussolini a Campo Imperatore poteva fare quel che gli pareva e piaceva, vedere gente, ricevere e inoltrare lettere clandestine, e che, insomma, la sorveglianza non era né stretta né efficace. Sta di Fatto che il Nisi, tanto per dirne una, si trovò presente al momento della liberazione di Mussolini, e che la sua presenza lassù era certamente indebita”. Gli addetti alla sorveglianza erano circa 80 tra Poliziotti e Carabinieri. Comandavano le operazioni, l’Ispettore di Polizia Giuseppe Gueli ed il Tenente dei Carabinieri Alberto Faiola. L’appartamento destinato a Mussolini era il numero 201, al secondo piano, composto da: camera, salottino e bagno con finestre che aprivano sul davanti dell’albergo e un ambiente separato e contiguo, destinato ai custodi personali. Il maresciallo dei Carabinieri Osvaldo Antichi, nativo di Modena, presiedeva all’incarico della ‘stretta’ sorveglianza. In realtà, il 12 settembre 1943, giorno in cui ci fu la liberazione di Mussolini al Gran Sasso gli agenti di custodia non opposero alcuna resistenza all’esercito tedesco atterrato a Campo Imperatore con gli alianti per liberare il Duce. Eppure, il tenente Alberto Faiola, Comandante dei Carabinieri al Gran Sasso, fu encomiato per la sua piena aderenza alle disposizioni impartite.

Tiziano Thomas Dossena : Nel 2013 ha deviato dagli argomenti storici ed ha pubblicato “Pino Wilson – vero capitano d’altri tempi”. Che cosa l’ha spinto a scrivere questo libro?
Vincenzo Di Michele: La storia calcistica di quel periodo annoverava fior di campioni. In effetti c’erano molti fuoriclasse. Sul fronte milanista troneggiava un certo Gianni Rivera, mentre nella squadra della vecchia signora primeggiava l’inossidabile Dino Zoff. Nell’Inter gli elementi di spicco di certo non mancavano, con Burgnich, Facchetti e Mazzola. La domanda allora sorge pressoché spontanea: perché Pino Wilson? Senza nulla togliere al merito dei giocatori citati, bisogna dire che il capitano della Lazio ha avuto una storia caratteristica e intrigante, ma anche controversa e sofferta, con aspetti che in alcuni casi sono ancora tutti da chiarire. Che Pino Wilson fosse il vero emblema della Lazio di quei tempi, era ben noto agli addetti ai lavori. Illuminante in questo senso è stata l’affermazione perentoria del mitico Silvio Piola: “Certo che il segreto della Lazio è proprio in quell’omino con la fascia che gioca lì dietro!” Che si trattasse di un giocatore al di sopra della media lo dicono i numeri: quasi quattrocento presenze con la maglia della Lazio, e sempre con la fascia di capitano al braccio. Per non parlare poi della sua militanza nella Nazionale. E non dimentichiamo che la Lazio degli anni ’70 era una squadra vincente, in cui giocava un certo Giorgio Chinaglia, personaggio con il quale Wilson condivise intensi momenti della sua storia. Che a Wilson fosse riconosciuta una forte personalità, sia in campo che fuori, trova conferma in quel soprannome, “Il padrino”, che gli avevano affibbiato. Che fosse stato reclutato per giocare in America con il Cosmos insieme a campioni del calibro di Pelé e Beckenbauer, è anche questo uno degli allori del suo palmares. Giocava in una squadra capricciosa e stizzosa, come titolavano i rotocalchi dell’epoca, una squadra particolarmente sfortunata e perseguitata dalle disgrazie. Pur essendo lui il capitano, nonché l’elemento cardine della Lazio, l’attenzione dei media in prevalenza era rivolta su Chinaglia. Del resto, non poteva essere diversamente. Tra gol, provocazioni e gesti impulsivi, “Long John” era senza dubbio il personaggio di richiamo per le testate giornalistiche, nonostante Giuseppe Wilson fosse unanimemente riconosciuto come un grande giocatore. In effetti il capitano della Lazio ebbe un alto rendimento calcistico per tutto il decennio in cui giocò in squadra e vestì anche la maglia della Nazionale giocando anche ai mondiali del 1974 in Germania.

Tiziano Thomas Dossena : Nel 2015 è ritornato al ventennio fascista con “L’ultimo segreto di Mussolini”, che fu pubblicato anche in inglese. Quanta ricerca ha dovuto fare per questo libro?
Vincenzo Di Michele: Il libro “L’ultimo segreto di Mussolini non è nient’ altro che la riprova di quanto affermato nel libro Mussolini finto prigioniero al Gran Sasso con ulteriori testimonianze e fatti più concreti e soprattutto testimonianze scritte rilasciate a me personalmente dagli stessi agenti di guardia di Mussolini. Alla resa dei conti la liberazione di Mussolini al Gran Sasso fu un accordo sottobanco tra i tedeschi e il governo Badoglio

L’Idea Magazine:“Cefalonia, Io e la mia storia”è il suo libro del 2017. Sono un po’ confuso al proposito della presentazione del libro, che viene definito ‘autobiografico’. Dato che Lei ha solo 58 anni, non è possibile che si riferisca a Lei. Potrebbe spiegarmi in merito, onde chiarire la confusione?
Vincenzo Di Michele: Quando scrivi un libro, scrivi anche la tua storia, che poi è pure quella della tua famiglia. E noi una storia l’avevamo.
Immagini una famiglia che aveva una disgrazia in casa e ciononostante sperava che prima o poi sarebbe arrivata la lieta e sospirata notizia. Immagini una storia che ha avuto inizio ai primi del Novecento tutta riassunta in un pugno di foto in bianco e nero che ogni tanto guardo. Immagini,davanti alla mia scrivania,l’ingrandimento di una vecchia fotografia appesa alla parete con mio zio Clorindo che non è più tornato da Cefalonia. Praticamente io sono nato con questa storia dentro casa e così mi è stata tramandata..
Insomma, un copione studiato e ristudiato per molti anni con repliche giornaliere, festivi compresi, per un susseguirsi di azioni quotidiane che si svolgevano nel contesto della mia famiglia. Così per anni, sempre ai comandi del mio senso del dovere familiare, complice una mia ostinata tendenza a non voler mai mollare nulla, continuavo nella mia ricerca e in quel“chi ha notizie di mio zio Clorindo. Tanto per dirne una , recentemente sono stato anche al Tribunale militare di Roma per assistere al processo che aveva come imputato l’ufficiale tedesco Alfred Stork, accusato di“concorso in omicidio continuato a danno di militari italiani prigionieri di guerra”per i crimini commessi a Cefalonia durante la seconda guerra mondiale. C’era anche un superstite della divisione Acqui stanziata a Cefalonia. Non si sa mai … avevo portato con me le foto di mio zio Clorindo.

Tiziano Thomas Dossena : Un tema più che interessante il suo libro del 2019, “Animali in Guerra, Vittime Innnocenti”. Che cosa l’ha ispirata a ricercare questo soggetto?
Vincenzo Di Michele: Nelle due guerre mondiali del ’15-’18 e del ’39-’45, ci sono stati eroi che nelle cronache e nella storiografia sono rimasti in secondo piano: gli animali.
Grazie alle testimonianze contenute nei diari dei soldati italiani al fronte, vengono narrate le storie e i legami affettivi che si instaurarono tra gli uomini e gli animali nel corso delle due guerre.
Cavalli, muli, cani, gatti,piccioni e altri animali furono coinvolti in una guerra che non apparteneva a loro.
Ciononostante, questi umili e silenziosi quattro zampe hanno combattuto fianco a fianco insieme ai nostri soldati, e alla fine, sono diventati i loro inseparabili amici e resteranno per sempre un
pezzo fondamentale della nostra storia.
La storiografia ha sempre concentrato le sue attenzioni al solo contributo logistico riguardo l’utilizzo degli animali in guerra, mentre è stata più che carente nella disamina delle argomentazioni inerenti le afflizioni e il tributo di sangue versato dagli stessi animali.
“Perché non venne riconosciuta agli animali una totale neutralità bellica?” “Dov’erano gli uomini mentre si commettevano codeste infami e crudeli barbarie ai danni di bestie innocenti?”
L’opera è dunque incentrata sulle sofferenze patite dagli animali in guerra ( 1915/18 e 1940/ 45) che altro non furono se non umili personaggi soggiogati all’egoismo umano.

Tiziano Thomas Dossena : Siamo arrivati alfine al 2020 ed ecco che Lei pubblica il libro “Alla ricerca dei dispersi in guerra – Dal fronte greco a El Alamein fino alla Russia: i familiari dei caduti raccontano le loro storie”. Deve essere stato molto stancante a livello emotivo raccogliere le testimonianze dei familiari dei caduti…
Vincenzo Di Michele: Le cito un brano del libro : “ La prima tappa era alla stazione dei treni dove attendevamo e trepidavamo alla vista dei lenti convogli carichi di reduci miracolati. In una manciata di minuti si consumava amaramente quella lunga e speranzosa attesa. «Niente da fare, anche quel giorno, mio padre non era presente.» A seguire ci contattò un individuo che in cambio di denaro ci forniva notizie di mio padre disperso in Russia. Scoprimmo però che era solo un raggiro. Aveva infatti già contattato diverse famiglie per truffarle e cosa più grave: per illuderle.”
Insomma questo per dirle che Dal Don a Nikolaevka, da Tobruk al fronte jugoslavo fino a Cefalonia, in questo libro viene narrata la mia storia e quella di tante altre famiglie che hanno raccontato le loro vicende e le problematiche affrontate durante la ricerca del proprio caro disperso durante la II guerra mondiale. Gli Italiani in Russia con gli alpini in testa, si avventurarono in una dolorosa ritirata. Moltissimi soldati invece morirono nei campi di concentramento. Da Suzdal a Tambov, da Mičurinsk a Nekrilovo,da Oranki a Krinovaja, fino ai campi di prigionia di Tashkent e PaktaAral nelle regioni del Kazakistan e Uzbekistan, vengono narrate attraverso le testimonianze dei reduci le sofferenze patite dai prigionieri italiani nei lager sovietici.

Tiziano Thomas Dossena : La Sua opera preferita?
Vincenzo Di Michele: Ogni libro è una mia opera e nel momento in cui la realizzo mi impegno fortemente. Le preferite ? Le storie della mia famiglia perché ci sono i miei affetti.

Tiziano Thomas Dossena : Sta lavorando ad altri libri di questo filone bellico?
Vincenzo Di Michele: I tedeschi sapevano di quello che accadeva agli ebrei?
Questa domanda non ha ancoratrovato una risposta in me. Com’è possibile che un popolo che ha prodotto opere di estrema elevatezza morale, ricche di sensibilità e di amore universale, lucide e rigorose nell’analizzare le debolezze ed i lati oscuri dell’uomo, abbia potuto generare e tollerare uno dei più gravi misfatti dell’umanità: lo sterminio del popolo ebraico durante il periodo del nazionalsocialismo?

Tiziano Thomas Dossena : Alcuni Suoi libri sono stati allegati a vari giornali, oltre alla regolare edizione. Come ha iniziato con questo sistema e quanto lo ha trovato efficace?
Vincenzo Di Michele: È un lavoro molto complesso e variegato, con molte variabili. Dietro un libro ci sono molte persone: c’ è una ricerca storica che va avanti per anni e anni , ci sono i correttori di bozze, i ricercatori, i grafici , i tipografi, i giornalisti, i distributori…e poi ci sono soprattutto i lettori perche sono loro e solo loro, i veri protagonisti che daranno il loro giudizio sincero sull’opera realizzata

Tiziano Thomas Dossena : Noto che ha molti interessi, come provato dai Suoi libri. Ha anche dei passatempi o altri interessi?
Vincenzo Di Michele: Il mestiere del giornalista mi porta ad avere molti interessi e passioni.

Tiziano Thomas Dossena : È mai stato negli Stati Uniti? Che cosa pensa della globalizzazione?
Vincenzo Di Michele: Si, sono stato negli Stati Uniti. Non credo nella globalizzazione. Credo nell’identità nazionale fortemente coadiuvata da un processo di cooperazione tra i vari stati , ma non sono molto favorevole alle ridondanze e sovrapposizioni di intese globalizzate.

Tiziano Thomas Dossena : Sogni nel cassetto?
Vincenzo Di Michele: Sono felice della mia vita, della mia famiglia e della vita semplice . Il mio sogno nel cassetto è quello di una società meno violenta e più vicina a Dio e al bene.

Tiziano Thomas Dossena: Se dovesse definirsi con tre aggettivi, quali sarebbero?
Vincenzo Di Michele: Semplice, tenace, divertente.

Tiziano Thomas Dossena : Se avesse la possibilità di parlare con un personaggio del passato o del presente, qualsiasi personaggio, chi sarebbe e che cosa chiederebbe?
Vincenzo Di Michele: Penso che Dante Alighieri si sia gia espresso al meglio nella sua Divina Commedia.

Tiziano Thomas Dossena : Un messaggio per i nostri lettori?
Vincenzo Di Michele: Scusate se vi ho annoiato con le mie chiacchiere.

www.vincenzodimichele.it

“Innamorata della vita”. Intervista esclusiva con la regista teatrale e autrice Iliana Iris Bellussi. [L’Idea magazine 2021]

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

La milanese Iliana Iris Bellussi ha pubblicato cinque romanzi ed è in procinto di pubblicarne un sesto. Tutto questo dopo una lunga carriera nel teatro amatoriale e nell’insegnamento. Avendola conosciuta molti anni fa, sono orgoglioso di presentarvela.

L’Idea MagazineIliana, noi ci siamo conosciuti molti anni fa, quando facevamo parte della compagnia teatrale “Il teatro dei Nove”. Periodo eccitante per tutti noi, allora giovani. Ricordo che Valentino Bompiani, noto scrittore e drammaturgo, fu tra il pubblico ad una nostra rappresentazione di una sua opera teatrale e che rimanemmo estasiati da tale opportunità. Tu e tuo marito facevate parte della compagnia già prima di me, e poi avete continuato a recitare. Immagino che avrete avuto molte altre esperienze eclatanti…

Milano – Teatro Olmetto – 1981
Iliana Iris Bellussi e Tiziano Thomas Dossena in scena durante una rappresentazione.

Iliana Iris Bellussi: Certo in quegli anni, quando eravamo giovani, ogni emozione era più intensa! In seguito il periodo più esaltante della nostra esperienza teatrale è stato sicuramente quello legato al regista Luigi Squarzina. Gli avevo telefonato a Roma per ottenere il permesso di rappresentare il suo “Siamo momentaneamente assenti” una commedia che mi aveva catturato fin dalle sue prime battute e avrei tanto desiderato mettere in scena. Telefonare ad un uomo di tale prestigio e fama mi aveva intimorito non immagini quanto e invece lui si rivelò da subito una persona simpatica, generosa e incuriosita del nostro mondo amatoriale. Senza esitazione ci concesse l’autorizzazione e venne anche da Roma ad assistere alla prova generale e poi alla prima. Immagina la nostra ansia e la preoccupazione durante la prova. Temevamo che avrebbe bloccato il lavoro. Io mi sentivo particolarmente responsabile in quanto regista e protagonista femminile. E invece ne fu molto contento, e ci inviò altre sue commedie che secondo lui avremmo potuto fare. Ne nacque una bella amicizia e un grande sostegno da parte sua. Sempre disponibile a rispondere a dei chiarimenti e a venire da Roma nel corso delle prove. Per noi dilettanti è stata un’esperienza davvero memorabile. In seguito con lui abbiamo fatto diversi stage di teatro ed è stato un percorso davvero costruttivo e umanamente emozionante. “Siamo momentaneamente assenti” è sicuramente il lavoro che porterò sempre nel cuore.

L’Idea MagazineHai anche fatto la direzione artistica e la regia per molti anni? Hai trovato molto differente l’esperienza?
Iliana Iris Bellussi: Diciamo che mi sono sentita più a mio agio dietro le quinte. La recitazione mi ha sempre appassionato molto ma al tempo stesso anche creato dubbi e perplessità, a livello personale intendo. Non mi sentivo del tutto a mio agio nei panni dell’attrice. Forse sì, ho preferito la regia, la ricerca dei testi, lo studio e il vedere soprattutto il lavoro prendere forma.

Teatro Olmetto a mIlano, 1981.
Nella foto, in piedi da sinistra: Carlo D’Adda (marito di Iliana Iris Bellussi), l’autrice e Gaetano Meli (regista).

L’Idea MagazineHai anche scritto vari testi teatrali, uno dei quali, “Buongiorno Giacomino, buongiorno Fernandina”, è stato portato in scena. Di che cosa trattava?
Iliana Iris Bellussi: Era un lavoro metateatrale. Una compagnia molto male in arnese stava mettendo in scena il suo nuovo lavoro mentre, dietro le quinte, si dipanavano i problemi esistenziali degli stessi attori come  amori non risolti, divergenze caratteriali, nevrosi, omosessualità non dichiarata, oltre alle difficoltà oggettive e pratiche dell’allestimento teatrale, corde del sipario che si spezzavano per logoramento o strutture perennemente sbilanciate. Come non bastasse, la simulazione di suicidio da parte di un attore della compagnia e la sua ricomparsa non priva di stupore, suo, che mai avrebbe immaginato di essere stato preso sul serio, e dei compagni che pensano di trovarsi di fronte ad un fantasma, mette a nudo i rapporti umani.
Il titolo deriva dalla consuetudine propria del nostro gruppo reale “ il nuovo teatro dei nove”  di fare un rito propiziatorio prima di entrare in scena, importato da un compagno napoletano che possedeva due piccolissimi gufetti che tutti noi, distribuiti in cerchio, dovevamo omaggiare dicendo appunto: “ Buongiorno Giacomino, buongiorno Fernandina”.

Il cast di Buongiorno Giacomino

L’Idea MagazineNegli ultimi anni ti sei dedicata principalmente ai romanzi. Hai deciso di abbandonare il teatro oppure ti dedichi a tutte e due le attività? 
Iliana Iris Bellussi: Diciamo che il teatro è ormai parte del passato, per scelta, e la scrittura dei romanzi del presente.
Ricordo che Squarzina diceva che nella vita bisogna fare più cose, per esattezza tre cose, non so perché proprio tre. Ho capito a distanza di tempo cosa volesse dire. Se fai una sola cosa ti annoi, ti prosciughi, bisogna cambiare, guardare in più direzioni.

L’Idea Magazine: Esiste una comunalità di argomento o personaggio tra i tuoi cinque romanzi o sono tutti completamente indipendenti uno dall’altro?
Iliana Iris Bellussi: Direi che sono tutti diversi fra loro. Una mia cara amica dice addirittura che sembrano scritti da persone diverse.

L’Idea MagazineIl tuo primo romanzo, A che cosa c’è servito Freud”, è del 2009. Qual è la trama? Nel scriverlo, hai tratto ispirazione dal fatto che hai insegnato filosofia per tanti anni?
Iliana Iris Bellussi: È una storia difficile da raccontare, mi fa ancora male. Mi era venuto in mente di scrivere la storia degli anni ‘70, gli anni dell’università, e di parlare della straordinaria amicizia con un mio compagno, direi un fratello. Avevo immaginato di raccontare a lui che era caduto, nell’invenzione fantastica, in uno stato di depressione comatosa, tutto il nostro passato. Poi lui si sarebbe ripreso e ci sarebbe stato il lieto fine. Purtroppo, quando avevo iniziato già a scrivere, lui ha avuto realmente un aneurisma ed è morto.
L’ho voluto scrivere lo stesso, raccontando della nostra bella amicizia e di quegli anni naturalmente, in cui studiavamo filosofia e pensavamo che Freud ci avrebbe salvati.

L’Idea MagazineHai seguito con “Una storia d’amore” nel 2014.  Da dove è nato questo romanzo?
Iliana Iris Bellussi: Dal desiderio di ricostruire con la fantasia la storia della mia famiglia natale, storia della quale mi mancavano troppi pezzi che nella realtà non avrei più potuto rintracciare. Una storia d’amore nei confronti della mia famiglia, in sintesi.

L’Idea MagazineNel 2016, hai pubblicato “Un té dalla zietta”. Che cosa cercavi di trasmettere ai lettori in questo tuo romanzo?
Iliana Iris Bellussi: Volevo parlare delle donne in età, le sessantenni, e mi sono rifatta ai racconti fatti da alcune amiche. Gelosie, paura per l’età che avanza, rapporti conflittuali con l’immancabile nuora antipatica, senso di inadeguatezza e tanti segreti che vengono a galla nel corso della storia come quello della zietta che, in punto di morte, si rivela completamente diversa da come i nipoti avevano sempre immaginato.

L’Idea MagazineHai seguito nel 2017 con “Ninin parla con i gatti”, un libro che ha vinto nel 2018 il secondo premio di narrativa edita al Concorso Letterario Internazionale “Gian Antonio Cibotto” e che è stato finalista al premio “ Percorsi Letterari”. Che argomento tratta questo romanzo?
Iliana Iris Bellussi: La violenza sulle donne. Ho costruito con la fantasia una storia familiare segnata dalla violenza, proprio perché volevo cercare di capire come sia possibile una realtà così diffusa. Ninin è  figlia di una relazione conflittuale e di un padre violento, è una bambina un po’ strana, parla con le presenze, come quella del nonno che lei non aveva mai potuto conoscere ma che le starà sempre vicino dandole il suo sostegno, e che da adulta, dopo essersi laureata in medicina, grazie alle sue capacità medianiche diventerà una diagnosta speciale.

L’Idea MagazineIl tuo ultimo romanzo pubblicato è “Magritte e il cavallino biondo”.  Ho trovato interessante il concetto di ricreare la vita di un artista fondendo realtà e fantasia. Che cosa ti ha spinto a tale scelta?
Iliana Iris Bellussi: Direi il mio grande amore per Magritte. Quando ho visto in una sua personale “L’impero delle luci” mi sono commossa in modo inverosimile.
Ho voluto ricostruire la sua vita basandomi su alcune sue opere e sul quel poco che ha raccontato di sé. Ho immaginato la sua infanzia, la nevrosi di sua madre poi suicida, i suoi rapporti con le donne, la bambina conosciuta al cimitero alla quale avrebbe dedicato nel mio immaginario “la ragione pura” che rappresenta un cavallo biondo con sembianze  umane, da cui il titolo, e l’altra, sua moglie Georgette, seguendo quei pochi elementi che la sua narrazione ci ha fornito. Forse ho voluto vedere cosa ci fosse dietro quella sua totale e apparente normalità.

L’Idea MagazineIliana, hai insegnato per molti anni storia e filosofia. Ti mancano i tuoi studenti? 
Iliana Iris Bellussi: Certo, tantissimo. È stato un lavoro molto bello. È stato bello poter insegnare la materia che avevo scelto di studiare all’università. Non è possibile a tutti. Per lavoro avrei potuto essere costretta a scegliere di insegnare italiano, e per me non sarebbe stata la stessa cosa.  È stato molto arricchente confrontarmi con loro sulle tematiche filosofiche. I ragazzi, non tutti ma molti sicuramente, sono molto interessati al confronto filosofico. Ho bellissimi ricordi di quegli anni e per fortuna con Facebook ho ritrovato, se pur virtualmente, diversi alunni.

L’Idea MagazineScrivi anche poesie e alcune sono state inserite in un catalogo dell’artista Elena Rede. Come è nata questa cooperazione tra te e l’artista?
Iliana Iris Bellussi: Elena Rede è per me un po’ come Magritte. Mi sono innamorata delle sue opere e mi è venuto spontaneo scrivere su alcune di esse alcuni pensieri, poesie. Le sono piaciute e le ha volute pubblicare. È un’artista davvero straordinaria, ti consiglio di guardare le sue opere su Google e quando vieni in Italia di visitare il suo atelier. Magico.

L’Idea MagazineOra stai sperimentando un nuovo approccio per il tuo prossimo libro. Vuoi parlarne?
Iliana Iris Bellussi: Il curatore editoriale di Leone Editore mi ha proposto di partecipare a questa campagna. Mi sembrava interessante, una bella sfida, e ho accettato. Ogni giorno devo pensare a cosa scrivere sui social per attirare potenziali lettori del romanzo, preparare dei video per raccontarmi. Carlo, mio marito, che tu conosci bene, mi sostiene leggendo con la sua bella voce dei brani del romanzo. L’ha sempre fatto, anche quando facevo le presentazioni dei libri in presenza, e indubbiamente l’evento diventava più interessante e coinvolgente. Comunque l’obiettivo da raggiungere è quello di conquistare 200 potenziali lettori in 180 giorni per aver diritto alla pubblicazione. È difficilissimo ma ce la sto mettendo tutta.

Clicca per saperne di piu`…

L’Idea MagazineHai qualche altro progetto in lavorazione?
Iliana Iris Bellussi: Un altro romanzo già scritto che mi piacerebbe poter pubblicare. E poter fare qualche piccolo viaggio. Un po’ di libertà, insomma, che auguro a tutti. Speriamo!

L’Idea MagazineIn un periodo come quello in cui viviamo, questa situazione di Lockdown, quarantena ed isolamento ti permette di scrivere di più o non influisce in alcun modo sulle tue attività di autrice?
Iliana Iris Bellussi: Per me è stata una bella risorsa scrivere. Mi ha fatto compagnia, mi ha aiutato a riempire le giornate e farmi sentire viva. Non è così scontato in questo periodo. Comunque i libri da scrivere o da leggere, sono sempre dei bei compagni.

L’Idea MagazineScrivi anche racconti o novelleHai mai inserito dei personaggi reali come amici o parenti nelle tue storie?
Iliana Iris Bellussi: Non sono capace di scrivere racconti o novelle, non mi viene facile. Nelle mie storie ci sono spesso racconti che ascolto nella realtà e alcuni personaggi catturano certamente le personalità di persone che conosco, però sono un po’ mescolate fra di loro, non c’è mai una persona così come la conosco papale papale.

L’Idea MagazineSe dovresti definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Iliana Iris Bellussi: Testarda, razionale, rompiscatole. Ma sempre innamorata della vita.

L’Idea MagazineSogni nel cassetto?
Iliana Iris Bellussi: Scrivere e pubblicare. E stare in buona salute. Di questi tempi sembra un sogno nel cassetto.

L’Idea MagazineSe tu potessi incontrare un personaggio del passato o del presente e porre qualsiasi domanda, chi sarebbe e che cosa chiederesti?
Iliana Iris Bellussi: Ho sempre amato molto Giuseppe Garibaldi. Gli chiederei di venire a sistemare il nostro paese.

L’Idea MagazineUn messaggio per i nostri lettori?
Iliana Iris Bellussi: Nessun messaggio tipo” andrà tutto bene” perché mi pare che non abbia funzionato molto. In questo momento direi” affidiamoci alla scienza” che nella storia ha contribuito di gran lunga a migliorare le nostre condizioni di vita. Mi sembra che ce lo stiamo dimenticando. E “incrociamo le dita”, naturalmente.

Penso Che Ogni Persona Che Elegga La Scrittura A Forma Di Espressione Di Sé Riveli La Propria Anima… Intervista Esclusiva Con Marina Agostinacchio [L’Idea Magazine 2021]

Penso che ogni persona che elegga la scrittura a forma di espressione di sé riveli la propria anima… Intervista esclusiva con Marina Agostinacchio

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Nell’occasione della pubblicazione del libro “Trittico Berlinese”,  la scrittrice Marina Agostinacchio ci ha gentilmente concesso un’intervista…

Marina Agostinacchio, poetessa, Docente di Lettere.

Tiziano Thomas DossenaMarina, hai iniziato a scrivere poesie molti anni fa. Come e quando è nata la tua passione per la poesia?
Marina Agostinacchio: Credo piccolissima. Mi isolavo in un piccolo angolo della cucina, vicino al camino. Recitavo in modo cadenzato, come seguendo un ritmo discorsivo interno, spesso eleggendo a mia interlocutrice la parola, declinata, come un gioco, in forme ritmiche, prima foniche poi grafiche, sempre diverse.

Tiziano Thomas Dossena Marina, hai iniziato a scrivere poesie molti anni fa. Come e quando è nata la tua passione per la poesia?
Marina Agostinacchio: Credo piccolissima. Mi isolavo in un piccolo angolo della cucina, vicino al camino. Recitavo in modo cadenzato, come seguendo un ritmo discorsivo interno, spesso eleggendo a mia interlocutrice la parola, declinata, come un gioco, in forme ritmiche, prima foniche poi grafiche, sempre diverse.
Questa mia propensione al dire divertendomi mi dava l’immagine di una corsa per una ripida discesa di montagna. Mio padre, medico, guardava un po’ allarmato il mio appartarmi in quei lunghi monologhi quasi cantilenati.
Poi alla scuola dell’infanzia, il mio primo contatto con la parola “vista” avvenne all’Istituto Moschini di Padova. Lì la didattica era improntata al metodo di Maria Montessori. Ricordo che mi fu presentata la lettera M al tatto ruvida e costruita su un quadrato dallo sfondo liscio. Ricordo ancora la sensazione di felicità nello scoprire in un segno muto la percezione di uno stimolo vitale attraverso la piccola mano. Infine, penso debba molto a mio padre. Quando poteva, parzialmente libero da impegni di lavoro, (era chirurgo), raccontava a mia sorella e a me storie sul mito o fiabe. Ma accadeva che, avendo egli un gusto particolare per la narrazione, trasformasse le parole. Intendo dire che al mio udito le parole, quasi per un atto magico, divenissero altro dal loro significato originario. Il referente non corrispondeva più a quello che ci si sarebbe aspettati.

Tiziano Thomas Dossena Tu hai insegnato per molti anni. Secondo te, la poesia è ancora viva in seno alla gioventù di oggi?
Marina Agostinacchio: Purtroppo ciò dipende dal contesto famigliare e poi soprattutto dalle scelte didattiche degli insegnanti, dalla loro volontà di attribuire alla poesia un posto e una cifra valoriale specifica.
Girando per le scuole dove ho proposto laboratori di poesia, ho trovato giovani già attrezzati, o perlomeno pronti a recepire questa particolare forma di comunicazione.

Tiziano Thomas Dossena : Le tue raccolte sono molte e vorrei parlarne in maniera cronologica, al fine di farne una specie di percorso della tua vita poetica. “Porticati” (2006) è il tuo debutto editoriale. Che tipo di raccolta è questa? Come definiresti queste poesie?
Marina Agostinacchio: Circa “Porticati”, si tratta di una raccolta di testi poetici che vanno dal 1999 al 2005. La silloge è varia; sono presenti poesie sulla natura, sui viaggi, di riflessione sulla parola, sul ricordo; poesie che riflettono un inizio di consapevolezza di un io poetico e poesie aventi per tema la famiglia.

Comunque, circa il fare poesia, (diceva il mio maestro, poeta e critico letterario degli anni universitari, rincontrato nei miei quarant’anni) tutti diciamo le stesse cose, riveliamo gli stessi sentimenti, le stesse emozioni. Il poeta sa però che c’è un come. Quello fa la differenza.

Tiziano Thomas Dossena Tre anni dopo hai pubblicato “Azzurro, il melograno”. Che evoluzione c’è stata da “Porticati” a questa raccolta? C’è una tematica oppure è una raccolta di poesie dell’epoca?
Marina Agostinacchio: Senz’altro questa seconda, nutrita raccolta, suddivisa in sezioni, come del resto Porticati, rivela maggiore consapevolezza artistica e ricerca di una cifra identificativa personale. “Azzurro, il melograno” ha come punto focale il tema del viaggio, inteso come spostamento tra spazi e luoghi ma anche come ricerca di sé. Praga, Budapest sono l’incipit per un discorso più ampio che abbraccia l’avvicinamento a una pienezza degli anni artistici dove la malattia e l’amore sono la spinta alla progettualità.

Tiziano Thomas Dossena Altri tre anni e  ritroviamo “Lo sguardo, la gioia”. Anche qui devo chiederti quali sono stati i cambiamenti e le evoluzioni, sia di contenuto sia letterarie?
Marina Agostinacchio: Questa esperienza di ebook dell’anno 2012 è diviso in due parti: “La resa dei conti” che si rifà alla ripresa di un poemetto scritto nel 2007, a seguito di una malattia, e poesie sciolte dello stesso 2012, nate in seguito a un’ernia del disco che mi costrinse a letto più di un mese. Composi allora testi su quanto vedevo accadere fuori dalla finestra della mia stanza.  Ispiratrice di questa seconda parte è stata Wislawa Szymborska; leggendo infatti la raccolta “La gioia di vivere” della poetessa polacca rimasi rapita dalla leggerezza con cui Wislawa guardava la vita.

Tiziano Thomas Dossena Dopo le prime tre raccolte c’è una chiara svolta nella presentazione delle tue opere, che sono da questo momento in poi illustrate. Perché questa scelta?
Marina Agostinacchio: Penso che l’arte in genere riveli qualcosa della natura, apra a una pienezza in fieri, dica qualcosa della realtà nella sua totalità. Essa presenta barlumi di una zona non subito visibile, né percepibile. Attraverso la sua prospettiva utopica, l’arte apre al possibile, alla immagine di un progressivo divenire. Pertanto collaborare con artiste arricchisce la parola, l’avvicina per difetto al mistero della perfezione, proprio nel suo fare accennando.

Tiziano Thomas Dossena “Tra ponte e selciato, Ventisei temi per mia madre” (2014), con illustrazioni di Paola Munari, è la prima di queste nuove raccolte, Parlacene un poco…
Marina AgostinacchioDopo molti anni dalla morte di mia madre (avevo 14 anni quando scivolò dalla mia vita. Lei ne aveva 42), decisi di “parlarle”, riannodando il tempo in un presente ricostruito attraverso la memoria. Scrissi 22 stanze poetiche e, dopo avere visitato la mostra di acquerelli della pittrice e amica Paola Munari, dedicata alla madre, (titolo della mostra: “Era. Sfumature di un tempo ritrovato”, Este, Circolo culturale La Medusa, 2012), decisi di fargliene omaggio.
Nel dicembre 2013, Paola mi portò un pacchetto. Lo aprii e vidi degli acquerelli corrispondenti alle sezioni poetiche del libro. Con Paola iniziò una collaborazione simbiotica: lei dipinge, io scrivo ispirata dalle sue scelte tecniche e cromatiche; io scrivo e lei dipinge, trasformando le parole dei miei testi in visioni. Insomma, una vera e propria folgorazione reciproca.

Tiziano Thomas Dossena Statue d’acqua”, dell’anno seguente, è pubblicato anch’esso come il precedente libro dal prestigioso Centro Internazionale della Grafica di Venezia. È una raccolta illustrata dall’artista Elena Candeo. Qual è la tematica di questa raccolta?
Marina Agostinacchio: Ero in una piscina dell’Hotel Plaza di Abano Terme a fare esercizi di acquagim. Improvvisamente alzo la testa e vedo in una vasca sovrastante dell’albergo dei corpi che si muovevano, fluttuavano chiamandomi a pormi degli interrogativi. Tra le plurime domande, scelsi di oscillare tra due: angeli o umani? Esseri viventi loro e morti noi? Nel poemetto lascio al lettore la risposta, tenendo per me il quesito non risolto.
Questa volta l’artista era Elena Candeo a collaborare per la realizzazione del libro. Anche lei, come nel caso di Paola Munari, disegnò ispirata dal testo e mi fece vedere alcune delle illustrazioni con tecnica di incisione nate dalle sollecitazioni dei versi letti. In seguito Elena proseguì il lavoro nel laboratorio di incisione del Centro internazionale della grafica di Venezia di Lilli Olbi e Silvano Gosparini.

Illustrazione di Elena Candeo dal libro STATUE D’ACQUA.

Tiziano Thomas Dossena Siamo arrivati quindi al noto “Bab El Gehrib” (La porta del vento), del 2018, illustrato dall’artista Graziella Giacobbe. Questo libro riflette un’altro tipo di impegno… Puoi spiegare ai nostri lettori che cosa ha implicato questo progetto in senoi alle carceri che ha dato vita a questa raccolta?
Marina Agostinacchio: Inizio da una breve parte estrapolato dalla presentazione del libro.
“«E quindi uscimmo a riveder le stelle». Era quanto mi dicevo ogni volta che uscivo dal carcere penale di Padova Due Palazzi. «E quindi uscimmo a riveder le stelle» voce reiterata in ogni mia uscita dalle lezioni nel carcere, conteneva interrogativi ed inquietudini accompagnati da un sentimento di provvisorietà, ma nel contempo segnava anche una sorta di iniziazione verso la mia rinascita.
Da anni desideravo fare l’esperienza di un percorso di scrittura tra i carcerati. Ebbi l’occasione grazie all’allora CTP (Centro territoriale permanente, dal 2015 convertito in CPIA- Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti), in particolare grazie all’insegnante di Lettere Daniela Lucchesi con cui collaborai per tre primavere- 2014-2015,2017- a un progetto di scrittura. Il libro Bab el gherib prende avvio dalle parole dei detenuti che come in un gioco di rimandi di specchi aprivano un varco di scrittura in me. L’asse della scrittura si muoveva dagli allievi a me, da me agli allievi, seguendo le loro domande, le loro istanze fatte mie e rivisitate in una cornice di ricerca personale, infine offerte come tentativo di risposta ai quesiti iniziali che mi avevano posto in modo diretto e indiretto nei loro testi.
Il libro è corredato nelle tre sezioni da una macchia di colore dell’artista Graziella Giacobbe, ispirata ai versi. Anche lei si è sentita coinvolta in questo viaggio dal ritmo arcano di parole che, prima scavate nella propria essenza, si aprivano poi a visioni stellate tradotte in cromatismo, in una metamorfosi di affinità. Ed ecco nel libro forme visive e visionarie di colori addensarsi, per una sottile convergenza tematica, intorno ai versi: «Mi sciolgo tra i vapori della terra» da Se solo avessi ciò che non è mio; «sasso nel fiore di sorgente antica» da Per le donne l’afrodisiaco; «cuore di fiore odoroso» da Nella corrente.

Tiziano Thomas Dossena Alfine siamo giunti alla tua ultima opera, “Trittico berlinese”, illustrato da Elena Candeo e Paola Munari, e recentemente pubblicato a New York dalla casa editrice Idea Press. Qual è stata l’ispirazione a comporre questi versi?
Marina Agostinacchio: Anni fa, era il 2010, feci un viaggio a Berlino con la mia famiglia. Una delle visite alla scoperta della città fu lo Jüdisches Museum.
L’asse dell’Olocausto con la torre dell’Olocausto; l’asse dell’Esilio, con il giardino dell’Esilio; lo «spazio vuoto» della Memoria, con Shalechet (Foglie cadute) furono i tre luoghi che ispirarono le parole del Trittico”, scritto nei giorni tra il 28 luglio e il
1° agosto del 2010, durante il viaggio Berlino Dresda e Dresda Padova. Nonostante gli anni trascorsi, rileggere i testi mi ha fatta sentire presenti le sensazioni, le forti emozioni provate nel percorrere quelli spazi in cui mi trovavo inerte, svuotata di ogni possibile interrogativo, rabbia. Solo smarrimento, solitudine, sprofondamento. Ecco il mio essere tra quelle stanze e nelle parole, tentativo di dire l’indicibile. Allora, vedi, senti versi spezzati, distribuzione degli stessi versi nella pagina secondo un andamento che slitta da destra a sinistra, dal centro a vuoti dove depositare silenzi pieni.

Circa le illustrazioni che arricchiscono e “dicono”, le due artiste, Elena e Paola sono riuscite a comunicare con discrezione e forza il viaggio fatto. Ogni segno, ogni pennellata raccontano la loro messa a nudo del mondo che si lascia svelare per un’illuminazione improvvisa. Infine vorrei dire di Anna Rossi, l’amica che mi spinse a pubblicare, riprendendo in mano uno scritto lasciato in una cartella virtuale. Con Anna mi sono vista più di una volta. Per tradurre nel modo più fedele possibile in inglese le tre stanze poetiche e la premessa, senza tradire il ritmo dei versi, Anna sentiva, quasi spinta da un imperativo categorico, l’esigenza di chiedermi la possibilità di approssimarsi alla parola poetica, al suo nucleo simbolico, al mistero percepibile che di sé fa nella sua veste contratta.
Dalla questa particolare convergenza di un lavoro a otto mani nasce Trittico berlinese.

Tiziano Thomas Dossena Da quello che mi dici a proposito di “Trittico berlinese”, tu i tuoi versi li vivi nel più profondo della tua anima. Pensi che sia così per tutti i poeti?
Marina Agostinacchio: Penso che ogni persona che elegga la scrittura a forma di espressione di sé riveli la propria anima, la propria visione del mondo e dell’esserci.

Tiziano Thomas Dossena So che stai preparando una serie di presentazioni ‘live’ online legata al 700 anniversario della morte di Dante. Di che cosa tratteranno?
Marina Agostinacchio: Si tratta di una proposta, indirizzata alle classi seconde delle scuole secondarie di primo grado, di un’attività da remoto, e gratuita, della durata di due ore circa per classe, che prendendo avvio dai canti XIII e XXVI dell’Inferno, dà la possibilità ai ragazzi di esprimersi sul tema della metamorfosi e del viaggio. Pier delle vigne e Ulisse sono quindi il punto di avvio per la scrittura dei ragazzi.
Il laboratorio si avvale di un’interazione tra più canali comunicativi; esso, infatti, è articolato in parole – e di associazioni ad esse – tratte dal testo dantesco di riferimento, sincronizzate con immagini e musica.

Tiziano Thomas Dossena : So che hai scritto un blog di scrittura femminile. Ce ne vuoi parlare?Marina Agostinacchio: L’ idea di un blog di scrittura femminile è nata nel marzo 2020 quando siamo entrati nel “confinamento”.Desideravo potermi incontrare con le voci delle donne, ascoltarle, desideravo creare uno spazio per ogni donna che volesse parlare di sé.A creare tecnicamente il blog è stato il mio primogenito Matteo che ha seguito tutte le fasi ideative, da quella iniziale alle successive e immagino anche quelle che verranno.Il blog si avvale di più pagine: inglese, francese, tedesca, spagnola.Dopo qualche mese ho pensato di offrire un’ulteriore possibilità di comunicazione. E perché, mi dono detta, non sentire le voci delle donne attraverso registrazioni audio?Questa seconda iniziativa è piaciuta davvero molto. Se si accede al blog, si possono notare tre tasti: Narrazioni, Diritti e società, La stanza delle voci. Si sceglie cosa leggere e cosa sentire.Con Narrazioni le donne possono raccontarsi attraverso poesie, storie, autobiografie, pensiero di tipo  introflessivo. Con Diritti e società, possono dire del mondo che le circonda, attraverso la narrazione di situazioni sociali, commenti su ciò che avviene intorno a sé.In ogni caso, si devono compilare i campi: Nome, Titolo del post, Categoria dove si trovano le scelte di cui detto sopra.Un semplice click e poi si scrive l’ articolo nello spazio sottostante che si firma.Solo nel caso della registrazione audio si invia a blulady50@gmail.com.Da lì io carico il file nel blog.

Nel caso non si riesca a caricare direttamente il testo, si può inviare lo scritto alla mail blulady50@gmail.com.Ultimissima cosa: per incrementare le voci di donne di altri Paesi, da due mesi qualche mio scritto viene tradotto nelle altre lingue.Ogni pagina linguistica, al di fuori di quella italiana, ha due traduttrici veramente in gamba!Ecco. Questo è tutto. Mi auguro che il blog metta sempre più ali per volare nei diversi Paesi del mondo!

Tiziano Thomas Dossena Hai altri progetti in lavorazione?
Marina Agostinacchio: Laboratori di scrittura nelle scuole delle diverse regioni di Italia.

Tiziano Thomas Dossena Sogni nel cassetto?
Marina Agostinacchio: Se rispondessi ora, prenderesti la risposta come definitiva. Conoscendomi in divenire, potrei dire il prossimo in cui mi imbatterò tra un attimo.

Tiziano Thomas Dossena Se tu potessi definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Marina Agostinacchio: Curiosa, visiva-visionaria, progressiva.

Tiziano Thomas Dossena : Se tu avessi l’opportunità di incontrare un personaggio del passato o del presente, qualsiasi personaggio che tu desideri, chi sarebbe e di che cosa parleresti con lui, o lei?
Marina Agostinacchio: Credo proprio Diego Valeri, il poeta conosciuto quando avevo nove anni, in visita nella mia scuola. Lui, al dire della maestra che ero una bambina un po’ strana che parlava secondo rime e cadenze, mi pose una mano sulla fronte a mo’ di battesimo. Ecco, se lo potessi rivedere, gli direi Grazie per avere visto in me la donna che ora sono.

Tiziano Thomas Dossena Un messaggio per i nostri lettori?
Marina Agostinacchio: Riuscire a guardare e sapere ascoltare il mondo attorno a sé.

“Dare Non Vuol Dire Necessariamente Fare” E L’Ordine Dei Templari. Intervista Esclusiva Con Domizio Cipriani [L’Idea Magazine 2021]

“Dare non vuol dire necessariamente fare” e l’Ordine dei Templari. Intervista esclusiva con Domizio Cipriani

L’Idea  Magazine: Lei è milanese di nascita e monegasco di adozione. Cosa l’ha portato a trasferirsi nel Principato di Monaco?
Domizio Cipriani: Buongiorno a tutti e grazie per la cortese intervista. Sono stato attratto dal Principato sin da giovane, per il suo inquadramento geografico, per la sua economia, per la qualità di vita e per il suo status cosmopolita. A Milano ho sempre gestito le attività di costruzioni e di sviluppo immobiliare di famiglia ed un giorno mi sono detto, perché non replicare e sviluppare questa attività redditizia beneficiando anche di un clima più mite e del mare? Allora un giorno, nonostante non conoscessi nessuno sul posto, uscendo completamente dalla mia zona di comfort, iniziai a frequentare l’ambiente monegasco, creai le mie prime società, sino poi a decidere di trasferirmi definitivamente.
Oggi potrei dire di essere in vacanza tutto l’anno! Perché facendo quello che ho creato e che amo, vivere è un piacere ed un divertimento; lavoro come fiduciario e consulente finanziario internazionale, tengo corsi e conferenze, nel 2010 venni chiamato a riattivare la parte interna dell’ordine del Tempio per cooptazione, pratico quotidianamente molto allenamento fisico e mentale, e tutto ciò non è assolutamente un peso, anzi!. È proprio il mio successo e la mia esperienza vissuta, che voglio trasmettere agli altri.

L’Idea  Magazine: Nel Suo libro “Templar Order”, Lei asserisce che fu solo durante una delle cerimonie templari che sentì la necessità di passare all’azione e di fare della beneficenza. Devo dedurre che lo scopo iniziale della resurrezione dell’Ordine non fu quindi quello di fare beneficenza. Che cosa l’ha spinto dunque a far risorgere l’Ordine dei Templari e perché ha scelto Montecarlo?
Domizio Cipriani: Come dicevo, venni chiamato a riattivare la parte interna dell’ordine del Tempio per cooptazione; l’Ordine del Tempio è un’istituzione millenaria che ha sempre avuto un seguito ufficiale nel Principato di Monaco. Gli scopi dell’Ordine e del suo centro studi, sono principalmente quelli di trasmettere l’Antica conoscenza spirituale ereditata dai nostri illustri predecessori, favorirne la divulgazione e creare dei nuovi gruppi di studio del campo quantico o coscienza collettiva, ed occuparsi del sostegno degli indigenti. Tutte queste antiche conoscenze, sono arrivate sino ai giorni nostri in forma riservata, tramite la parte interna dell’Ordine del Tempio, chiamata Ordine di Oriente, fortemente voluta e sostenuta dal Pontefice Giovanni XXII nel 1317 dopo la bolla di sospensione emanata dal Papa Clemente V qualche anno prima.
Il piccolo raggruppamento di Templari Alchimisti scampati agli arresti e rifugiatesi in Inghilterra prima ed in seguito in Scozia, presero appunto il nome di Freres Ainees de la Rose + Croix, durante la santa inquisizione fecero parte della Compagnie Angelique portata in seguito a Monaco dal Principe di Polignac. Nel 1952 il Principe Rainier III decise di ufficializzare l’Ordine pubblicamente ed eccoci ai giorni nostri. Potrete trovare tutti i passaggi storici nel mio libro “Templari e Rosacroce – l’Ordine di oriente” edito da Bastogi libri in lingua italiana ed in lingua inglese.
In merito la beneficenza è bene precisare che, “dare non vuol dire necessariamente fare”, aspetto molto più importante descritto nel mio libro; pertanto non basta dare del denaro ad una grande NGO o struttura internazionale privata o ecclesiastica, che comunque ne userà almeno l’80% per le spese di struttura, funzionamento ed impianto, riversandone solamente una minima parte a favore degli indulgenti finali.
È molto meglio agire di persona, passare all’azione, andando a distribuire i generi alimentari e i pasti caldi direttamente ai poveri, o occuparsi del proprio vicinato; è questo che ho voluto trasmettere nel mio libro.
L’ aforisma, contenuto anche nel mio blasone è: “Cogli la saggezza dal silenzio ed usa il silenzio per creare. Il miglior maestro è colui il quale è capace di restare allievo”. Potrei affermare una mia esperienza di vita: “Non devi mai rinunciare a te stesso”.

L’Idea  Magazine: Qual è lo scopo, oggigiorno, dell’esistenza di questo Ordine?
Domizio Cipriani: La parte interna dell’Ordine ad oggi è al 9902° anno di esistenza [ndr: la data mi e` stata confermata dal Sig. Cipriani], tramite il nostro centro studi e l’accademia ci stiamo limitando a continuare l’opera dei nostri illustri predecessori. Soprattutto perché, dopo secoli di silenzio, siamo richiamati in causa per tutelare i nostri diritti quali esseri umani, in questi periodi oscuri. Chiamati in causa per portare la luce e rendere pubbliche all’umanità le antiche conoscenze spirituali mai divulgate prima. Prendendo comunque le opportune distanze dalla galassia di scuole iniziatiche, ordini neo templari o massonici, governati da maestri spesso autoproclamati dal nulla, che si potrebbero definire folklore o addirittura “bidoni”, con adepti mossi da motivi affaristici, di arrivismo sociale o ancora peggio da esagerazioni di manifestazioni dell’ego.
È proprio per questo motivo che, per evidenziare chiaramente le differenze che ci contraddistinguono, stiamo realizzando, tramite il nostro centro studi Monégasco, una serie televisiva dal titolo INFINITY, quali guardiani delle antiche conoscenze Rosa+Croce.
Potrete visionare il teaser ed il trailer di presentazione, nella sezione opportunamente dedicata, all’interno del nostro sito web ufficiale.
https://www.knighttemplar.net/TemplarForum/jsp_2/studyBookInfinity.jsp
Lo scopo dei corsi dell’accademia del nostro centro studi, tenuti dai docenti che fanno parte del nostro comitato scientifico, è di far apprendere a tutti le antiche conoscenze spirituali per vivere nel qui ed ora, nel momento presente, senza essere affetto di sensi di colpa del passato o paura del futuro, l’antica via del monaco guerriero adattata ai giorni nostri. Questo utilizzando l’emisfero destro del nostro cervello, la nostra parte intuitiva. Per imparare a creare nuove opportunità a crescita esponenziale, utilizzando appunto la connessione con il campo quantico o coscienza collettiva ed il silenzio. I corsi parificati con l’università de Montaigne di Milano sono aperti a tutti gli interessati.

L’Idea  Magazine: Recentemente abbiamo pubblicato una intervista allo scrittore Michele Allegri, che ha studiato le varie peripezie di questo Ordine nel corso della storia. Allegri asserisce che “esponenti fondarono l’Ordine nel 1118, rendendolo potente ed immettendo in esso una vera e propria religione segreta, conosciuta solo ai livelli più alti dell’organizzazione, dagli alti dignitari e dal Gran Maestro. Questa religione aveva miti e riti propri, esoterici, negromantici ed antitetici rispetto alla religione cattolica e alla Regola data loro nel 1128”. Se questo è vero, come mai far risorgere quest’Ordine?
Domizio Cipriani: Come dicevo, ho scritto 13 libri in diverse lingue per descrivere tutti questi segreti e misteri che avvolgono il mito dell’Ordine, sono facilmente reperibili su Amazon e nelle principali librerie, pertanto è molto difficile riassumere la storia di 9902 anni di trascendenza in poche righe.  Comunque citiamo i passaggi chiave che spinsero i primi 7 aristocrati francesi a lasciare tutti i loro averi e partire per una missione in Terra Santa, dove restarono nove anni…
In realtà, inizialmente partirono per Costantinopoli e per la Persia ove appresero le conoscenze gnostiche dai Sufi Ismaeliti, (dei Fatimiti con i quali convissero e collaborarono in pace per molto tempo), e le conoscenze taoiste importate dall’impero di Gengis Khan; in Egitto appresero le antiche conoscenze dai pochi membri della comunità essena sopravissuti. Al rientro dalla missione, con San Bernardo, informarono il Papa delle scoperte acquisite in oriente nella casa dei padri, alchimia, astrologia, matematica, geometria, filosofia; il Papato al potere da poco tempo, a seguito della battaglia di Canossa del 1077, preferì trovare un’alleanza piuttosto che poterli avere come nemici. Fu così che diede loro pieni poteri, esentandoli dalle tasse e sottoponendoli esclusivamente al suo comando; in quel momento nacque la piu’ grande multinazionale della storia.
I Templari o commilitoni del Cristo ed i Re Franchi dal quale presero vita, erano i discendenti delle famiglie del Graal, seguaci della religione di Giovanni, del cristianesimo gnostico, dello spirito incarnato di Sant’Elia, dell’Hermes.
Tali conoscenze spirituali, i rituali di iniziazione e le conoscenze esoteriche erano praticate solo da pochi membri dell’ordine, solitamente siniscalchi e cappellani. Per esempio, il simbolo che portiamo sul nostro bianco mantello, la rossa croce patente o croce delle otto beatitudini, ha molte chiavi di lettura. Una di queste molto interessanti è che se osserviamo il sole con un telescopio di alta qualità, all’interno dell’astro, vediamo formarsi proprio incredibilmente questa forma, potrete trovare i video in rete. Helios. Un’altra rappresentazione della croce patente è nel fiore della vita, in piena armonia con il numero aureo ed è di colore rosso, l’ultima fase dell’alchimia del coaugula, sul mantello bianco seconda parte alchemica del solve. Tutto porta verso l’uno o il suo anagramma: UNI-VERSO.
Durante le mie ricerche nella biblioteca dell’Ordine, costituita da oltre 20.000 libri di alchimia, ermetismo, filosofia e fisica, ho avuto modo di approfondire la storia di Ulrich de Mayens. Ex voto compagno di studi di Lutero, guaritore, entità guida e maestro di Michel de Nostre-Dame, meglio conosciuto come Nostradamus.
Ulrich de Mayens fu alchimista e guaritore della peste del 1500, autore dell’enciclopedia Arbor Mirabilis, o “albero della conoscenza” menzionato nella genesi, opera che servirà da guida alle generazioni future, ed autore dell’aforisma: “ama il tuo prossimo piu’ di te stesso”. A seguito della sua ricerca interiore del vaso meraviglioso, fu attore di numerose avventure in India, in Cina ed in Tibet tra il 1540 ed il 1547.
Venne curato nel 1528 per un lungo periodo da Michel de Nostre-Dame, suo estimatore e discepolo di vent’anni piu giovane, nei pressi di Monsegur  in casa di una giovane donna catara, Isabelle de Montguibert  nata a Napoli da due aristocratici, morti quando lei era molto giovane. Napoli era la culla degli Arcani Arcanorum della Confraternita Rosecroix d’Or ed i Monaci Catari erano i detentori della conoscenza criptica atlantidea.
La giovane donna soprannominata Dame Gioconda, deteneva un manoscritto molto antico, con dei sigilli, precedentemente conservato in una unica copia nel Conventi Soppressi della biblioteca nazionale di Firenze, dal titolo “Liber de Doubus Principiis”, unica opera teologico/ filosofica della dottrina catara sopravvissuta alla santa inquisizione. Il libro pervenuto a Carcassonne tramite le mani di Teodorico I° “il Grande”, Re dei Visigoti, il Libro della Grande Legge rivelata agli umani dagli spiriti ascesi, o maestri invisibili “superieurs inconnues”, che suggerirono agli iniziati come rivelarne i contenuti e come spiegarli.
La Sacra dottrina del GRAAL, la stella simbolica della rivelazione apparsa a Mons-Securus, rivelazione portata nelle indie dall’Apostolo Tommaso… ove accompagnato da Giuda e Taddeo, incontrò molti grandi Re e Maharajàhs, praticando molte guarigioni tra il popolo, sino ad arrivare alle porte del paradiso terrestre, a  Colombo (Ceylon). Poi guidati dall’ispirazione divina, trovarono nella cripta di un tempio, dodici tavole di bronzo di 87 kg l’una, delle dimensioni di 40x60x3 cm, con incisa la storia dell’umanità. Tommaso riportò il tutto il contenuto nel  “Vangelo di Tommaso l’Israelita”, ancora esistente nella biblioteca nazionale Casier Migne.
Taddeo, rientrando a Gerusalemme, ne riportò una nel Tempio;  l’altra, denominata “codex Artabazii”, fu seppellita vicino al corpo di Tommaso, deceduto durante il rientro,  ai piedi di una montagna nei pressi di Coromandel nel Bengala, e conteneva la profezia più importante mai elaborata: l’Apocalisse di Tommaso.
La tavola saccheggiata dal Tempio di Salomone arrivò a San Pietro a Roma, poi Alarico la saccheggiò insieme agli altri tesori e portò tutto in Calabria, ed in seguito a diversi omicidi tra Visigoti, Teodorico le portò a sua volta a Mont-Segur. Luogo in cui secondo le predizioni avrebbe dovuto restare sino al compimento finale del destino dell’umanità. Ecco cosa protegge il famoso Priorato di Sion o “scienza delle scienze” nei dintorni di Rennes le Chateaux, il libro sacro ed una tavola di bronzo.
Dame Gioconda, ritratta da Leonardo da Vinci, era una giovane Monaca Perfettibile catara, figlia di Francesca delle Rocca, Dama alla Corte di Lucrezia Borgia e del Barone francese Hugues de Montguibert, studiosa di lettere latine, greche, ebraiche e soprattutto di musica e di teologia, oltre che di letteratura profana, si dice che conoscesse a memoria la bibbia ed altri testi antichi. Ricevette in dono nel 1517 da Caterina di Navarra, per i servizi resi alla Corte da parte di suo padre, la casa in cui viveva e nella quale era solito recarsi Michel de Nostre-Dame in visita.
A questo punto a voi di scoprire il velo dei messaggi criptici trasmessi da Leonardo… Forse per sfuggire tramite l’arte e la scienza alla santa inquisizione, ed i messaggi lasciati da Ulrich nato da un uovo verde dorato, trovato e salvato neonato vestito come un re con corona, scettro e spada, da una banda di malviventi sul Reno in una piccola gondola alla deriva….. Alchimia, teosofia, taumaturgia?

L’Idea  Magazine: Tra poco sarà pubblicato un Suo libro sulla Alchimia Essena. Di che cosa tratta? Che cos’è l’alchimia essena?
Domizio Cipriani: Facciamo una premessa: i libri in questione sono due, “I templari e gli Esseni, un filo invisibile una memoria vivente” della Santelli editore e “Le preghiere alchemiche ed ermetiche dei Rosa+Croce” delle edizioni Luoghi interiori, e trattano argomenti diversi. Le guarigioni tramite la taumaturgia ereditate dalle conoscenze degli Esseni e le Preghiere Ermetiche di San Tommaso teurgia trasmessa ai giorni nostri dai Rosacroce d’oro; ambedue portano alla vera alchimia spirituale dal quale si può comprendere che “non può esistere scienza senza coscienza”, la vera alchimia è dentro ognuno di noi, la via del Graal è la consapevolezza della beatitudine tramite la GRATITUDINE. È un manoscritto/manuale pratico, contenente anche esercizi quotidiani per imparare a vivere nel momento presente in piena ed efficace salute mentale.

L’Idea  Magazine: Un altro Suo libro in fase di pubblicazione sarà sull’ermetismo. Intende il movimento poetico o  tratta altri argomenti?
Domizio Cipriani: Visti i tempi maturi, i maestri Rosa+Croce riuniti nell’attuale sede di rappresentanza internazionale nel Principato di Monaco, denominata tecnicamente Grande Maison Metropolitaine d’Initiation, hanno deciso di svelare alcune conoscenze per la crescita etica e spirituale dell’umanità. Rivolta esclusivamente a chi ha “orecchie per intendere”, senza voler violare il libero arbitrio di ognuno di noi.
La via spirituale è un’esperienza da vivere e condividere e non vuole e non deve in nessun modo sostituirsi al credo religioso personale, che al contrario deve essere mantenuto e seguito.
Ho pensato di dare alla luce, a disposizione di tutti, dei testi elaborati direttamente da nostri saggi venerabili maestri, uno dei quali, Giuliano KREMMERZ, ha voluto essere sepolto nel cimitero di Beausoleil, un piccolo comune francese confinante con il Principato di Monaco, che frequentava spesso. Grazie Maestro!
LA SCIENZA ERMETICA concepisce l’Essere costituito da quattro parti elementari che rappresentano i quattro elementi universali e le quattro fasi involutive del principio di vita intelligente.- SOLARE, Fuoco – Principio di vita intelligente:- MERCURIALE, individualizzazione aerea del principio, prima umanizzazione.- LUNARE, mediatore plastico – Corpo astrale o lunare.- SATURNO, Terra – Corpo tangibile, organismo sensoriale.
Si consiglia la lettura degli altri libri che costituiscono la collana dell’autore per avere tutti i dati storici e bibliografici a completamento del contenuto di questo manoscritto, forse per molti versi poco interpretabile da non iniziati. In qualsiasi caso la via ermetica alchemica è semplice, è semplicemente introspettiva, basta la volontà di lanciarsi alla ricerca incondizionata del nostro “SE”.
“TEMPLAR ORDER – il cammino dei templari, la via verso la saggezza“ tradotto in quattro lingue,
“I CAVALIERI TEMPLARI, storia, segreti, filosofia spiritualità”, nella top ten di Amazon dei migliori libri sui Templari                      “LE PRIEURÉ DE SION” una scienza sociale,
“ATLANTIDE, PRIEURE DE SION ED I CAVALIERI DEL TEMPIO”,
“TEMPLARI E ROSACROCE, L’ORDINE D’ORIENTE”in versione italiana ed inglese.
“I TEMPLARI E GLI ESSENI, un filo invisibile una memoria vivente”

L’Idea  Magazine:L’Accademia di Antiche Conoscenze RosaCroce, che Lei dirige, offre dei corsi. Potrebbe parlarne un poco? Che cosa s’intende con la ricerca del Graal?
Domizio Cipriani: Di seguito vi descrivo quattro dei miei corsi universitari della facoltà di “Teoria e fisica quantistica” della Unidemontaigne. (Cliccare sull’immagine)

L’Idea  Magazine: Lei asserisce che “Il comitato scientifico del nostro centro studi Monégasco sta sviluppando con l’università di Monaco, la possibilità di realizzare una nuova facoltà di fisica quantistica  per consentire a tutti gli interessati di approfondire questo interessante percorso, molto apprezzato dai giovani”. Ottima idea, direi, ma poi aggiunge che “lo scopo dei corsi è quello di far apprendere le tecniche necessarie a vivere nel momento presente, la chiave della felicità e del successo verso il benessere, ed imparare a cogliere la saggezza dal silenzio ed usare il silenzio per creare e diventare attore della tua vita e non effetto delle situazioni”. E qui la perdo, perché non  riesco a capire la connessione tra la fisica quantistica e le tecniche da Lei menzionate. Potrebbe esplicare meglio questo soggetto? Voleva forse riferirsi alla filosofia quantistica?

Domizio Cipriani: Vi rimando ad una mia intervista andata in onda in prima serata su TELECOLOR nella trasmissione Laboratorio salute, nella quale con l’Ing Vota spieghiamo che la fisica quantistica o coscienza collettiva, è stata sviluppata il secolo scorso seguendo le antiche conoscenze spirituali. La trasmissione intitolata esoterismo templare e spiritual quantum coach.

L’ingegnere Giovanni Maria Vota, breathariano a fasi alterne (si nutre di sola energia anche per due o tre mesi senza mangiare e bere nulla), ha cercato di “Ingegnerizzare la spiritualità e l’esoterismo”. Questa è stata un po’ l’idea-guida del suo percorso quando ha iniziato ad occuparsi di spiritualità ed esoterismo per perseguire precisi obiettivi di business alla fine degli anni Novanta. Ovviamente suscitò scompigli e scetticismo tra tutti: gli ingegneri che non capivano cosa c’entrasse la disciplina matematica dell’ingegneria con qualcosa che “non è scientifico”; gli spirituali che si vedevano accostati ad ingegneri e peggio al business; chi si occupa di business che si ritengono persone “con i piedi ben piantati per terra” per fare profitto e che non si occupano di velleità “new age”.

Da buon ingegnere quando studiò le pratiche spirituali ed esoteriche gli sembrava davvero tutto molto “fumoso”. Fu incoraggiato in tutto questo da Karl Gustav Jung che gli “parlò” molto chiaramente con la sua prefazione all’I King. Cosa vuol dire “ingegnerizzare l’esoterismo e la spiritualità”? L’ingegnere è colui che crea prodotti e soluzioni che siano usufruibili da tutti. Per esempio, chiunque oggi può parlare con qualcun altro dall’altra parte del Mondo usando un “semplice” cellulare, senza doversi minimamente preoccupare dell’enorme complessità tecnologica, scientifica e organizzativa che sottostà […]. Così iniziò con molta pazienza e passione a studiare tutto ciò che riteneva potesse dargli delle chiavi di lettura: la lingua sanscrita, le tradizioni orientali e sciamaniche, quelle Hawaiane dei Kahuna, aborigene australiane, Medicina tradizionale cinese, naturopatia, e così via. E mano a mano, praticava e sperimentava nella sua vita e nel business. In questo studiare scoprì alcune tecniche davvero fantastiche, che “funzionano” ma non era però soddisfatto perché non rispondevano ad un’altra domanda fondamentale: “Perché funzionano?”. Senza questa risposta si ricade o nella fede religiosa, o nella pratica magica, o in un meccanismo di dipendenza o superstizione. Ancora una volta fu Karl Gustav Jung a guidarlo: “Rendi cosciente l’inconscio  altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino”. Perfetto! E così iniziò un approfondito viaggio nell’inconscio o subconscio, l’ipnosi, le tecniche regressive ipnotiche, per poi arrivare al Superconscio. In parallelo a questi studi però altri studi lo catturarono e furono quelli della fisica quantistica. Per farla breve, l’antica spiritualità e le sue ricerche sulla moderna fisica quantistica gli permisero di creare quelle basi teoriche, su cui creare un metodo di coaching pratico, veloce e “sicuro” che può essere appreso facilmente da parte di tutti al punto che poi ognuno può poi crearsi il suo metodo. Lo Spiritual Quantum Coaching è nato così, come strumento che permette di cambiare la propria vita e volendo anche quella degli altri in una ritrovata armonia tra il razionale e lo spirituale. Perché l’obiettivo è vivere al meglio la nostra vita qui, adesso, su questo pianeta, una vita che riassumevo in uno slogan: “Una vita di Spiritualità, Salute, Sapere, Saggezza, Soldi, Sesso e… ‘Sciampagne!?”. Sì perché è possibile vivere senza soffrire psichicamente e gli insegnamenti ci sono tutti! Si tratta di comprenderli e soprattutto viverli con costanza e determinazione giorno per giorno.

L’Idea  Magazine: Secondo quanto mi ha riferito Lei, esiste anche un Forum gratuito su www.knighttemplar.net, ma quando l’ho visitato si chiede di iscriversi all’Accademia per seguire i corsi, per una cifra simbolica di 20 euro al mese. Non sono riuscito a trovare altre descrizioni del contenuto del Forum o dei corsi. Non capisco bene come ci si possa aspettare una inscrizione ad un corso senza sapere cosa contiene. Mi aiuti a chiarire la mia mente al proposito.
Domizio Cipriani: Cliccando nel menù del nostro sito web ufficiale www.knighttemplar.net nella voce forum, potrete avere accesso gratuitamente al nostro forum di metafisica, fornendo solamente uno pseudonimo ed un indirizzo email. Poi per chi volesse seguire il primo livello dei corsi di formazione della nostra accademia che prevede solamente un rimborso spese, potrà visionare tutto il programma ed eventualmente iscriversi cliccando sul pulsante al centro della home page.
Utilizzando il menù in alto a destra si potrà accedere e visionare tutti i dipartimenti della nostra istituzione. Lo scopo dei corsi dell’accademia del nostro centro studi, tenuti dai docenti che fanno parte del nostro comitato scientifico sono proprio mirati a far apprendere a tutti le antiche conoscenze spirituali per vivere nel qui ed ora, nel momento presente, senza essere effetto di sensi di colpa del passato o paura del futuro. Questo utilizzando l’emisfero destro del nostro cervello, la nostra parte intuitiva. Per imparare a creare nuove opportunità a crescita esponenziale, utilizzando appunto la connessione con il campo quantico o coscienza collettiva ed il silenzio. I corsi sono aperti a tutti  e mettiamo a disposizione le nostre conoscenze per il cammino spirituale individuale. Esperienza da vivere e condividere, mantenendo la pratica ed  il proprio credo religioso così come deve essere. Preferiamo non schierarci in valutazioni politiche e religiose per scelta, anche se siamo ovviamente per le chiese, la salvaguardia della famiglia e dei valori cristiani, oltre che dell’etica ovviamente.

L’Idea  Magazine: Ci sono altri progetti in fase di evoluzione per l’Ordine dei Templari?
Domizio Cipriani: Stiamo realizzando, tramite il nostro centro studi Monégasco, una serie televisiva dal titolo INFINITY, quali guardiani delle antiche conoscenze Rosa+Croce.
Potrete visionare il teaser ed il trailer di presentazione, nella sezione opportunamente dedicata, all’interno del nostro sito web ufficiale.
https://www.knighttemplar.net/TemplarForum/jsp_2/studyBookInfinity.jsp

L’Idea  Magazine: Chi può aderire all’Ordine? Quali sono i requisiti necessari?
Domizio Cipriani: Chiunque puo’ avvicinarsi a noi a condizione che abbia voglia di studiare e mettersi in gioco, indossare il mantello non è un privilegio, è una missione divina per aiutare gli altri con amore incondizionato nella gratitudine.

L’Idea  Magazine: Ci sono altre sedi dell’Ordine, a parte quella di Montecarlo?
Domizio Cipriani: No la grande maison metropolitane d’initiation dell’ordine d’oriente è l’unico punto di riferimento mondiale

L’Idea  Magazine: Se Lei potesse incontrare un personaggio storico di qualsiasi epoca, chi sarebbe e che cosa gli o le chiederebbe?
Domizio Cipriani: Sicuramente Leonardo, sarebbe un onore condividere con lui la sua espansione di coscienza in tutti gli ambiti

L’Idea  Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Domizio Cipriani: Consiglio a tutti la frase estratta dal vangelo di LUCA, credo sia quella più determinante per poter giungere ad una immediata comprensione delle finalità prefisse nella nostra missione:
Perché non c’è nulla di segreto che non debba essere scoperto e nemmeno nulla di nascosto che non debba essere conosciuto e reso pubblico” (LUCA VIII, 17)
Grazie mille per l’attenzione, spero di potervi incontrare presto nel nostro bel Principato, auguro una magnifica giornata a tutti, restando a disposizione per ogni eventuale informazione tramite il nostro indirizzo email: templiersmonaco@yahoo.fr
Un caro abbraccio, non nobis. Vostro fratello cavaliere Domizio

“Le Mie Emozioni Sono Il Mezzo Per Raggiungere L’obbiettivo…” Intervista Esclusiva Con Melania Dalla Costa [L’Idea Magazine 2021]

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Melania Dalla Costa. Foto Maria La Torre

Melania Dalla Costa è un’attrice, sceneggiatrice, produttrice e attivista italo francese, nata il 25 febbraio 1988 a Marostica. Ha debuttato sul piccolo schermo con un ruolo nella soap Un posto al sole durante la stagione 2014 a cui hanno fatto seguito Immaturi, fiction diretta da Rolando Ravello (2016), e il film Pamuk Prens (2016).
Nel mese di settembre 2018, Forbes Italia la sceglie come unica artista per rappresentare, durante l’evento Forbes Live, l’eccellenza Made in Italy.
Grazia Arabia, nel numero di febbraio 2020, sceglie Melania Dalla Costa come una delle donne internazionali che ispirano il magazine, grazie al lavoro svolto dall’attrice a livello internazionale.

L’Idea MagazineMelania, sei il produttore creativo di Magic Fair, boutique sales e production company basata in US, Italia e Russia. Che cosa ti ha portato da essere attrice e sceneggiatrice a questa attività?
Melania Dalla Costa: Scrivo sceneggiature perché ho voglia di raccontare storie, situazione e sentimenti di persone che lottano per raggiugere i loro obbiettivi, personaggi che non si abbattono davanti alle avversità, ma si alzano e si impegnano per trovare una soluzione. Grazie a loro lancio un messaggio a tutti: combattete e non arrendetevi perché con amore e coraggio nulla è impossibile. Il cinema è povero di personaggi forti femminili, cerco con le mie sceneggiature di dare spazio alle donne e delle donne sono le protagoniste. Sono attrice perché ho un forte bisogno di comunicare e in qualche modo quando il mio personaggio vince, raggiungendo il suo obbiettivo, vinco anche io. Sono il Creative Producer di Magic Fair LLC perché queste storie bisogna produrle anche e distribuirle, anche se non mi occupo solo dei miei progetti personali, ma certo scegliamo, secondo noi, i migliori film con forti messaggi e con un alto valore artistico e culturale.

L’Idea MagazineHanno iniziato a girare in Liguria il film “Umbrella Sky”del quale sei il produttore associato. Che cosa implica questa tua funzione? Di che cosa parla il film?
Melania Dalla Costa: Mi sono occupata di sviluppare la coproduzione tra Italia e Ucraina, un’operazione non facile, è il core business di Magic Fair. Umbrella Sky parla del giovane italiano Michele (interpretato da Simone Costa), che ha radici ucraine, si reca in un villaggio abbandonato dei Carpazi per spargere le ceneri di sua madre. Qui vive suo nonno Michael (Bogdan Benyuk), un ex clown di nome “Buba”. La relazione tra Michael e Michele è accompagnata da una serie di strani eventi che trasformano le cose serie in tragicommedia e uniscono per sempre i destini, un tempo divisi, di nonno e nipote.

Bogdan Benyuk e Simone Costa, i due protagonisti del film Umbrella Sky.

L’Idea MagazineParliamo un po’ dei tuoi film come attrice. Sei stata nel cast del successone turco Cotton Prince (Pamuk Prense). Di che cosa trattava il film e che differenza trovasti a lavorare in un cast extraeuropeo?
Melania Dalla Costa: Parla della vita di un attore famoso, che all’improvviso si ritrova a perdere tutto e si rende conto che l’unica cosa importante è l’amore, che deve riconquistare. Ho girato a Venezia, all’Hotel Danieli, ed ero l’amante del protagonista. Ovviamente il budget, i doppi ciack, perché ho girato in inglese ed in turco. Un’esperienza che mi ha fatto sicuramente crescere. Ero molto preoccupata all’inizio, ma poi ho vinto l’emozione.

Foto L’Officiel

L’Idea MagazineL’anno dopo sei stata del film Stato di Ebbrezza, diretto da Luca Biglione, un film molto impegnativo che ha anche partecipato al Marché del Festival del Cinema di Cannes. Può parlarcene un po’?
Melania Dalla Costa: Il mio personaggio è Beatrice, una giovane madre tossicodipendente, bipolare e con idee di suicidio. Nel cast c’è Francesca Inaudi ed Antonia Truppo. È stato molto difficile interpretarla perché è lontana dal mio stile di vita. Ho praticato lo sci nordico a livello agonistico per dieci anni e ancora oggi mi alzo alle 6 del mattino per andare a correre. Ho una vita sana. Sono troppo libera ed indipendente per dipendere da qualcuno o qualcosa. Quindi ho dovuto fare un percorso molto difficile frequentando delle cliniche dove ho potuto intervistare pazienti e medici, per affacciarmi al mondo della droga. È stata un’esperienza che non dimenticherò mai. Chi fa uso di sostanze stupefacenti ricerca il coraggio, che non ha, per affrontare delle situazioni, la vita. Beatrice si sente inadeguata perché non è cresciuta in una famiglia che l’ha amata e sostenuta. Ho dovuto portare Beatrice in basso, farle toccare il fondo, tentando il suicidio, tagliandosi le vene e poi l’ho fatta crescere e splendere come un fiore immenso e luminoso. Quando creo un personaggio lo lego ad una canzone e quella di Beatrice è Hallelujah cantata da Jeff Buckley, che tra l’altro è anche il mio cantante preferito. Il testo, però, è stato scritto da Leonard Cohen e spiega che diversi tipi di hallelujah esistono, e tutte le hallelujah perfette e infrante hanno lo stesso valore. Per interpretare Beatrice e affrontare il tema della “disintossicazione” ho dovuto fare un viaggio dentro di me e aprire le porte dei luoghi più bui della mia anima. È stato doloroso anche per me e anche liberatorio. Finite le riprese, per alcuni mesi, ho vissuto in uno stato di limbo per poi rinascere anch’io. Le mie emozioni sono il mezzo per raggiungere l’obbiettivo, quindi devo conoscere me stessa intimamente, e ogni conflitto o battaglia del personaggio altro non è che la lotta nel perseguirlo. Beatrice rivuole la sua vita e riavere la sua stella polare: sua figlia! Beatrice combatte per l’amore.

L’Idea MagazineNello stesso anno hai girato il film “I Sogni Sospesi, da te scritto e diretto dalla regista Manuela Tempesta. Durante la 76’ edizione della Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia sei stata anche una delle protagoniste del festival, presentando ufficialmente il film nello spazio della Regione Veneto all’Hotel Excelsior al Lido di Venezia.  Che sensazione fa recitare in un film del quale hai creato la sceneggiatura? Questo film tratta un argomento molto delicato, la violenza sulle donne; che cosa ti ispirò a scrivere quella storia?
Melania Dalla Costa: Volevo dare voce a tutte le vittime di violenza, che non riescono a denunciare perché si sentono in colpa e colpevoli. Il mio approccio nell’interpretare Marlène è stato molto profondo e allo stesso tempo una grande emozione perché era il mio progetto e soprattutto avevo una grande responsabilità. Grazie a questo progetto l’UNICRI (ONU) mi ha chiesto di diventare la loro testimonial della campagna contro la violenza sulle donne.

L’Idea MagazineL’anno scorso hai girato come protagonista il cortometraggio Three, diretto da Alberto Bambini. Il filmè stato selezionato come miglior horror al Los Angeles Film Awards 2020. Il regista ha dichiarato: “Ho costruito questo personaggio con l’attrice Melania Dalla Costa che trovo molto professionale e camaleontica. Melania ha costruito dentro di sé una voce capace di descrivere fino in fondo le paure di Camilla”. So che molti attori di alto livello si immedesimano completamente con il personaggio che recitano. È successo così anche a te?
Melania Dalla Costa: Io non divento il personaggio, è il personaggio che diventa me. Io sul set devo vivere e non recitare perché bisogna sempre essere fedeli alla verità. Three è stato il mio primo progetto horror, ero molto incuriosita e soprattutto amo sfidarmi e superarmi. Mi piace mettermi in difficoltà.

Foto L’Officiel

L’Idea MagazineIn televisione hai fatto pure molta presenza. Per esempio la tua partecipazione nel 2012 di “Un posto al sole”, serie della quale hai asserito: “Da piccola la seguivo tutti i giorni, tra l’altro è la più longeva in Italia. Ora recito con gli attori che guardavo in televisione e faccio parte della storia. Direi… fantastico!”  È stata veramente una esperienza entusiasmante quella di far parte del soap di Raitre? Quanto durò?
Melania Dalla Costa: Durò circa un anno e mi sono ritrovata all’interno di una famiglia; per me “Un Posto al Sole” è stata una palestra dove poter imparare, rubare dagli altri attori e migliorare. Da piccola la seguivo davvero tutti i giorni ed è stato pazzesco poi farne parte. Le persone che ci lavorano sono fantastiche e ti fanno sentire a casa. Volevo però darmi altre possibilità e quindi poi fare nuove esperienze ed affacciarmi a nuove opportunità e sfide.

L’Idea MagazineHai anche scritto molte sceneggiature per film. Potresti dirci come scegli il soggetto delle tue storie? Sono tutte storie tue? Qual è la sceneggiatura della quale sei più orgogliosa? [possono essere anche più di una]
Melania Dalla Costa: Ognuna ha il suo fascino ed è importante per me. Le storie le vedo scorrere davanti a me, fissando un punto, ad esempio guardando fuori dal finestrino. “Medusa”, una storia fantasy, con una supereroina donna, l’ho sognata di notte. Non posso svelare troppo, però le mie storie le vedo per immagini.

L’Idea Magazine:  Negli ultimi due anni, hai accumulato molti premi per la tua attività cinematografica. Qual’è il premio che ti è più caro?
Melania Dalla Costa: Non festeggio mai i miei successi, ed in questo sbaglio. Non sono molto felice, perché penso sempre che il meglio arriverà e per questo devo ancora lavorare molto. Le mie amiche mi sgridano per questo. Ho vinto premi come miglior attrice a Las Vegas, Los Angeles, New York, ma vivo tutto ciò come cose normali, con umiltà e semplicità. Sono il risultato del mio lavoro e quello della mia squadra.

L’Idea MagazineCome attrice hai già alle spalle un curriculum da invidiare, ma ti sei dimostrata anche una modella di successo; hai presentato modelli di Chanel, sei stata immortalata da fotografi di alto nome e sei apparsa sulla copertina di molte riviste. Quale è stata l’esperienza più eccitante in questo campo? Quale è stata la tua prima passione? Fare l’attrice o la modella?
Melania Dalla Costa: Il lavoro come modella è arrivato prima, anche se dall’inizio volevo lavorare, invece, come attrice. Quest’anno sono stata sulla copertina de L’Officiel Italia, in edicola, e su quella di Harper’s Bazaar Serbia, sempre in edicola, per parlare dei mie nuovi progetti come attrice. Il mondo della moda mi piace molto, ma quello dell’attrice è magico.

Melania in una delle foto pubblicitarie per Chanel.

L’Idea Magazine: Artribune, il più autorevole magazine culturale italiano, ti ha definito come La Musa di Giovanni Gastel (icona internazionale della fotografia). A conferma di ciò, sei stata, tra il 2018 e il 2019, la protagonista e l’unico soggetto della mostra “Cattura” del famoso fotografo. Tu sei d’accordo su questa definizione?
Melania Dalla Costa: Penso che Giovanni Gastel sia uno dei fotografi contemporanei più bravi. Non pensavo potesse nascere una collaborazione tra noi, anche se io la desideravo molto. Ci siamo conosciuti ad un evento di Vanityfair. È nato tutto in quel momento. Abbiamo fatto un servizio fotografico di un intero giorno. Giovanni Gastel dice di avermi scelta perché ho dei tratti che gli ricordano quelli di Claudia Cardinale e di quelle attrici lì. A volte mi sento come se non appartenessi a questa epoca, preferisco non uscire la sera e magari ascoltare musica classica o studiare. È un po’ la mia dimensione, estraniata dalla nostra società.

L’Idea MagazineIn aggiunta alle tue attività di attrice, sceneggiatrice e modella, ti sei data da fare anche come attivista, e sei stata la testimonial della campagna 2019 contro la violenza sulle donne delle Nazioni Unite (UNICRI).  Noto adesso il legame con la tua scelta della sceneggiatura per “I Sogni Sospesi”… Che cos’è l’UNICRI? Che cosa ti ha fatto scegliere questa campagna? Che attività erano legate a questa campagna?
Melania Dalla Costa: Il 25 novembre l’Assemblea Generale dell’ONU ha ufficializzato una data che fu scelta da un gruppo di donne attiviste, riunitesi nell’Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà nel 1981. Questa data fu scelta in ricordo del brutale assassinio nel 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leonidas Trujillo, il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell’arretratezza e nel caos per oltre 30 anni. Il 25 novembre 1960, infatti, le sorelle Mirabal, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare. Condotte in un luogo nascosto nelle vicinanze furono stuprate, torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente.
Ho deciso di partecipare a questo prestigioso progetto, e sono onorata di averne fatto parte, perché con tutte le mie forze ed il mio cuore voglio aiutare chi soffre.
Il tema della campagna scelto per il 2019 s’incentra sull’uguaglianza di genere e rappresenta una chiamata collettiva contro lo stupro.
Secondo l’ONU ancora oggi una donna su tre è vittima di forme di violenza nell’arco della sua vita. In tempi di guerra e di pace e in ogni paese, le donne subiscono abusi sessuali. Lo stupro si radica nelle credenze patriarcali, nelle dinamiche di potere e nel bisogno di controllo. Questi sono in larga misura gli elementi alla base di società dove la violenza sessuale è pervasiva, troppo spesso ignorata e ridotta a un fatto della quotidianità. Negli ultimi anni la voce delle sopravvissute e degli attivisti ha generato una reazione mondiale e raggiunto un crescendo che non può più essere ignorato. Una richiesta di cambiamento che sta producendo effetti ovunque.
La giornata internazionale del 25 novembre vuole inoltre essere un richiamo all’emancipazione delle donne e delle ragazze in ogni settore e in ogni paese. Oggi più che mai è necessario rispondere a questa chiamata per creare le condizioni di una società dove le donne non siano più discriminate e abusate.
L’UNICRI è l’Istituto dell’ONU che si occupa di prevenzione del crimine e rafforzamento della giustizia come basi fondamentali per la protezione dei diritti umani e dello sviluppo. Dall’anno della sua creazione (oltre 50 anni fa), si è occupato di vittime di abusi e di promuovere la protezione dei segmenti più vulnerabili della popolazione attraverso ricerca, assistenza, empowerment, riforme legali e attività di formazione. La campagna racconta, per immagini, la storia di una donna vittima di violenza.

L’Idea Magazine:  A parte “Umbrella Sky”, hai altri progetti in lavorazione o perlomeno in fase di sviluppo?
Melania Dalla Costa: Almeno 12, ma non vorrei e non posso svelare di più. Credo fermamente in ciò che faccio e tutto quello che inizio lo porto a termine.

L’Idea MagazineSogni nel cassetto?
Melania Dalla Costa: Un attico a New York e avere tempo per me stessa, anche se non dovrebbe essere un sogno, ma ho sempre pochissimo tempo per me.

L’Idea MagazineSe potessi incontrare un personaggio del passato o del presente, chiunque sia, e poter porre qualsiasi domanda, chi sarebbe la persona in merito e che cosa chiederesti?
Melania Dalla Costa: Vorrei incontrare Gesù, ma la domanda è un segreto.

L’Idea MagazineUn messaggio per i nostri lettori?
Melania Dalla Costa: Sognate in grande!

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