La Lira Silente, Primi Sonetti di Edna St.Vincent Millay. [L’Idea Magazine 2019]

 Recensione di Tiziano Thomas Dossena

Nel leggere i sonetti della raccolta di Edna St. Vincent Millay a titolo La Lira Silente is capta la personalità della poetessa, che non ha certamente peli sulla lingua riguardo l’espressione dei propri desideri sessuali, delle proprie debolezze, ma anche del proprio astio, della rabbia repressa ch’ella sente per chi l’ha abbandonata o le ha fatto qualch spregio. I sonetti hanno una carica che è straordinaria quando poniamo Millay nel contesto del tempo in cui visse. E la possibilità di captare ed apprezzare questa carica, questa emotività espressa senza freni o rimorsi della poetessa la possiamo avere grazie all’ottima traduzione di Laura Klinkon, che è riuscita a ritenere il linguaggio fin troppo onesto di questi sonetti evitando di legarsi alla struttura poetica, che in realtà non è riproducibile in traduzione senza alterare il vero significato dei versi.

La versione italiana ritiene il ritmo dei versi ma non li forza, anzi li scioglie in un linguaggio che è tanto simile a quello originale in inglese che ci si pone la domanda su come abbia fatto la traduttrice a ricreare così validamente questi sonetti quando ha incontrato le molte espressioni idiomatiche usate dalla Millay. Ottimo lavoro, quindi, che ci permette alfine di leggere questi sonetti in una versione italiana non solo accettabile e comprensibile, ma direi anzi superlativa.
Complimenti quindi alla traduttrice che è riuscita a produrre questo magnifico libro.

Trascrivo dal libro (Pag. 67) una delle poesie che può dare un’idea di come possa essere stata ardua la traduzione:

Oh, mio amato, hai mai pensato a questo:
Come negli anni a venire il tempo senza scrupoli,
Più crudele della Morte, ti strapperà dal mio bacio,
E farà te vecchio, e lascerà me nel fiore degli anni?
Ocome noi, che scaliamo insieme ancora
Per un po’ la dolce, immortale altezza
Che nessun pellegrino può ricordare né dimenticare,
Indubbio come gira il mondo, in una granitica notte
Ci sdraieremo svegli e scopriremo la fiamma graziosa
Adesso spenta per sempre sulla nostra pietra comune;
E ricorderemo che quel giorno che venisti
Io ero bambina, e tu un eroe cresciuto?
E passerà la notte, e proromperà lo strano mattino
Sulla nostra angoscia l’una per l’altro!

 

La Lira Silente; Primi Sonetti di Edna St. Vincent Millay
Traduzione di Laura Klinkon
Stesichorus Publications, Rochester, NY, 2017

Portare La Musica Italiana Nel Mondo: Dal Barocco Al Pop, Dalla Classica a Quella D’emigrazione. Intervista Esclusiva Con Elena Buttiero e Ferdinando Molteni. [L’Idea Magazine aprile 2019]

 

Portare la musica italiana nel mondo: dal barocco al pop, dalla classica a quella d’emigrazione. Intervista esclusiva con Elena Buttiero e Ferdinando Molteni.

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Il 17 aprile prossimo, presso la Casa Italiana della New York University, Elena Buttero e Ferdinando Molteni presenterano lo spettacolo “Verso Nuova York, Stories and Music of Italian Migration” e ci hanno gentilmente concesso un’intervista.

L’Idea: Questo imminente spettacolo negli USA, nella prestigiosa sede della Casa Italiana Zerilli Marimò della New York University non è di certo la vostra prima esperienza americana o all’estero. Come avete trovato il pubblico statunitense in passato? Avete notato delle differenze nel modo che il pubblico si manifesta nelle varie nazioni?
Elena Buttiero: La nostra prima trasferta negli Usa è avvenuta nel 2009 ed annualmente ritorniamo per qualche data. Il pubblico americano è particolarmente interessato alle nostre proposte che sempre riguardano la musica italiana.
Ferdinando Molteni: Siamo stati molte volte negli Stati Uniti a suonare. Non solo a New York, ma anche in tante altre città. Abbiamo sempre trovato un pubblico attento e rispettoso. Certo, New York da questo punto di vista è speciale. L’amore che manifesta per la cultura italiana è unico. In Europa, ancora una volta, abbiamo incontrato persone interessate e curiose. E persino in Africa, dove abbiamo suonato qualche anno fa. L’Italia è amata e apprezzata ovunque.

L’Idea: Da dove è saltata fuori l’idea per questo vostro spettacolo sulla migrazione italiana negli USA? Come si sviluppa questo vostro spettacolo bilingue? Porterete questo spettacolo anche in altri teatri?
Ferdinando Molteni: Questo progetto è nato qualche anno fa. Le nostre regioni di origine – il Piemonte e la Liguria – hanno avuto una lunga stagione di emigrazione verso le Americhe. Personalmente ho avuto un avo che ha lavorato alla ricostruzione di San Francisco dopo il terremoto del 1906. E la famiglia di mia madre è imparentata con il Generale Belgrano, eroe dell’Argentina. Elena ha avuto antenati che da Genova si sono imbarcati per il Sud America.  Ma in tante famiglie delle nostre parti si possono trovare storie simili. Dunque il nostro rapporto con le Americhe è profondo.

L’Idea: Voi avete lavorato assieme anche in altri progetti musicali, in passato. Potete parlarcene? 
Elena Buttiero: Nel campo della musica antica abbiamo due progetti che uniscono musica e storia: uno con la formazione Arethusa Consortium dedicato alla musica barocca italiana ed al rapporto tra la musica del nostro paese e le sue influenze sulla la musica di Scozia ed Irlanda.

Recentemente abbiamo dato vita ad un progetto legato ad un fatto storico avvenuto nel 1795 nel Mar Mediterraneo di fronte alla nostra città nel quale si sono fronteggiate in una storica battaglia navale le navi inglesi, francesi e del Regno di Napoli.

Ferdinando, che di formazione universitaria è uno storico, si occupa dell’inquadramento storico dell’evento ed io con altri musicisti mi occupo delle musiche dell’epoca. Abbiamo girato pochi giorni fa un filmato per il National Geographic sull’evento.

Ferdinando Molteni: Ci siamo dedicati in questi ultimi anni in particolare alla canzone d’autore italiana. Abbiamo lavorato sulla musica di Luigi Tenco soprattutto. Ma Elena ha suonato anche tanta musica classica.

L’Idea: Signora Buttiero, lei è musicista e insegnante.  Suppongo che abbia delle grandi soddisfazioni in ambedue le attività, ma come riesce a trovare il tempo per i concerti e le altre performances? 
Elena Buttiero: L’insegnamento assorbe molto temo ed energie, ma non a scapito delle esibizioni, dello studio e della ideazione di progetti musicali nuovi. Ogni anno per poter volare negli States utilizzo dei permessi che la scuola italiana consente ai docenti di materie artistiche per svolgere attività musicale dal vivo.

L’Idea: Quale è stato il progetto più difficile, dal punto di vista musicale, al quale ha partecipato?
Elena Buttiero: Negli ultimi anni ho suonato come musicista di scena in spettacoli teatrali. Per affrontare questo ruolo ho dovuto abbandonare le abitudini di palco da musicista classica. Anche se l’impegno personale all’interno della spettacolo è ridotto rispetto all’impegno in un rècital, mi sono accorta che ho affrontato la nuova esperienza con una certa apprensione.

L’Idea: Signor Molteni, lei scrive, compone musica, canta. Un vero e proprio rappresentante del concetto rinascimentale, un artista a 360 gradi. Complimenti. Vedo che ha scritto molto su Luigi Tenco. L’affascina questo personaggio della musica italiana? Ci parli un poco di questi testi.
Ferdinando Molteni: Ho dedicato a Tenco un po’ del mio lavoro. È un artista che amo e che rispetto. Forse la cosa più importante che ho fatto è un libro, intitolato “L’ultimo giorno di Luigi Tenco”, uscito qualche anno fa per l’editore Giunti.

L’Idea: Chi è l’artista con cui ha lavorato che le ha fatto più impressione?
Ferdinando Molteni: Da giovanissimo, ho avuto la fortuna di lavorare con Giorgio Albertazzi. Se devo pensare a qualcuno, penso a lui.

L’Idea: Avete un messaggio da inviare ai nostri lettori in America?
Elena Buttiero e Ferdinando Molteni: Non dimenticate l’Italia. Come l’Italia non dimentica voi.

“Un Anno e un Giorno”. L’esperienza di un’insegnante milanese a New York. [L’Idea Magazine, Aprile 2019]

Recensione di Tiziano Thomas Dossena

Ornella Dallavalle

Nel leggere il romanzo di Ornella Dallavalle a titolo Un Anno e un Giorno devo confessare che avevo dei pregiudizi creati da una informazione superficiale sul libro che informava delle sue critiche al sistema educativo americano. Da buon Nuovayorchese  immediatamente mi ero messo in posizione di difesa: “Come? Critica il sistema scolastico di New York? È facile criticare se non si hanno delle proposte vaide per migliorarlo. E poi, che ne sa lei, una milanese, delle scuole di New York? E così via…”

Mi sono dovuto ricredere. Le sue critiche sono in realtà solo osservazioni più che corrette, e questo l’ho potuto verificare non solo perchè ho studiato a New York, ma anche perchè mia moglie ha insegnato vari anni in questa città. In realtà, il punto focale del libro non è la carenza del sistema educativo, che tra l’altro è stata presentata in modo chiaro e persuasivo dall’autrice, ma il suo rapporto con gli studenti. La tenacità ed il potenziale di alcuni studenti che, grazie soprattutto a lei, riescono non solo a sopravvivere in tale sistema, ma a fiorire e continuare gli studi ad altro livello, è sfortunatamente appaiata dal fallimento della scuola con altri che vengono ‘persi’ e probabilmente si dedicheranno in futuro ad attività criminose.

Nonostante Dallavalle offra delle soluzioni ad ampio raggio, che chiaramente pur essendo valide richiederebbero un cambiamento di mentalità degli amministratori che non  avverrà di certo in brevi tempi, le sue esperienze in tale città portano a pensare che si sia rassegnata a modificare il sistema attraverso la propria dedizione d’nsegnante, e questo libro lo attesta. I problemi di questa città americana, e non solo di questa, sono complessi e risalgono agli anni sessanta, quando una nuova ondata di immigrazione invase la città (principalmente afroamericani in un loro esodo dagli stati del sud che ancora riteneva leggi locali e mentalità a base razzista), seguita a breve da una seconda ondata di immigranti centroamericani e sudamericani, fatti ambedue che portarono molta confusione in un sistema creato principalmente per gli studenti nati e cresciuti in loco. In una nazione in cui la politica ha sempre più influenza su tutto ciò che avviene, i cambiamenti sono spesso superficiali e servono solo a convincere gli elettori che si sta facendo qualcosa in merito, niente di più. Oltre a ciò, negli ultimi vent’anni ci si è voluti mettere a fuoco, erroneamente, sull’inefficacia degli insegnanti e contemporaneamente limitare l’indipendenza e la creatività degli stessi con regole e sistemi a volte troppo restrittivi e puerili.

Detto questo, ritorniamo a questo magnifico romanzo, che è in realtà un diario dell’anno iniziale dell’insegnamento dell’autrice a New York. Bello, si, è proprio un bel romanzo; scritto bene, ben pesato e sviluppato, Un Anno e un Giorno riesce a carpire non solo l’attenzione del lettore, ma anche il suo cuore, portandolo in un mondo affascinante ed allo stesso tempo anche terrificante per le sue inadeguatezze. Le sue osservazioni ci aiutano a capire che New York è un mondo a sè, con tanti difetti ma anche tanti pregi che rendono tale città qualcosa di diverso, incantatore e incantevole anche e nonostante tali difetti.

Dallavalle ci ha voluto presentare non solo le proprie esperienze, ma anche mettere a nudo la propria ‘love story’ con questa città e lo fa con convinzione e sensibilità.  Alcuni passaggi portano con sè una carica emotiva sensazionale:

“New York è l’unico posto al mondo in cui, anche chi ci arriva per la prima volta, ha l’impressione di ritornarci. Sarà per i film o per la facilità con cui ci si orienta, ma è facile sentirsi newyorchesi dopo un pomeriggio passato a passeggiare tra le street e le avenue.
New York è la citta dei mille taxi gialli. Degli americani che camminano con il loro caffé tra le mani. Dei barboni seduti tra l’indifferenza di uomini d’affari e grattacieli di centinaia di piani. Della quinta avenue con i suoi lussuosissimi palazzi. Della tranquillità di Central Park. Della cordialità delle persone che, se ti vedono in difficoltà, si offrono di aiutarti.

New York è tutto e il suo contrario. È la citta delle mille diverse razze. Della gente reale, viva. Sono cinque giorni che la percorro in lungo e in largo e ancora mi fermo incantata a guardare le persone. Emanano energia, forza e grande determinazione. Ogni cosa qui sembra elevata all’ennesima potenza. È più grande, più sporca, più colorata, più rumorosa, più vera, più crudele, più accattivante, più animalesca, più umana.

New York è la citta dei ragazzi di colore che ballano l’hip hop. Delle limousine che sfilano nelle strade. Dell’incanto del ponte di Brooklyn di notte. Degli operai della metropolitana che lavorano ascoltando la musica di Aretha Franklin. Delle stradine e dei prati verdi del West Village. Delle ragazze che girano in pigiama o vestite come principesse. Del mio naso sempre all’insù. E del cielo.
New York non dorme mai. Con i suoi negozi aperti ventiquattr’ore su ventiquattro. Le sue ventidue linee della metropolitana in continuo movimento. La musica per le strade. Le sirene che urlano impazzite e i camion dell’immondizia che girano per tutta la notte.
A pelle si percepisce che è una citta di lottatori e lottatrici.”

Questa carica diventa addirittura impressionante quando l’autrice è testimone di una delle più grandi tragedie di questo secolo, l’attacco al World Trade Center:

“Maria mi informa che due aerei hanno colpito le torri gemelle. È sicuramente un attentato.
“Un attentato? Come? Perche?” Cammino velocemente lungo il corridoio in direzione del lato nord-ovest, quello che guarda verso il sud di Manhattan, fino a raggiungere una finestra. L’azzurro del cielo settembrino è coperto da una nuvola grigia di fumo, le torri gemelle sono in fiamme. È una visione surreale e crudele al punto da togliere il fiato.
Pochi istanti dopo crollano. Tutto succede in silenzio, quasi al rallentatore. La scuola, per un istante, si trasforma in un’immensa mongolfiera. Mi sembra di fluttuare nell’aria insieme alla pioggia di fogli bruciacchiati e ai brandelli di documenti che, volando, stanno attraversando il fiume e inondando Brooklyn, quasi per lasciare una testimonianza corporea delle migliaia di persone che hanno appena perso la vita, soffocate, sotterrate da tonnellate di macerie, bruciate.
Il panico si scatena a scuola. Nel corridoio, Fernando, uno degli studenti della mia Junior class, urla disperato “Mamma, mamma”, in quattro cercano di tenerlo fermo e rassicurarlo eppure continua a dibattersi, come un agnello prima del macello.
I terroristi hanno colpito il centro finanziario di New York, hanno probabilmente ucciso molti professionisti dell’economia mondiale ma accanto a loro, dentro le torri, c’erano anche le centinaia di persone che, come la madre di Fernando, lavoravano come inservienti, camerieri, personale delle pulizie.
E il mio pensiero va a quei volti che ho incontrato solo tre giorni fa: al ragazzo dell’ascensore, alla barista del Windows of the World, al cameriere che era stato cosÌ gentile con me.
A poche ore dall’attentato la citta è in ginocchio, non funziona più nulla, non si riesce a telefonare né a spedire una e-mail, tutti i mezzi di trasporto sono bloccati. Siamo immobilizzati, incapaci di rassicurare i nostri cari, di dire loro che siamo ancora vivi. È una sensazione terribile, di totale impotenza”.

Questa sua sensibilità le permette inoltre di captare la potenzialità degli studenti a lei affidati e di offrire loro una strada alternativa a quella iniziata, migliorando in tale modo non solo il risultato degli studi ma anche la loro vita al di fuori della scuola. E le loro peripezie catturano l’interesse del lettore quanto l’accurata analisi del sistema scolastico. Un libro che avrebbe potuto essere un saggio sul sistema scolastico Nuovayorchese è in realtà un ottimo romanzo colmo di riflessioni, commenti, considerazioni, ma anche di azione, contrasti, e perchè no?, anche di sentimenti: l’affetto provato verso gli studenti, il rancore verso gli ottusi amministratori, l’amore che viene improvviso per poi dover essere abbandonato.

Per chi voglia scoprire come una insegnante milanese sia arrivata ad insegnare a New York e che cosa abbia scoperto di sè, degli studenti americani e di questa città, questo è senza dubbi un romanzo da leggere e gustare.