Sony Classical pubblica il nuovo CD di Alessio Bidoli in Trio con Bruno Canino e Alain Meunier dedicato al compositore portoghese Luís De Freitas Branco “Complete Violin Sonatas and Piano Trio”.

Di Salvo Margarone

Il CD “Freitas Branco” interpretato da Alessio Bidoli al violino, Bruno Canino al pianoforte e Alain Meunier al violoncello è un’opera straordinaria che merita di essere ascoltata da tutti gli amanti della musica classica.

Le composizioni di Freitas Branco sono spesso trascurate nel panorama musicale internazionale, ma grazie a questa registrazione, finalmente ricevono l’attenzione che meritano. Alessio Bidoli al violino dimostra una tecnica virtuosistica e una sensibilità interpretativa straordinarie. Ogni nota suonata da Bidoli è carica di passione e profondità, trasportando l’ascoltatore in un viaggio emotivo.

Bruno Canino al pianoforte accompagna Bidoli con grande maestria, creando un dialogo musicale intenso e coinvolgente. La sua padronanza dello strumento e la sua sensibilità interpretativa si fondono perfettamente con il violino di Bidoli, creando un’armonia musicale unica.

Alain Meunier al violoncello completa il trio con la sua presenza potente e avvolgente. Il suo suono ricco e profondo aggiunge una dimensione emotiva ancora più intensa alle composizioni di Freitas Branco.

L’interazione tra i tre musicisti è impeccabile, dimostrando una grande sintonia e un profondo rispetto reciproco. Ogni nota suonata è eseguita con precisione e passione, creando un’esperienza musicale coinvolgente e indimenticabile.

La registrazione del CD, edito da Sony Classical, è di alta qualità, catturando perfettamente l’energia e l’emozione delle esecuzioni dal vivo. Ogni dettaglio musicale è nitido e ben bilanciato, permettendo all’ascoltatore di immergersi completamente nella musica.

In conclusione, il CD “Freitas Branco” interpretato da Alessio Bidoli al violino, Bruno Canino al pianoforte e Alain Meunier al violoncello è un capolavoro musicale che merita di essere ascoltato e apprezzato. La loro interpretazione appassionata e virtuosistica delle composizioni di Freitas Branco rende giustizia al talento del compositore portoghese e offre un’esperienza musicale indimenticabile. Consiglio vivamente questo CD a tutti gli amanti della musica classica.

Luís de Freitas Branco è stato un compositore portoghese nato nel 1890 e morto nel 1955. È considerato uno dei compositori più importanti del suo paese e ha contribuito significativamente allo sviluppo della musica portoghese del XX secolo.

Freitas Branco ha studiato composizione a Lisbona con il compositore portoghese Tomás Borba e successivamente a Berlino con Friedrich Koch. Durante la sua carriera, ha scritto opere, musica da camera, sinfonie e poemi sinfonici, tra gli altri generi.

Le sue opere sono caratterizzate da un linguaggio musicale romantico e impressionista, con influenze di compositori come Richard Wagner, Claude Debussy e Richard Strauss. La sua musica spesso riflette temi e motivi tradizionali portoghesi, integrandoli in un contesto musicale moderno.

Tra le sue opere più famose ci sono la sua prima sinfonia, “Vathek”, il poema sinfonico “Elegia a Amadeo de Souza-Cardoso” e l’opera “Frei Luís de Sousa”.

Freitas Branco ha avuto un impatto significativo sulla scena musicale portoghese e ha contribuito a promuovere la musica portoghese sia a livello nazionale che internazionale. La sua musica è ancora eseguita e apprezzata oggi.

“Questo è stato il segreto del mio successo, il divertirmi dando però sempre il massimo”. Intervista esclusiva con Lorenzo Porzio

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Direttore stabile dell’Orchestra Filarmonica Città di Roma, il Maestro Lorenzo Porzio dal 2014 ricopre la carica di direttore musicale del Narnia Festival, grande kermesse artistica premiata per le ultime sette edizioni dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con la “Medaglia del Presidente” per alti meriti artistici e culturali, dal 2020 è inoltre direttore musicale della rassegna “Musica su Roma”, stagione concertistica e teatrale con sede nella capitale al Teatro dei Ginnasi.
Vincitore di innumerevoli premi: Leone d’Argento alla carriera, Premio Simpatia del Comune di Roma, Medaglia d’Argento e di Bronzo al valore atletico, diploma d’onore del CONI, Premio Enrico Toti, Premio USSI, Premio Convictus, Ulivo d’Oro alla carriera, Premio Agensport, Premio all’Eccellenza del Rotaract, GEF Award della città di Sanremo ed altri; dal novembre 2014, il M°Lorenzo Porzio è testimonial dell’UNICEF. Per i suoi meriti il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli ha conferito l’onorificenza di “Cavaliere della Repubblica”. 
Riguardo la sua attività di atleta, dal 1997 al 2012 ha partecipato a undici campionati del mondo (5 assoluti, 3 under 23 e 3 juniores), oltre ad aver conquistato molteplici medaglie nelle gare internazionali e di coppa del mondo.
Nel 2002, Porzio ha vinto il titolo di campione del mondo under 23 nel quattro con, nell’anno successivo sfiora il bis conquistando l’argento sempre nello stesso armo ai mondiali under 23.
Come componente dell’equipaggio del quattro senza, ha vinto la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Atene 2004. Ha vinto diciotto volte il titolo di campione d’Italia Assoluto, e nel 2009 ha vinto a Lucerna la regata di coppa del mondo nella specialità del due con. È stato tedoforo olimpico alle Olimpiadi di Torino 2006.

L’Idea Magazine: Ciao Lorenzo. È un grande onore intervistarti sia per le tue qualità di direttore d’orchestra sia per il tuo passato, o forse ancora presente, di atleta. Vorrei proprio incominciare con questo aspetto della tua vita: l’atletica. Come iniziasti ad interessarti di canottaggio? Quando decidesti che avevi abbastanza esperienza da competere professionalmente?
Lorenzo Porzio: Un saluto a tutti i lettori della vostra rivista, L’Idea Magazine; è un piacere essere con voi. Devi sapere che fino a 12-13 anni non sapevo nulla di canottaggio e ci sono arrivato per necessità. Difficile da credere ma ero un ragazzino estremamente in sovrappeso e molto timido. Ho cominciato a remare per dimagrire e diciamo che ha funzionato…
Mi sono appassionato così tanto che oltre a passare dalla taglia 52 alla 46 in sei mesi è scattato dentro di me uno spirito agonistico e di rivalsa verso tutto e verso tutti. Il canottaggio mi ha cambiato psicologicamente, ha mutato il modo di relazionarmi con il mondo esterno, mi ha reso consapevole delle mie possibilità, mi ha dato grinta, determinazione, oltre ad insegnarmi i veri valori della vita. Insomma, una vera e propria “palestra di vita”. Le gare e il professionismo sono state una naturale conseguenza di quella che era, insieme alla musica, la mia più grande passione e divertimento. Si, perché questo è stato il segreto del mio successo, il divertirmi dando però sempre il massimo. Così nell’inverno del 1996 il mio primo allenatore decise che ero pronto per cominciare a gareggiare.

L’Idea Magazine: Hai vinto diciotto volte il titolo di campione d’Italia Assoluto. È un record? Tu competi in varie categorie, se non sbaglio…
Lorenzo Porzio: Beh, 18 volte Campione d’Italia non è male ma c’è sicuramente chi ne ha vinti di più. Diciamo che una mia caratteristica personale è che riuscivo ad essere competitivo in quasi tutte le specialità del canottaggio. Infatti, ho vinto medaglie nazionali ed internazionali in tutte le categorie di punta (cioè remando con un remo solo, tipico della scuola italiana), barche da due e da quattro, con e senza il timoniere fino ad arrivare all’ammiraglia da 8! Ho ricoperto tutti i ruoli, da capovoga a centro barca a prodiere riuscendomi sempre a adattare a qualsiasi circostanza, situazione ed equipaggio.
Il fisico mi ha sempre aiutato molto (potente e agile nello stesso tempo) ma la differenza la faceva la testa e il rapporto di collaborazione, stima e fiducia che riuscivo ad instaurare con gli altri membri dell’equipaggio, caratteristiche basilari anche oggi per il mio lavoro da direttore d’orchestra con i vari componenti delle orchestre.

L’Idea Magazine: Campionato italiano, campionato del mondo, atleta dell’anno, Olimpiadi… ma c’è qualche medaglia che non hai vinto? Non mi rispondere, scherzo… Come ti sentisti quando vincesti la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Atene nel 2004? Qualche aneddoto sulla tua partecipazione a quelle Olimpiadi?
Lorenzo Porzio: Invece ti rispondo a tutto: in carriera ho vinto circa 300 medaglie in competizioni ufficiali ma molte altre non le ho vinte, anche con dei dolorosi quarti posti (Mondiali di Siviglia nel 2002 ed Europei nel 2008). Però non ho mai perso perché anche quando non andavo in medaglia riuscivo sempre ad imparare qualcosa, uscendone più forte e più saggio di prima. Le Olimpiadi? Un sogno, la consacrazione, la ciliegina sulla torta. Sabato 21 agosto 2004 è il giorno, dopo la nascita di mio figlio Alessandro, più bello della mia vita! Ci ho messo settimane per realizzare ciò che io e i miei compagni eravamo riusciti a fare, è stato come vivere un sogno che ti cambia per il resto della vita. Un aneddoto? Sei mesi prima dell’Olimpiade il mio allenatore della Nazionale, il mitico Giuseppe La Mura (zio e allenatore dei fratelli Abbagnale) mi chiamò nel suo ufficio al centro federale di Piediluco dove ci allenavamo (tre/quattro settimane al mese tutto l’anno, 8 ore al giorno!) e mi disse testuali parole: “Caro Porzio, tu hai una possibilità su 1000 di partecipare alle Olimpiadi e una su un milione di vincere una medaglia. Che vuoi fare? Rimanere ad allenarti qua con la Nazionale o tornare a casa?”. Io risposi senza pensarci un attimo: “Caro Dottore, anche se avessi una possibilità su un miliardo rimarrei qua ad allenarmi fino alla fine perché non potrei sopportare di guardare le Olimpiadi seduto sul divano di casa pensando che forse sarei potuto essere là!”. Il resto della storia lo conoscete…

L’Idea Magazine: Sei allenatore capo della sezione canottaggio del Circolo degli Affari Esteri e del Circolo Canottieri Aniene. Da quando e perché ti sei dato all’allenamento? I componenti di questi circoli sono dilettanti oppure vi sono anche dei professionisti? 
Lorenzo Porzio: Ho smesso di essere un atleta professionista a 31 anni, dopo 15 anni consecutivi di Maglia Azzurra. Largo ai giovani! Ma sentivo che avevo ancora qualcosa da dare e che seppur ormai ero lanciato nella carriera di musicista il mondo dello sport non poteva abbandonarmi del tutto; d’altronde sportivi si rimane per il resto della vita! Così dal 2013 ho cominciato a fare l’allenatore della squadra giovanile e talent scout per il Circolo Canottieri Aniene (la mia seconda famiglia) fino ad arrivare ad essere il responsabile di tutti i soci e della squadra Master. Dal 2017, parallelamente al mio ruolo all’Aniene, anche capo allenatore del Circolo degli Affari Esteri. Sono due circoli molto esclusivi, angoli di paradiso direi. L’Aniene più dedito all’agonismo (molti atleti olimpionici di canottaggio, nuoto, canoa, tuffi, vela, tennis e molti altri sport sono atleti dell’Aniene!), gli Esteri più votato all’esclusivo sano benessere e divertimento. Entrambi i Circoli e le persone che ne fanno parte sanno però godere a pieno di quanto di più bello lo sport ti può dare sia a livello fisico che psicologico che morale.
Personalmente, così come nella musica, amo insegnare e trasferire tutto ciò che ho avuto la fortuna di imparare e apprendere nella mia vita passata di atleta olimpionico, senza riserve e con molta generosità. Ritengo che insegnando si continui ad imparare e a migliorare noi stessi.

L’Idea Magazine: Secondo te, quali sono le qualità migliori per diventare un bravo atleta in tale specialità? Pensi che è uno sport che dovrebbe essere più popolare?
Lorenzo Porzio: Prima qualità, valida per qualsiasi cosa nella vita, essere lavoratori instancabili; questa dote include umiltà e una grande forza d’animo.
Seconda qualità avere del talento perché se nasci con il motore di una Cinquecento non andrai mai come una Ferrari. Purtroppo, la genetica è importante.
Terza qualità riuscire a trovare sul proprio percorso di vita le persone giuste, dalla famiglia agli amici, dagli allenatori ai compagni di squadra e così via. Potrebbe essere solo fortuna? Forse, ma solamente alla fortuna non ci ho mai creduto…
Come diceva il mio amico, il mitico Giampiero Galeazzi, siamo figli di un Dio minore ma questo non vuol dire che continueremo a fare di tutto per fare conoscere le meraviglie del nostro sport. Il canottaggio, così come una miriade di altri sport ritenuti erroneamente “minori”, è quanto di più bello la nostra cultura sportiva può avere e quanto di più sano ci possa essere per la crescita morale e psicologica di un essere umano.

L’Idea Magazine: Ti sei diplomato in composizione con il massimo dei voti al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma. Come arrivasti a scegliere di studiare musica, e in particolare composizione, dopo le varie esperienze in atletica? Insomma, che cosa ha fatto nascere il tuo amore per la musica?
Lorenzo Porzio: In realtà io nasco musicista, mi sono sempre ritenuto un musicista prestato al canottaggio e contemporaneamente un atleta innamorato della musica. Ho scoperto la musica a 6-7 anni grazie alla mia famiglia e lo sport avrebbe dovuto essere solo una parentesi della mia vita, invece alla fine Musica e Sport sono diventate le mie più grandi passioni, il mio lavoro, la mia vita. La musica è da sempre il mio mezzo di espressione migliore, il modo di comunicare al mondo esterno i miei sentimenti, il pianoforte è il prolungamento delle mie mani e del mio corpo. Il cammino musicale è stato come per quello sportivo molto naturale, il pianoforte, poi l’organo, la composizione ed infine la direzione d’orchestra. Tutti mezzi di comunicazione profonda ed espressioni del mio animo.

L’Idea Magazine: Come sei riuscito a bilanciare queste tue due passioni, così tanto diverse?
Lorenzo Porzio: Tanto amore per entrambe, tanto duro lavoro ma anche tanto divertimento e soddisfazioni. Ho imparato a farle convivere, ad integrarle, e da arti così apparentemente lontane ti accorgi poi che sono estremamente in relazione tra loro e una completa l’altra. Musica e Sport sono mondi che appartengono allo stesso universo; sta a noi prendere il meglio delle due e fonderlo insieme.

L’Idea Magazine: Come Direttore d’orchestra hai avuto molte soddisfazioni: dirigi l’Orchestra e Coro del Convitto Nazionale di Roma, l’Orchestra Filarmonica Città di Roma, la rassegna Musica su Roma, e non dimentichiamo il Narnia Festival, con il quale hai ricevuto ben sette medaglie dal Presidente della Repubblica per alti meriti artistici e culturali. Quali sono le differenze, sia a livello musicale sia psicologicamente, nel dirigere queste varie organizzazioni? 
Lorenzo Porzio: Nessuna differenza, tutte hanno la stessa chiave: amore e rispetto per la musica (per l’arte e la cultura in generale), amore e rispetto per il pubblico, amore e rispetto per chi ci lavora. Come ho imparato dallo sport, se vuoi dirigere una grande orchestra, oppure un grande festival o rassegna musicale devi essere ben preparato, devi saperti guadagnare la stima e il rispetto degli altri, devi sapere ascoltare il prossimo.

L’Idea Magazine: Che cosa ti ha portato al Narnia Festival, e che cosa ti attira di più in questa manifestazione?
Lorenzo Porzio: Nel 2013, Cristiana Pegoraro, pianista di fama internazionale nonché creatrice e direttrice artistica del Narnia Festival, mi invitò a dirigere una Messa-Concerto a Narni più una serie di altri concerti ed eventi. Credo di essergli piaciuto, se ormai da 11 anni facciamo coppia fissa…! Scherzi a parte, ho capito subito le potenzialità di quella visione che Cristiana aveva avuto e così mi sono messo al suo fianco portando di anno in anno tutto ciò che avevo di meglio da offrire. Oggi, il Festival è come un secondo figlio. Cosa mi attira? Le potenzialità infinite…

Narnia Festival. Foto di A. Mirimao

L’Idea Magazine: Quest’anno sei stato uno dei giudici al Sanremo Festival Junior. Che cosa hai tratto da questa esperienza?
Lorenzo Porzio: Ho capito che gestire i genitori spesso è molto più difficile che gestire i figli. Scherzo naturalmente! Esperienza unica, grande responsabilità. Ho avuto la conferma di quanto sia meraviglioso e nel contempo difficile aiutare un ragazzo nell’intraprendere il giusto cammino e fare determinate scelte per il proprio futuro.

L’Idea Magazine: Nel 2019 sei stato al Carnegie Hall di New York con “Fantasia Italiana”. Parlaci un poco di tale esperienza e facci sapere se hai intenzione di ritornare qui a New York…
Lorenzo Porzio: Amo New York, amo Carnegie Hall. Dirigere là è come avere vinto un’altra medaglia olimpica, un altro sogno diventato realtà. Super orchestra, super pubblico, super sala, insomma da ripetere al più presto…
Sarei tornato a Carnegie Hall nuovamente nel 2020 e 2021, ma purtroppo, a causa del maledetto Covid, i concerti mi sono stati annullati. Ci rifaremo presto, però!!

L’Idea Magazine: Hai composto l’inno ufficiale degli atleti olimpici e Azzurri d’Italia, e lo hai anche diretto al Teatro Ariston, proprio quest’anno. Che cosa ti ha portato a scriverlo? Che sensazione provi a sentire l’inno immaginando gli atleti davanti a te… 
Lorenzo Porzio: L’inno mi è stato commissionato dalla mitica Novella Calligaris, presidente dell’Associazione Nazionale Atleti Olimpionici e Azzurri d’Italia. L’inno vuole essere il riassunto della carriera di un atleta, quasi l’allegoria della vita di ogni essere umano. Parte piano, quasi timido e in sordina (com’ero io) per poi crescere sempre di più come in un grande crescendo rossiniano fino all’apoteosi finale (la medaglia olimpica). Durante questo inno, ci sono strumenti solisti come il corno francese, così evocativo da farci ricordare la parte romantica dello sport, il grande spessore dato dagli archi e dai legni a ricordo delle tante imprese, persone, luoghi, emozioni e sentimenti vissuti e poi le percussioni a scandire il ritmo costante e incessante del gesto atletico tanto quanto quello della vita e infine gli ottoni, trombe e tromboni a dare solennità e maestosità alla nostre imprese e quindi anche alla nostra terra, alla nostra patria. Durante la musica ci sono anche accordi minori, più tristi, che simboleggiano le cadute, le difficoltà che incontriamo sul nostro cammino. Come dico sempre però, il vero campione è quello che pur inciampando è capace di rialzarsi più velocemente degli altri e tornare ad essere più forte di prima.
Ascoltare questo inno e ancora di più dirigerlo con l’orchestra è un vortice di emozioni, un rivivere in poco meno di due minuti tutta la mia vita da atleta; se poi lo faccio dal palco dell’Ariston di Sanremo allora è quasi catartico.

L’Idea Magazine: Oltre che Direttore e compositore, sei anche pianista ed organista. Esegui molti concerti come pianista o organista? Componi anche musica per piano?
Lorenzo Porzio: Di musica per pianoforte e anche di trascrizioni ne ho fatte e ne faccio abitualmente. I concerti alla tastiera sono meno rispetto a prima perché ho meno tempo da dedicare allo studio dello strumento e un buon pianista è come un atleta, si deve allenare tutti i santi giorni per ore. Mi ritaglio però appositamente dei periodi dell’anno dove posso dedicarmi di più al piano o all’organo per poi finalizzare in qualche concerto che mi piace da solista.

L’Idea Magazine: Tu e Cristiana Pegoraro siete stati definiti come “la coppia italiana della musica classica”. Sei d’accordo su questa definizione? Come funziona questa vostra ‘simbiosi musicale’?
Lorenzo Porzio: Domanda impegnativa. Siamo sicuramente una coppia di artisti ai quali piace portare la cultura italiana nel mondo, in particolare la musica classica che però presentiamo sempre con idee nuove e giovanili per essere al passo con i tempi e per riuscire a catturare un pubblico giovane che altrimenti rischia di essere ammaliato da cose più effimere. Cristiana ed io abbiamo lo stesso amore per la cultura e per l’arte a 360° con una grande voglia di fare comprendere al pubblico non quanto siamo bravi ma altresì quanto è bella la Musica.

Lorenzo Porzio e Cristiana Pegoraro mostrano la Medaglia Del Presidente assegnata loro per Meriti Culturali.

L’Idea Magazine: Normalmente chiederei sei hai qualche passatempo, ma considerando i tuoi impegni mi pare difficile che tu trovi del tempo libero… Vorrei sapere, però, se hai altri interessi, che cosa ti piace leggere, e se hai un autore preferito…
Lorenzo Porzio: Nel mio tempo libero e non solo mi piace fare il papà, che ritengo molto più difficile ed impegnativo di essere musicista o atleta. Mio figlio Alessandro, 11 anni, è continuamente mia fonte di ispirazione e mio sprone a puntare sempre più in alto affinché possa essere orgoglioso di me.
Amo il cinema (film storici in costume, azione ed horror), il teatro, il cibo e il buon vino magari davanti a un camino, amo passeggiare al tramonto sulla spiaggia, amo stare a volte solo e a volte con pochi e cari amici. Mi piace leggere soprattutto libri che scrivono miei amici nel mondo dell’arte, da romanzi a biografie. Proprio adesso ho finito Diario diurno di Enrico Vanzina, uno spaccato della nostra società soprattutto degli ultimi dieci anni e ho cominciato la biografia di Franco Fasano, Io Amo, protagonista negli ultimi 50 anni della canzone italiana da Sanremo allo Zecchino d’oro. Il prossimo sarà La Casa dei Pesci di Ilaria De Bernardis e Marco Santarelli, entrambi miei amici nonché atleti master di canottaggio.

L’Idea Magazine: Qual è il tuo compositore preferito e perché?
Lorenzo Porzio: Non ho mai saputo rispondere a questa domanda. Attualmente sto ripassando la Sinfonia N°9 “Dal Nuovo Mondo”, perciò ti rispondo Dvorak.

L’Idea Magazine: Tre aggettivi per definirti…
Lorenzo Porzio:
Stacanovista
Entusiasta
Romantico
(Rompiscatole, perfezionista, malinconico)

L’Idea Magazine: Se tu potessi parlare con qualsiasi personaggio, del presente o del passato, chi sarebbe e che cosa vorresti chiedere?
Lorenzo Porzio: Mi affascinano una miriade di personaggi del passato, condottieri, artisti, politici, eroi, ma uno potrebbe fare la differenza, sarò scontato forse ma vorrei tornare indietro di duemila anni e incontrare Gesù Cristo. Di cose da chiedergli, fin troppe…

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Lorenzo Porzio: Solo su terze persone, non è difficile capire su chi! Che possa essere felice, avere il successo che merita seguendo sempre i propri sogni come ho fatto io.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Lorenzo Porzio: Non sono sempre così serio come in questa intervista perciò se vi va e siete curiosi seguitemi sui miei social (YouTube, Instagram, Facebook, LinkedIn), prometto tanta bella musica e non solo…
Un abbraccio a tutti e grazie per il vostro tempo che mi avete dedicato; spero ne sia valsa la pena.

“L’arte, la poesia, possono essere strumenti potenti per sradicare il pregiudizio…” Intervista esclusiva con Francesca Innocenzi

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Francesca Innocenzi è nata a Jesi (Ancona). Ha diretto collane di poesia e curato alcune pubblicazioni antologiche, tra cui Versi dal silenzio. La poesia dei Rom (2007); L’identità sommersa. Antologia di poeti Rom (2010); Il rifugio dell’aria. Poeti delle Marche (2010). È redattrice del trimestrale di poesia «Il Mangiaparole» e collabora con vari blog e siti letterari. Ha ideato e dirige il Premio letterario “Paesaggio interiore”.

L’Idea MagazineRisaliamo un poco alle tue origini letterarie. Sei laureata in lettere classiche e dottore di ricerca in poesia e cultura greca e latina di età tardoantica. Il tuo primo libro è stato la raccolta di prose liriche Il viaggio dello scorpione (2005). Che cosa ti ha fatto scegliere di usare questo tipo di espressione linguistica non vincolata dalle regole metriche e ritmiche proprie della poesia?
Francesca Innocenzi: In realtà, mentre lavoravo ai testi che sarebbero poi confluiti in Il viaggio dello scorpione, il mio intento era scrivere racconti brevi. E, quando la raccolta è stata pubblicata, non ho esitato a definirli tali. Solo a posteriori, anni dopo, ho preferito la dicitura di prose liriche, riferendomi ad una tipologia di scrittura in cui il lirismo è preponderante rispetto alla narrazione.

L’Idea MagazinePoi hai pubblicato anche sillogi di poesie quali Giocosamente il nulla (2007), Cerimonia del commiato (2012), e Non chiedere parola (2019). Ci sono state delle grandi evoluzioni a livello poetico in queste tue sillogi?
Francesca InnocenziGiocosamente il nulla è stata la mia silloge di esordio per la poesia. A rileggerla ora, salverei un paio di testi (tra cui quello che dà il titolo al libro), ma vi trovo più che altro un io giovanile ripiegato su sé stesso e privo di una maturità poetica. Cerimonia del commiato segna una transizione, vi è infatti una certa disomogeneità, a mio avviso, a livello di testi. Non chiedere parola contiene versi che, in linea di massima, mi convincono abbastanza; c’è anche una sezione di haiku, prima volta in cui ho provato a mettere in pratica questo genere di poesia.

L’Idea MagazineL’ultima tua silloge poetica, Canto del vuoto cavo, è molto diversa dalle altre, con una impostazione molto originale, essendo una plaquette di 60 componimenti brevi, che adottano la metrica dello haiku e delle sue varianti; precisamente, 40 haiku doppi (6 versi) e 20 tanka (5 versi). Vorresti spiegare ai nostri lettori che cosa siano gli haiku e i tanka e che cosa ti ha portato a scegliere questo tipo di scrittura?
Francesca Innocenzi: Lo haiku è la poesia tradizionale giapponese, basata su regole piuttosto rigide, a partire dalla metrica; nei contenuti, gli elementi della natura sono in risalto.  In Canto del vuoto cavo adotto la metrica dello haiku doppio, quindi due strofe da 5-7-5 sillabe, o quella delle sue varianti, come il tanka, che è un haiku ampliato da due ulteriori settenari. Per un certo periodo, la metrica dello haiku (doppio, soprattutto) ha costituito per me una sorta di contenitore rassicurante. Mi sembrava avesse un ritmo intrinseco che trovavo appagante. Oggi trovo fuorviante definire haiku questi componimenti, poiché dello haiku c’è, appunto, poco: lo schema metrico, come anche la tendenza ad evitare l’uso della prima persona. Ma, in tutto il resto, vi è assoluta libertà. E la natura resta sullo sfondo, ha un ruolo assolutamente secondario.

Riporto come esempi un doppio haiku e un tanka:

mordere l’aria
imparare dal tronco
cielo e radici

di terra è il corpo
labbra ciliegia, cosce
schiuma di miele

*

proietti ombra
sulla parete. gelo
d’estate sgorga
da quel muro, rapprende
l’invisibile accanto.

L’Idea MagazineSempre a proposito di Canto del vuoto cavo, ho notato che la punteggiatura non è quella classica. Per esempio, usi il punto, ma è seguito dalla lettera minuscola. Potresti spiegarmi il perché? Oltre a ciò, usi delle parole di altre lingue, alcune anche antiche. Qual è la ragione di tale scelta?
Francesca Innocenzi: La lettera minuscola dopo il punto è una scelta non inconsueta nella poesia contemporanea, che potrei aver assorbito inconsapevolmente. Per me può essere un modo per oltrepassare i dettami del dire ordinario, o forse, banalmente, per rispondere ad un’inclinazione estetica della grafia.
Riguardo le scelte linguistiche, una lingua è sempre una casa in cui abitare; in questo modo, cerco altri spazi, altri possibili luoghi di esistenza della parola. In particolare, il greco e il latino sono lingue che amo, soprattutto il greco. Ho scelto parole dotate di intensità sia a livello fonico che semantico, tanto da far risuonare una particolare armonia tra significante e significato.

L’Idea Magazine: Hai anche pubblicato la raccolta di racconti Un applauso per l’attore (2007). Potresti parlarcene un po’?
Francesca Innocenzi: Quella fu la prima raccolta di racconti, nel senso sopra esposto. È stata anche l’ultima, almeno finora, in quanto mi sono resa conto di quanto l’arte della short story sia difficile e insidiosa. Comunque, da quei testi emergevano varie tematiche volte a mettere in luce le problematicità dell’esistenza umana: l’erotismo, la malattia, la morte. Il racconto che dà il titolo alla raccolta trae ispirazione da Aspettando Godot, una pièce da me molto amata.

L’Idea Magazine: Il tuo romanzo Sole di stagione, del 2018, di che cosa parla? Hai intenzione di scriverne altri o è stato solo una deviazione temporanea dalle tue attività poetiche?
Francesca InnocenziSole di stagione è un romanzo breve in cui si narra una vicenda che ha come sfondo una città anonima e indifferenziata. Qui si incrociano i destini di tre coppie, tra la vanità di rapporti di facciata, erotismo e segreti inconfessabili. Al centro della storia, il giovane Claudio, la sua esistenza precaria e senza progetti, la sua totale indifferenza verso gli altri, la ricerca di una libertà che è il bene più prezioso e la più grande condanna.
Devo dire che mi piacerebbe dedicare maggior tempo ed energie alla narrativa. È in uscita in autunno un altro mio romanzo breve. Forse prima o poi ne scriverò uno più corposo, chissà.

L’Idea Magazine: Hai anche pubblicato un saggio letterario a titolo Il daimon in Giamblico e la demonologia greco-romana (2011). Un argomento più che interessante…
Francesca Innocenzi: Questo saggio è nato da una rielaborazione della mia tesi di dottorato in Poesia e cultura greca e latina in età tardoantica. L’analisi del daimon nell’opera del pensatore tardoantico Giamblico offre lo spunto per un viaggio nella demonologia antica: dal demone mediatore di stampo platonico all’equazione demone-anima e spirito custode, di matrice popolare e ripresa dal pitagorismo, fino al dualismo precristiano che canonizza le entità avverse. Le tre funzioni confluiscono nel pensiero di Giamblico, esponente del neoplatonismo, che al tramonto della paganità fa del daimon un’esemplificazione coerente e puntuale del suo innovativo sistema metafisico, in risposta ai cambiamenti epocali. Così le riflessioni demonologiche fungono da cartina tornasole rispetto alla storia e alla società. La filosofia rivela il suo debito nei confronti delle dottrine religioso-popolari, per un ripensamento delle interazioni esistenti fra la tradizione colta e la cosiddetta cultura “bassa”.

L’Idea Magazine: Tra le antologie da te curate ce ne sono ben due sui poeti Rom. Come sei arrivata a questo particolare gruppo di poeti?
Francesca Innocenzi: Il mio interesse verso il mondo Rom è nato molti anni fa. Un popolo spesso fuori dagli schemi, vittima di pregiudizi di ogni sorta, regolarmente ignorato se non quando si tratta di episodi di delinquenza e cronaca nera. Scoprire che i Rom hanno un bagaglio culturale, anche poetico, ci insegna che l’arte, la poesia, possono essere strumenti potenti per sradicare il pregiudizio.

L’Idea Magazine: Hai ideato il Premio letterario “Paesaggio interiore”. Che cosa ti ha stimolato a farlo? Questo premio ha degli scopi particolari?
Francesca Innocenzi:  È un premio nato alla fine del 2019, giunto ora alla seconda edizione. La peculiarità di Paesaggio Interiore è che, oltre alle sezioni classiche, poesia, racconto ecc., comprende una sezione dedicata a saggi brevi sul mondo greco-romano. Quest’anno, per la prima volta, la cerimonia di premiazione si terrà in presenza, a Genga (An) ad inizio settembre; in questa occasione assegneremo due premi alla carriera, ad Annamaria Ferramosca per la poesia e a Paolo Fedeli per gli studi sul mondo antico.

L’Idea Magazine: Come poeta, quali sono le sensazioni che ti ispirano di più a scrivere?
Francesca Innocenzi: Per me l’ispirazione è una sorta di evento sismico che accade in un momento preciso, ma è come se scaturisse da una serie di moti tellurici, da un’energia che si è andata accumulando nel tempo. Tuttavia, nella poesia, nella scrittura, non tutto si esaurisce lì: è essenziale la revisione, il lavoro di limatura.

L’Idea Magazine: Stai lavorando a qualche nuova produzione letteraria al momento?
Francesca Innocenzi: Sto iniziando a lavorare ad una antologia di mie poesie scritte e pubblicate prima dei 40. Un piccolo libro che, oltre a contenere quanto risuona in me ancora oggi, dovrebbe avere una sua organicità interna.

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Francesca Innocenzi: Viaggiare restando fedele al viaggio, coltivando la dedizione per il cammino, per l’itinerario, la scoperta. Il viaggio insegna a riappropriarsi del tempo, non tanto attraverso il relax, quanto nell’accorgersi dell’incanto che si cela al di qua della meta.

L’Idea Magazine: Se tu potessi incontrare un qualsiasi personaggio a tua scelta, del passato o del presente, chi sarebbe e che cosa vorresti chiedere?
Francesca Innocenzi: Non mi dispiacerebbe incontrare Giacomo Leopardi e discutere con lui sulla teoria del piacere e sull’idea di infinito.

L’Idea Magazine: Se tu potessi definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Francesca Innocenzi: Riservata, solitaria, tollerante.

L’Idea Magazine: Oltre alla poesia e all’insegnamento, hai altre passioni?
Francesca Innocenzi: Prima di tutto sono una instancabile lettrice. Nelle mie due case ci sono libri dappertutto, perfino sopra e sotto i letti. Poi, mi piace cucinare: se non mi riesce una poesia, pazienza, il vero dramma è quando una ricetta non dà i risultati attesi.
Ma la mia più grande passione è l’astrologia: non l’oroscopo, ma la disciplina che ci avvicina alla conoscenza di noi stessi. Già a tredici anni ho iniziato a tracciare i primi temi natali: allora non c’erano i programmi al pc, occorreva fare tutti i calcoli e disegnare con il compasso e goniometro. Molti anni dopo ho scoperto la corrente psicologico-umanistica, di base junghiana, introdotta in Italia da Lidia Fassio. Una analisi — autoanalisi, soprattutto — che mi accompagna in modo costante, che non abbandono mai.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Francesca Innocenzi: Coltivare la lettura, senza trascurare la poesia. E non smettere mai di cercare dentro e fuori se stessi.

L’Amica Geniale. Una intervista esclusiva a Francesca Montuori

Photo credit: Fremantle, The Apartment

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Foto di Valentina Turci

L’amica geniale ha conquistato il pubblico di tutto il mondo, dall’Italia all’America fino ad arrivare in Francia, nelle ultime settimane. La terza stagione, diretta da Daniele Luchetti, ha visto emergere la meravigliosa interpretazione di Francesca Montuori nei panni di Elisa Greco, la coraggiosa e determinata sorella di Elena. 
Questa esperienza rappresenta per la giovane attrice l’inizio di un percorso artistico pieno di sorprese, storie da raccontare ed un mondo intero da poter conquistare.

L’Idea Magazine: Benvenuta Francesca, ci racconti come è arrivata nella tua vita una serie come L’amica geniale, amata in tutto il mondo e soprattutto in America? 
Francesca Montuori: L’Amica Geniale è arrivata in maniera improvvisa, in contemporanea con la maturità, ho preso il diploma ed una settimana dopo ero sul set. Un progetto di questo calibro inevitabilmente ti cambia, ti migliora, ti travolge. È stata un’esperienza totalizzante, come primissima esperienza televisiva internazionale non potevo chiedere di meglio.

L’Idea Magazine: In che modo ci presenteresti Elisa Greco? 
Francesca Montuori: Elisa è una giovane donna che riesce a scegliere la propria strada, pur sbagliando, senza lasciarsi influenzare dagli altri. É forte e coraggiosa.

Foto di Valentina Turci

L’Idea Magazine: Cosa rappresenta per te questa esperienza artistica per il tuo futuro? 
Francesca Montuori: L’amica geniale una specie d’iniziazione a ciò che voglio che diventi in definitiva la mia vita. Io provengo dal teatro, ma la televisione e cinema è sempre stato il mio sogno da piccola e un obiettivo da grande. Per me, L’Amica Geniale è l’inizio di tutto.
Una promessa che ho fatto a me stessa è di accettare progetti che sento miei e che possano arricchirmi. Le carriere dopotutto sono tali anche dai “No”.

L’Idea Magazine: Come è nata la tua passione per la recitazione?
Francesca Montuori: È nata con me, fin da piccolissima. Ad otto anni sono salita su di un palcoscenico ed è scattata in maniera definitiva quella scintilla. Cercavo un mondo tutto mio, per potermi esprimere e dove potevo essere me stessa, e l’arte me lo permetteva senza chiedermi nulla in cambio se non la dedizione totale e la passione più sfrenata.

Photo credit: Fremantle, The Apartment

L’Idea Magazine: Come ti descriveresti come persona e quali sono le promesse che fai, ogni giorno, a te stessa?
Francesca Montuori: Sono una semplicissima ragazza, ho una vita fatta di alti e bassi ma le montagne russe piatte non sono mai piaciute a nessuno. Mi piace scrivere, stare con gli amici, viaggiare tanto, ma anche stare sola, e frequento L’Università degli Studi di Salerno in arti visive, musica e spettacolo.
Ho fatto una promessa alla Francesca bambina: vivere tutto appieno, sinceramente e profondamente senza limiti, ma nel rispetto di sé stessa e degli altri.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Francesca Montuori: Bisogna buttarsi a capofitto senza limiti, solo così i sogni diventano realtà.

“Leggere è vita…” Intervista esclusiva con Davide Buzzi.

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Classe 1968, nato ad Acquarossa (Svizzera), è attivo nel campo del giornalismo ma con l’arte nel Dna tanto da vederlo pure nelle vesti di cantautore, autore di testi e scrittore.
La sua carriera artistica prende avvio nel 1982, ma è solo nel 1993 che pubblica il suo primo CD, intitolato “Da grande”.
Le sue canzoni in lingua italiana e dialetto del Cantone Ticino sono spesso legate a temi sociali e storici. Nel 1998 ha vinto il Festival di Lissone (Italia), “Cantem Insemma”, con la canzone “Ul veget di Mariunètt”, ricevendo nel contempo i premi speciali per il miglior testo e il miglior brano musicale. Fino ad oggi ha inciso cinque album, tenendo concerti in Svizzera, Italia, Svezia, Francia ed altri paesi europei.
Nel 2012 e nel 2013, ha ricevuto due nominations agli “ISMA Award” di Milwakee e una ai “NAMMY Award di Niagara Falls per il brano “The She Wolf”.
A oggi Davide Buzzi ha pubblicato un racconto breve, “La multa”, un libro di racconti, “Il mio nome è Leponte… Johnny Leponte” e due romanzi, “Memoriale di un anomalo omicida seriale” nel 2020 e “L’estate di Achille” (Morellini Editore), da qualche settimana sugli scaffali delle librerie italiane e in tutti i bookstore.

L’Idea Magazine: Ciao Davide. Per prima cosa parliamo della tua musica. La prima domanda te la faccio perchè ai nostri lettori interessano molto i dialetti in generale. Scrivi canzoni in dialetto del Canton Ticino. Che cosa ti ha spinto a farlo? Come risponde il pubblico a tali canzoni? Ritieni anche tu che non è solo importante ma essenziale che i dialetti non scompaiano?
Davide Buzzi: Beh, io sono cresciuto parlando il dialetto della Valle di Blenio, regione dell’alto Ticino e che confina con la Svizzera tedesca e romancia. Pensa che appena venti chilometri più a nord di casa mia, si parla già tedesco e romancio. Il dialetto è stata la prima lingua che ho appreso e la sola che parlato fino all’età di cinque anni. Per noi rappresenta un forte valore identitario, in quanto ci differenzia dal resto della popolazione Svizzera. Per non dire del fatto che in dialetto esistono modo di dire fantastici che in poche parole contengono tutto l’immaginario possibile e dipingono un mondo intraducibile in italiano. Inoltre, il dialetto contiene suoni e accenti particolari e inesistenti nella lingua italiana. Questo aspetto ci avvantaggia enormemente nell’apprendimento di altri idiomi. Tant’è che molti abitanti della Svizzera italiana parlano correntemente almeno quattro lingue diverse, italiano, francese, tedesco e inglese.
Le mie canzoni in dialetto sono certamente molto amate in Ticino e nel resto della Svizzera italiana, seppure in verità non ne ho scritte moltissime. L’italiano è sempre stata la mia lingua artistica di riferimento, seppure nella vita quotidiana io parli prevalentemente dialetto.
I dialetti sono un grande patrimonio dell’umanità e vanno salvaguardati in tutto e per tutto. Poi è naturale che con lo scorrere del tempo e delle generazioni anche loro subiscono influenze e variazioni, ma questo non toglie il fatto che il valore rappresentato da queste lingue popolari è unico e straordinario.

Davide Buzzi(c) Foto Vincenzo Nicolello

L’Idea Magazine: Hai scritto anche varie canzoni usando degli pseudonimi. Come mai lo hai fatto?
Davide Buzzi: Ho scritto brani per diversi cantanti, sia italiani che stranieri, qualche volta usando degli pseudonimi per il semplice fatto che si era deciso che il mio nome dovesse rimanere nascosto. Più spesso mi sono però cimentato nell’attività di ghostwriter, ovvero redigere testi per altri artisti, rinunciando a firmare gli stessi per cedere tutti i diritti al committente. Ovviamente questo aspetto mi vincola nel mantenimento dell’anonimato e non mi permette di citare dei titoli; anche nel caso che una di queste mie canzoni avesse ottenuto grande successo, o dovesse ottenerne in futuro, io non posso rivendicare più nulla; la canzone è andata, ha seguito la sua strada e semmai a goderne saranno coloro che l’hanno firmata in seguito. Questa è la maledizione di ogni ghostwriter, ma va bene anche così.

L’Idea Magazine: Hai collaborato in passato con vari cantanti, tra i quali la band finlandese dei Leningrad Cowboys. Come iniziò questa collaborazione e in che cosa consistette?
Davide Buzzi: La collaborazione con i Leningrad Cowboys risale alla metà degli anni 90, quando ho scritto il brano “Gringo”. A quel tempo avevo avuto l’occasione di incontrare una persona molto vicina a Mauri Sumén, alla quale chiesi di proporre al musicista finlandese di darmi la possibilità di apporre quel testo su un brano solo musicale che la band aveva realizzato anni prima. La cosa andò in porto e alla fine “Gringo” venne realizzata e incisa in collaborazione con la band, per poi uscire nel mio album “Il Diavolo rosso”. È stata una bella avventura, niente da dire, pensando anche al fatto che all’epoca internet non esisteva e che le comunicazioni erano lente e macchinose.

Davide Buzzi. 2017 SALOON 2 (c) Foto F. Bassi

L’Idea Magazine: Nel 1997 sei stato insignito della “Targa Città di Milano”. Quale fu la motivazione?
Davide Buzzi: La targa “Città di Milano” mi è stata insignita nel 1997 grazie a una mia canzone dialettale“Vuröss” (“vorrei”), che a quel tempo aveva partecipato al Festival di Lissone “Cantem Insemma”, dove si era classificata solo al secondo posto, ma si era aggiudicata i premi speciali della critica e della giuria. Fra questi la targa “Città di Milano”, per il grande valore del testo e per il messaggio che questo trasmetteva, una storia di emigrazione e fatica, ma anche di ricordi indelebili e il desiderio estremo di un rientro a casa da parte del protagonista.

L’Idea Magazine: Come inizia invece il processo creativo della tua musica? Scrivi prima le parole e le poni in musica oppure hai in testa già la musica e poni le parole?
Davide Buzzi: Scrivo prevalentemente testo e musica contemporaneamente, quasi sempre da solo, la notte, oppure in collaborazione con il mio produttore artistico, Alex Cambise. Dipende dai casi. Negli Stai Uniti, la tua canzone “The She Wolf” ha ottenuto molto successo, ottenendo due nomination agli “ISMA Awards” di Milwaukee e una nomination ai NAMA Awards” (NAMMY) di Niagara Falls. Che cosa ispirò tale canzone? È stata cantata da altri interpreti?

Davide Buzzi: “The She Wolf” l’ho scritta nel 2007 per il cantautore americano Jimmy Lee Young, il quale la incise poi nel 2012 quale singolo, con la produzione di Felipe Rose, già membro della band dei “Village People”.  Il brano arrivò a essere iscritto a questi importanti premi americani. Purtroppo non abbiamo vinto nulla, ma comunque già il fatto di ricevere tre nomination è stata una cosa fantastica.
Fui invitato alle cerimonie di premiazione di entrambi gli Award; Agli “ISMA” purtroppo non potei partecipare a causa di un grave problema di salute, ma ai “NAMMY” di Niagara Falls ero presente ed è stato qualcosa di indimenticabile. Certamente uno dei momenti più belli della mia vita.

L’Idea Magazine: Nel 2017, dopo oltre 10 anni d’attesa, hai pubblicato un album dal titolo enigmatico “Non ascoltare in caso d’incendio”, episodio uno de LA TRILOGIA. Potresti spiegarci perché questo album è importante sia per te sia per il pubblico? Da che cosa parte l’idea di una trilogia? [parla quanto vuoi dell’album e della sua evoluzione da quelli precedenti, che magari vuoi anche citare]
Davide Buzzi: “Non ascoltare in caso d’incendio” è un disco che è arrivato dopo sei anni dopo il mio scontro con il cancro, malattia che tutt’oggi mi porto dentro, e a undici dal mio lavoro precedente. Quando nel 2006 pubblicai “Perdo i pezzi”, certamente non avevo messo in conto una pausa tanto lunga e in effetti avevo continuato a incidere e a tenere concerti con i cunensi Almaplena, band che mi ha accompagnato per ben sei anni nelle mie uscite live. A un certo punto però mi ero accorto di essere arrivato alla fine di un ciclo e che per ripartire avrei dovuto ricominciare tutto da zero. Ho cambiato produttore artistico e mi sono affidato all’estro di Alex Cambise, collaboratore storico e chitarrista di Massimo Priviero e con lui ho iniziato a raccogliere tutto il materiale inedito che avevo scritto fin dall’inizio della mia carriera che durava da oltre venti anni.
Nel frattempo ho comunque continuato a scrivere e alla fine ne è venuta fuori roba per almeno 10 album. Così abbiamo scremato il tutto e alla fine abbiamo ricomposto tre selezioni diverse che inaspettatamente si sono rivelate dei concept album perfetti. Ho così pensato di farne una trilogia, nella quale potevo anche aggiungere qualche brano rivisitato di altri cantautori, non per forza famosi, che durante la mia adolescenza mi aveva particolarmente segnato. Così nel 2017 è uscito per l’appunto il “Volume I” de La Trilogia , “Non ascoltare in caso d’incendio” e nel 2021, con ben tre anni di ritardo, il “Volume II”, “Radiazioni sonore artificiali non coerenti”. Il “Volume III”, del quale non voglio ancora rivelare il titolo, dovrebbe uscire nel 2023, intrighi mondiali permettendo (risata).

L’Idea Magazine: Da “Non ascoltare in caso d’incendio” questo album furono estratti due singoli, “Te ne vai” e “Romaneschi”, che hanno avuto un ottimo consenso, come anche un documentario sulla tua persona, realizzato dalla RSI, la Televisione svizzera di lingua italiana…
Davide Buzzi: Sì, la mia casa discografica aveva investito molto, distribuzione europea del supporto fisico, distribuzione globale attraverso le piattaforme musicali in internet, un paio di video bellissimi per i quali io stesso ho curato la regia, in “Te ne vai” totalmente, mentre in “Romaneschi” solo parzialmente. Anche l’ufficio stampa che si era occupato della comunicazione, “L’altoparlante” era di prima categoria. Questo ha fatto sì che i due singoli arrivassero addirittura fra i brani più ascoltati nelle radio private italiane fra la fine del 2017 e i primi mesi del 2018. Anche le esibizioni live non erano mancate.  La Televisione Svizzera aveva poi voluto occuparsi della mia vicenda umana e artistica e così, per la regia di Dimitri Statiris, ne è uscito un documentario di 52 minuti, intitolato proprio come il mio album, “Non ascoltare in caso d’incendio”.
Sì, è stato un bel periodo anche se troppo impegnativo per la mia salute.

L’Idea Magazine: A settembre 2021 arrivò sul mercato il secondo episodio de  LA TRILOGIA, un album di dodici canzoni, anche questo con un titolo del tutto particolare, “Radiazioni Sonore Artificiali Non Coerenti“.  Vuoi parlarcene?
Davide Buzzi: Essendo uscito durante la pandemia, fisicamente ha avuto qualche difficoltà in più rispetto al precedente, seppure sulle piattaforme sia andato benissimo. Soprattutto il secondo singolo “Americanfly.chat”, al quale ha partecipato il noto trombettista jazz, Franco Ambrosetti, ha fatto segnare numeri importanti. Anche la distribuzione, sempre a livello europeo grazie a SELF, è stata ben curata. Sono molto contento di come sta procedendo la mia carriera cantautorale, seppure in questo momento tengo maggiore impegno nei confronti del mio lavoro di autore e scrittore.

L’Idea Magazine: Quale indirizzo avrà il terzo album della trilogia?
Davide Buzzi: Essendo appunto una trilogia, anche il terzo album che andrà a chiudere questo progetto manterrà la medesima linea artistica dei primi due. Ma non voglio rivelare nulla al momento, se non che proseguirà la collaborazione con Franco Ambrosetti e che conterrà la versione in italiano del brano “The She Wolf”, “La lupa”, di cui abbiamo parlato prima per le sue nomination negli USA.

L’Idea Magazine: E adesso parleremo della tua attività di scrittore. In che cosa consistono le tue due prime opere, “Il mio nome è Leponte… Johnny Leponte” e “La multa”?
Davide Buzzi: “La multa” è un racconto breve, pubblicato dal collettivo ARBOK qualche anno fa. Ha raggiunto una tiratura di un migliaio di copie, che però è andato esaurito in pochissime settimane. Racconta della moglie del sindaco di un piccolo villaggio di montagna che non vuole pagare una multa che, legittimamente, gli è stata comminata dall’unico agente della polizia comunale del paese.
“Il mio nome è Leponte… Johnny Leponte” è invece un libro di racconti che vedono protagonista un venditore porta a porta di liscive, che si muove in una valle di montagna fra mille difficoltà e l’eroismo di un moderno Marcovaldo.

L’Idea Magazine: Il tuo primo romanzo, “Antonio Scalonesi: memoriale di un anomalo omicida seriale”. Un titolo assai particolare. Di che cosa tratta?
Davide Buzzi: 
Lo dice il titolo stesso, è un memoriale. Si tratta del racconto in prima persona di un serial killer che dopo anni di omicidi impuniti, decide di presentarsi davanti al Procuratore pubblico Giuseppe Cortesi per spiattellargli sulla scrivania tutta la sua storia di criminale seriale. In effetti più che i fatti veri e propri, Scalonesi rivela la sua verità, spesso fatta di cose non dette ma da interpretare e spesso gratuitamente cruda e vera come solo la morte può esserlo. Si tratta di uno spoof thriller, ovvero un racconto di fantasia ma costruito in modo da sembrare vero in tutto e per tutto, compresa la realizzazione di documenti e articoli che ne comprovano la veridicità. L’idea è proprio quella di portare in confusione il lettore, come oggi si usa fare con la divulgazione delle fake news, fino a insinuare il dubbio su cosa sia realmente di fantasia nel contesto della storia e quanto invece sia presente la verità.

L’Idea Magazine: Hai recentemente pubblicato il tuo secondo romanzo, che è “L’estate di Achille”. È risultato finalista della terza edizione del Premio Lorenzo da Ponte. Potresti parlarcene un poco?
Davide Buzzi: “L’estate di Achille” è ancora una volta un romanzo di genere spoof, seppure totalmente diverso dal precedente. Infatti, in questa storia, malgrado non manchi certo il mistero, non sono raccontati fatti di sangue o uccisioni. Si tratta della biografia simulata, in realtà un’autobiografia, che racconta la vita di un cantautore attivo in Italia fra il 1968 e il 1974. Attraverso la narrazione della vita di questo personaggio si vuole anche raccontare uno spezzone della storia musicale di quegli anni, senza comunque darne dei giudizi o trarne delle conclusioni.
Si tratta una storia completamente inventata, seppure i nomi di alcuni personaggi e le loro attività all’epoca dei fatti raccontati sono reali.La storia racconta di un incontro che sarebbe avvenuto nel 1993, fra l’autore del romanzo, il sottoscritto quindi, e un barbone che usava sostare per suonare la sua chitarra sotto il ponte stradale del quartiere milanese del Corvetto, un posto in effetti inusuale per fermarsi a fare musica. Il Corvetto infatti è uno di quei posti di Milano dove non vorresti mai che la tua macchina decidesse di lasciarti a piedi, un quartiere con mille problemi di convivenza sociale, di zingari ed emarginati e di chissà che altro ancora, dal quale stare lontano senza se e senza ma!
Fra i due uomini nasce un rapporto di amicizia e complicità che porterà il senzatetto a raccontare una strana storia, un’avventura incredibile che prende avvio nel 1968 per raggiungere il suo culmine nel 1974, un periodo storicamente difficile per l’Italia immersa nella tragedia degli anni di piombo, quando la misteriosa scomparsa di un cantante quasi famoso lascerà dietro di sé mille domande apparentemente senza risposte.

L’Idea Magazine: Sei anche fotografo e giornalista per un mensile di valle e, per diversi anni sei stato inviato speciale di ‘Radio Ticino’ al Festival di Sanremo, dove hai anche incontrato la nostra Isabella Rossiello, inviata speciale della nostra rivista a Sanremo, unica rivista americana presente da molti anni… Come giornalista, scrivi esclusivamente di musica? Riesci a trovare tempo per la fotografia che non sia solo documentativa?

Davide Buzzi a Sanremo 2005 con la nostra rivista

Davide Buzzi: Conosco molto bene Isabella, una professionista fantastica con la quale ho spesso chiacchierato di musica e mi sono confrontato. Inoltre, nell’ormai lontano 2005 scrisse un bell’articolo sulla mia opera cantautorale per la vostra rivista.
Devo dire che il mio lavoro di giornalista è piuttosto a 360 gradi, lavorando in un giornale di valle mi ritrovo obbligato a occuparmi un po’ di tutto, dalla cronaca allo sport, storia, approfondimenti, musica, letteratura, ecc.
Per quanto riguarda la fotografia, sì. Sono più che altro un paesaggista, quindi spesso mi ritrovo a fotografare per il mio piacere o anche solo per divertimento e spesso in quel senso riesco ad unire l’utile al dilettevole in modo davvero positivo.

L’Idea Magazine: Hai progetti in lavorazione?
Davide Buzzi: Al momento sto portando a termine il “Volume III” della mia trilogia musicale. Inoltre. sto lavorando a un nuovo romanzo, una storia per ragazzi in parte ispirata alla mia gioventù e che mi venne ispirata moltissimi anni fa dalla mia nonna materna, ma che fino ad oggi era rimasta chiusa solo nella mia testa. Adesso è arrivato il momento di darle la possibilità del suo esordio in società. Vedremo che ne esce.

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Davide Buzzi: Vincere il Festival di Sanremo (risata)

L’Idea Magazine: Se tu potessi incontrare un personaggio del passato o del presente, qualsiasi persona, chi sarebbe e quale domanda porresti?
Davide Buzzi: Sarebbe interessante incontrare Vincent Van Gogh, al quale vorrei chiedere il vero motivo per il quale si amputò l’orecchio, come anche di svelarmi il mistero mai chiarito di quella famosa pistola che avrebbe usato per spararsi in pancia il 27 luglio del 1890.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Davide Buzzi: Siate sempre curiosi e amanti della lettura in generale. Leggere contribuisce a farci scoprire particolari spesso inusuali o sconosciuti del mondo nel quale viviamo, come anche della nostra mente.  Leggere è vita.

Un musicista che non si accontenta e che è riconosciuto per il suo sound… Intervista esclusiva a Maurizio Solieri

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Rinomato chitarrista, compositore e cantante, Maurizio Solieri è una colonna della musica italiana degli ultimi 50 anni… Le sue molteplici collaborazioni musicali includono Vasco Rossi, Alberto Fortis e I Nomadi.
Il suo nuovo singolo “Tommy” è uscito in digitale e in radio il 22 aprile scorso. Parliamone un poco con Maurizio…

L’Idea Magazine: Ciao Maurizio. Noi siamo praticamente coetanei e mi fa molto piacere intervistare un cantante della mia generazione… Ti dispiace se parliamo prima un poco della tua carriera? Quando iniziò la tua passione per la musica?
Maurizio Solieri: La passione per la musica mi venne a 10 anni, con il regalo di una chitarra Eko da ottomila lire da parte di mia madre, e dall’ascolto dei dischi di Elvis Presley e dei Beatles da parte dei miei fratelli maggiori.

L’Idea Magazine: È vero che hai fatto l’annunciatore radio per qualche anno? Che programma avevci?
Maurizio Solieri: Ho incominciato la mia carriera di radiofonico a Punto Radio, la Radio di Vasco, nel 1977, e facevo un programma di jazz che si chiamava Jazz Time. Poi da Zocca ci trasferimmo a Bologna e io Massimo Riva , Sergio Silvestri e Leo Persuader continuammo a BBC Bologna, Rete Centrale ed altre.

L’Idea Magazine: La tua carriera è molto lunga e include molti anni passati con Vasco rossi, sia scrivendo canzoni per lui sia come membro della sua band. Come lo incontrasti e come nacque il vostro rapporto?
Maurizio Solieri:Ci siamo conosciuti nella Primavera del 1977 alla stazione dei treni di Modena, grazie al mio amico e compaesano Silvestri che era stato un suo compagno di scuola.

L’Idea Magazine: Quali canzoni scrivesti per Vasco? Come potresti definire il vostro rapporto creativo?
Maurizio Solieri:Canzone, Dormi, dormi, C’è chi dice no, Ridere di te, Se è vero o no, Lo show, Rocknroll show, Stasera, Vuoi star ferma. Il nostro rapporto creativo era molto bello, io andavo in ufficio da lui con dei demo e lui, entusiasta, scriveva i testi.

L’Idea Magazine: Hai anche fondato vari gruppi musicali, tra i quali la Steve Rogers Band, che da backing-band di Vasco inizia ad avere vita propria e a raggiungere nel 1988 un grande successo con “Alzati la gonna”. Per quanti anni suonasti in quella band? Chi sono gli altri componenti? Hai ancora rapporti con loro?
Maurizio Solieri: La prima Steve è nata nel 1981, col primo singolo Neve nera (testo di Vasco) per poi iniziare a registrare dischi nel 1986 con la formazione che vedeva oltre a me, Massimo Riva, Mimmo Camporeale, il Gallo, Daniele Tedeschi e Andrea Innesto. Con la Steve abbiamo suonato fino al ‘90, per poi prendere strade diverse, io sono tornato con Vasco, Riva ha fatto dei dischi solo, poi èr tornato con Vasco come pure Tedeschi, il Gallo e Innesto.

L’Idea Magazine: Nel 1997 hai formato un duo con Fernando Proce, pubblicando l’album “Proce & Solieri”, preceduto dal singolo “Radio Show”. Quale fu il responso del pubblico? Quanto durò questo duo?
Maurizio Solieri:La risposta delle radio e del pubblico fu magnifica, anche perché Fernando lavorava a radio RTL 102.5. Ancora adesso siamo amicissimi e collaboriamo insieme.

L’Idea Magazine: Hai suonato nel trio “Chitarre d’Italia” con Franco Mussida (PFM) e Dodi Battaglia (Pooh) . Che cosa fece nascere questo trio, che mi ricorda un poco il “Supergruppo” di Ricky Gianco? Avete fatto incisioni o solo concerti?
Maurizio Solieri: Il trio, sponsorizzato da Giorgio Verdelli grande giornalista musicale in Rai, nacque anche perché ci conoscevamo bene; abbiamo lavorato ad alcuni pezzi acustici e abbiamo fatta tanta TV, qualche concerto ed è un’avventura che tutti ricordiamo con piacere. È anche uscito un singolo dal titolo L’allegra giornata. Con Dodi ho partecipato ad alcuni suoi dischi.

Maurizio Solieri e Steve Burns in concerto

L’Idea Magazine: Hai anche collaborato a lungo con la band “Custodie cautelari”, se non sbaglio…
Maurizio Solieri: Dal 1997 fino al 2019, anche con La notte delle chitarre, sono stato ospite di alcuni loro dischi e abbiamo fatto una marea di concerti, anche con grandi ospiti come Eugenio Finardi e Irene Grandi . Era un gran divertimento, eravamo spessissimo al Roxy Bar di Red Ronnie.

L’Idea Magazine: Cosa puoi dirci delle collaborazioni con cantanti come Skin (durante un concerto di Natale a Montecarlo), Dolcenera (Festival di Sanremo del 2006) e Bianca Atzei. Come nacquero questi rapporti? Hai scritto le loro canzoni o hai anche suonato per loro?
Maurizio Solieri: Con Skin duettai a Montecarlo nel classico Summertime, con l’orchestra sinfonica, con Dolcenera fui ospite a Sanremo 2006 e con Bianca Atzei in singolo e video nel 2013, e varie apparizioni televisive. I pezzi erano loro.

L’Idea Magazine: Nel 2010 esce l’album da solista “Volume One”, che contiene brani cantati e strumentali. Potresti parlarcene un po’?
Maurizio Solieri: Già nel 1997 feci un disco con la mia band Class, Io, il Gallo al basso, Beppe Leoncini alla batteria e Vic Johson alla voce, con pezzi cantati e alcuni strumentali.

Volume one nasce nel 2009, con 5 strumentali e 5 cantati , alcuni da me e alcuni da Michele Luppi, da anni con i Whitesnake. Alla batteria Adriano Molinari, batterista di Zucchero.Grazie all’agenzia Barley Arts promozionai il disco aprendo per una settimana per i Deep Purple; nell’estate suonammo prima degli AC/DC e ZZTOP.

L’Idea Magazine: L’album è poi seguito nel 2014 da “Non si muore mai” e nel 2018 da “Dentro e fuori dal rock’n’roll”. Di che cosa trattavano questi due album? Sono un ‘continuum’ musicale con quello precedente o portano qualcosa di nuovo?
Maurizio Solieri: Non si muore mai era una specie di EP con tre inediti( cantati da Lorenzo Campani) e qualche pezzo da Volume oneDentro e fuori dal rock’n’roll continua il discorso, ancora più rock, con brani cantati in Italiano come Io dico no (voce Lollo Campani) e Dentro e fuori…col testo e la voce di Ettore Diliberto, cantante delle Custodie Cautelari) , strumentali come Song for a friend, dedicata a Massimo Riva, coi collaboratori abituali, Camporeale, Luppi, Ivano Zanotti, Leoncini e Gianluca Gadda.Masterizzato da Maurizio Biancani allo studio storico di Bologna, la Fonoprint.

L’Idea Magazine: Ed eccoci ad un altro album da solista, “Resurrection’, annunciato da questo tuo nuovo singolo, “Tommy”. Che cosa ci portano di nuovo questa canzone e questo album? Quando uscirà “Resurrection”?
Maurizio Solieri: Tommy è un personaggio di fantasia, che tutti possono avere conosciuto, con la musica che ricorda un po’ i Queen più teatrali, i Supertramp, il musical. Resurrection uscirà alla fine di Giugno, anticipato da un secondo singolo, Rock and roll Heaven, con video girato da Cristian Tipaldi.

L’Idea MagazineIl tuo libro “Questa sera Rock ‘n’ roll” è una autobiografia?  Che cosa ti ha spinto  a scriverlo?
Maurizio Solieri: Certo che è un’autobiografia, scritta a quattro mai con Massimo Poggini, che aggiunge alla prima stesura del 2010 tutto quello che ho vissuto dal 2011 al 2021.

L’Idea Magazine: Hai prodotto dei video didattici…
Maurizio Solieri: Molti anni fa il mio editore, Toni Verona, mi chiese di fare un po’ di didattica chitarristica, dove raccontavo chi mi aveva influenzato musicalmente, ed esempi , arpeggi ed assoli dei miei brani più conosciuti, da Vasco alla Steve Rogers Band. Dedicato a chi mi seguiva e mi segue.

L’Idea Magazine: Delle tue varie collaborazioni musicali, quali ritieni sia stata la più complessa da affrontare e quale la più divertente?
Maurizio Solieri:Tutto è stato ed è complicato e divertente, l’importante è suonare la musica che ti piace di più.

L’Idea Magazine: In quale delle tue canzoni ti identifichi di più E qual è la tua canzone della quale ne vai più orgoglioso??
Maurizio Solieri: Ce ne sono tante… Canzone, Lo show, Alzati la gonna, Bambolina, Please believe me, Dentro e fuori dal rock and roll, Rock and roll Heaven, Tommy.

L’Idea Magazine: Hai dei progetti in lavorazione al momento?
Maurizio Solieri: Ho il progetto di promozionare come di deve il libro e il disco, con presentazioni pubbliche e concerti.

L’Idea Magazine: Verrai negli Stati Uniti a suonare in un prossimo futuro?
Maurizio Solieri: Non credo, a meno che qualcuno mi inviti.

L’Idea Magazine: Sogni  nel cassetto?
Maurizio Solieri: Suonare la mia musica nei teatri e nelle location adatte.

L’Idea Magazine: Se tu potessi parlare con una qualsiasi persona di tua scelta, del passato o del presente, chi sarebbe e di che cosa parleresti?
Maurizio Solieri:Mi piacerebbe parlare con Jeff Beck, Jimmy Page ed Eric Clapton.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Maurizio Solieri: Un saluto da un musicista che non si accontenta e che è riconosciuto per il suo sound.

Dalla Sicilia alla Spagna con passione. Intervista esclusiva alla cantante Silvana Di Liberto

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Nata a Monreale, alle porte di Palermo, Silvana Di Liberto è una cantante che vive in Spagna, nella comunità autonoma dell’Andalusia, precisamente nel comune
di Ayamonte, proprio al confine con il Portogallo. Fabio Vergovich su “Romait.it” la definisce “una donna siciliana con la passione della musica nel sangue”.

“BLOGSICILIA.it” invece asserisce che lei ha “la musica nel sangue e la passione per la vita”. Cogliamo l’occasione per fare quattro chiacchiere con lei…

L’Idea Magazine: Tu canti e balli da quando eri piccina. Come nacque questo tuointeresse per la musica?
Silvana Di Liberto: Intanto, Tiziano, colgo l’ occasione per ringraziarti  e salutare gli Italiani che come me, vivono all’estero.
Effettivamente, questa magica passione per la musica è nata insieme a me. Mio fratello Marcello era sempre alla ricerca di nuovi dischi e mi “nutriva”, con artisti di livello come: Michael Jackson, Madonna, Led Zeppelin, Queen, Pink Floyd, David Bowie,  Eric Clapton, Elton John per citarne alcuni, che mi ispiravano e mi facevano sognare di essere una di loro.
Tutto è iniziato spontaneamente, negli anni del Liceo con delle partecipazioni in diversi concorsi canori, audizioni, trasmissioni televisive su reti locali  e venivo seguita da un rappresentante di Caltanissetta.
La mia passione comincia a prendere sempre più una buonissima piega, grazie anche a molti manager che mi hanno aperto le porte del mondo dello spettacolo.
Ricordo ancora i miei primi lavori, sono stati le grandi feste di piazza, con moltitudine di gente, e questo mi permetteva di viaggiare per tutta la Sicilia.

L’Idea Magazine: E così a 21 anni hai deciso di andare in Inghilterra a studiare l’inglese con il tuo compagno francese. Come mai lasciasti quella nazione e come decidesti di scegliere proprio la Spagna? Ti senti a casa in Spagna? Ti manca molto l’Italia?
Silvana Di Liberto:  Il mio periodo in Inghilterra è stato corto, non sono riuscita a fare mia la cultura e la socialità British, troppo diversa dal mio modo di essere. Alcuni dei motivi che mi hanno spinta a lasciare questa città furono: il clima, il tenore di vita molto alto e un quotidiano troppo frenetico e troppo rumoroso.
È stato il mio compagno a suggerirmi di cambiare rumbo e andare in Spagna. Ho avuto la fortuna di fare una lunga esperienza positiva a Barcellona, quando ancora non era “Disneyland”, continuando a viaggiare, portando musica di qua e di là.
Al giorno d’oggi  mi trovo in un paesino molto tranquillo dell’Andalusia che si chiama Ayamonte e confina con Portogallo.
Vivere tra due culture diverse è molto interessante perchè riesco a fare il paragone ogni volta fra due realtà opposte.
A mio avviso, la Spagna come il Portogallo sono due paesi multiculturali, solari,  con un clima piacevole, splendide spiagge, ricche di arte e di musica tradizionale. La gente inoltre è sempre accogliente nei miei confronti, ed è molto piacevole stare in loro compagnia.
Però ci tengo a sottolineare  che mi definisco una cittadina del mondo, quindi non mi identifico più solo nell’italianità, ma neppure nella cultura d’oltralpe in cui mi trovo.

L’Idea Magazine: Adesso operi principalmente in Spagna e Portogallo. Hai anche formato un gruppo musicale, “La famiglia”, con due musicisti portoghesi. Chi sono? Come mai portoghesi e non spagnoli, dato che vivi in Spagna? Come vi siete trovati?
Silvana Di Liberto: In passato ho anche lavorato con dei musicisti Spagnoli, poi, grazie ad un’altro portoghese, ho conosciuto i due giovani talentuosi in questione e così nacque il nostro gruppo… sfortunatamente non c’è più il gruppo La Famiglia. Purtroppo, la pandemia ha flagellato il mercato musicale lasciando, a mio avviso, musica che suona allo stesso modo, suoni e voci sempre più computerizzate, testi senza carattere e un fermento creativo inesistente. Il ruolo del cantante o musicista in questa società è diventato ormai alla portata di tutti.

L’Idea Magazine: Hai appena completato un progetto con una radio spagnola, Bravísima Social Radio. Potresti parlarcene?
Silvana Di Liberto: È il mio primo singolo, insieme a Csar Work di Bravísima Social Radio e il dj Jose Franko.
Abbiamo dato vita a “Earth”, un pezzo di musica elettronica, registrato ognuno da casa e prendendo spunto dall’attuale emergenza sanitaria e soprattutto dal lockdown. L’ho scritto principalmente in lingua inglese, anche se non manca qualche parola in francese, in spagnolo e italiano, ed è attualmente disponibile in digitale.

L’Idea Magazine: Suppongo che, come tanti altri performers avrai avuto le tue difficoltà durante questo periodo di pandemia. Che cosa hai tratto di positivo da questo periodo?
Silvana Di Liberto: Il lockdown mi ha stimolata a fare cose che ho sempre messo in secondo piano e mi ha dato l’opportunità, grazie al brano del duo dinamico “Resistiré”, di farmi conoscere al pubblico.
Per di più, ho avuto modo di connettare e collaborare con molti pittori importanti, creando una fusione illustrata, associata alla mia voce, con dei video clip che si possono ascoltare e vedere nel mio canale di YouTube, proprio per promuovere l’arte e la musica, che sono stati i settori più danneggiati da questa crisi sanitaria.
Per me è stata una bella maniera di comunicare con persone interessanti e la vita, e questo periodo mi ha resa molto più produttiva.

L’Idea Magazine: Quali canzoni italiane hai interpretato? Che cosa te le ha fatte scegliere?
Silvana Di Liberto:  Ho interpretato varie canzoni italiane: Con te partirò, Città vuotaBella senz’animaCuore mattoE penso a teSenza fine e Ieri.
L’obiettivo era quello di creare una nuova raccolta di brani del periodo d’oro della nostra musica, quando c’era un forte interesse per quello che veniva creato dall’Italia e di ridare vita a pezzi conosciuti con una nuova sonorità.
Questi hit nazionali che ho scelto, mi riportano alla mente dei momenti di quando vivevo in Sicilia e a quei ricordi spensierati della mia infanzia che custodisco.

L’Idea Magazine: Però l’interpretazione di “Ieri” dello scomparso Luigi Tenco ha una storia più complessa alle spalle, vero?
Silvana Di Liberto: Il 21 giugno 2020 ho partecipato a un evento social, (progetto online su Luigi Tenco) su richiesta di Michele Piacentini, portavoce ufficiale della famiglia Tenco.
È stato un immenso onore rendere omaggio a uno dei grandi cantanti della musica italiana, interpretando il suo brano Ieri. L’ ho scelto perché è uno dei pezzi della serie televisiva “Arde Madrid”, che  racconta parte della storia del regime franchista e della movida spagnola degli anni 60 in cui quel Tenco rock’n’roll era ballato.

L’Idea Magazine: So che hai lavorato ad un progetto a titolo benefico per l’Ospedale Sant’Antonio di Padova…
Silvana Di Liberto: L’iniziativa è nata da un’idea del dottor Giampiero Avruscio, direttore responsabile del Servizio di Angiologia dell’Ospedale di Sant’Antonio di Padova. Tanti cantanti come me hanno dato il loro contributo vocale alla riuscita del progetto, con il pezzo del celebre artista Roby Facchinetti: “Rinascerò, rinascerai”.
È stata una maniera di dire grazie a tutti operatori sanitari e per sostenerli nei giorni critici dell’epidemia.
Mi ha entusiasmata l’idea di creare un ponte tra i miei due paesi che sono stati più castigati, l’Italia e la Spagna, ed è stata un’esperienza indicibile e molto forte.

Aballate Aballate

L’Idea Magazine: Potresti parlarci un poco del tuo video “Abballati abballati”?
Silvana Di Liberto: Ho versionato questa allegra tarantella con un sound tutto flamenco e con una parte finale in lingua inglese. Per completare il mio omaggio alla mia bellissima terra siciliana, ho associato alla melodia un forte impatto visivo con le pitture di Mauro Fornasero, pittore e architetto di Caltanissetta.

L’Idea Magazine: Hai progetti in lavorazione al momento?
Silvana Di Liberto: Si, sto cominciando a scrivere, a sperimentare e poi se sono rose fioriranno.

L’Idea Magazine: Sulla rivista “Portugal News” ho letto un aneddoto da te raccontato riguardo uno spettacolo di fine anno. Potresti gentilmente ripeterlo per i nostri lettori?
Silvana Di Liberto: Certo!  con molto piacere.
Fui contattata per lavorare in una vigilia di Capodanno, chiedendomi di portare anche qualche musicista.
La notte dell’evento, dissi alla signora dell’agenzia che nessun’altro era disponibile e lei non riusciva a credere che per la quantità di soldi che erano disposti a pagare, non ci fossero candidati.
Per caso, tra il pubblico c’era un uomo anziano, un’ invitato, che stava ascoltando la nostra conversazione, si avvicinò e si propose per suonare la tastiera, che era già sul palco dato che dopo di me c’era un’ altra band, e che lo avrebbe fatto con molto piacere.
Velocemente ci mettemmo d’ accordo sul repertorio e le tonalità.
Dopo aver terminato, mi disse che era stato un onore e io risposi ‘lo stesso’. Solo più tardi mi fecero sapere che quel nonnino ai suoi tempi era stato un grande e importante maestro.

L’Idea Magazine: Ti sei definita una cantante Jazz. Potresti elaborare in merito?
Silvana Di Liberto: Sono partita dalla Sicilia proprio con la volontà di approfondire il jazz ed è il genere che mi appartiene in assoluto. E poi ha un potere immenso su di me, riesce a farmi sentire libera attraverso l’ improvvisazione e soprattutto mi fà evadere dalla realtà in cui mi trovo.
Insomma, è sufficiente ascoltare il mio timbro vocale per capirne la natura.
La mia vasta conoscenza musicale e apertura mentale mi hanno permesso nel tempo di adattarmi a molti stili di musica, però il denominatore comune resta sempre afroamericano.

L’Idea Magazine: Se tu potessi incontrare e parlare con una persona del passato, o anche del presente, qualsiasi persona tu voglia, chi sarebbe e di che cosa parleresti?
Silvana Di Liberto: Mi piacerebbe incontrare una geniale cantante del passato, Ella Fitzgerald, considerata la maggiore esponente del jazz di tutti i tempi. Senza dubbio, l’artista che mi ha ispirata jazzísticamente e che ho sempre apprezzato. Sarebbe toccante e stimolante sentirla cantare dal vivo e poi chiederle di svelarmi qualche secreto inerente alla sua tecnica dello scat, dato che lei era la numero uno.

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Silvana Di Liberto:   Questi sono quelli che mi piacerebbe che si avverassero:

  • Cantare in un club di jazz di New Orleans
  • L’idea di un album, con pochi pezzi, che mi rispecchiassero e dando al tempo stesso un tocco moderno e particolare.
  • E per concludere mi auguro che in futuro possa cantare in nuovi posti del mondo, che ancora non conosco.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Silvana Di Liberto: Sono assolutamente convinta che dobbiamo vivere la nostra vita in funzione di come vorremmo che fosse e non in funzione di cosa pensano o vorrebbero gli altri, attraverso tutto ciò che siamo in grado di offrire, di fare e di creare e non dipendere dal giudizio esterno.

La mia ispirazione? “La realtà, la vita. Parto da qui, sempre.” Intervista esclusiva con Rita Pacilio.

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Rita Pacilio (Benevento 1963) è poeta, scrittrice, direttrice editoriale, sociologa, mediatrice familiare. Si occupa di poesia, di critica letteraria, di metateatro, di saggistica, di letteratura per l’infanzia e di vocal jazz. Direttrice del marchio editoriale RPlibri è Presidente dell’Associazione Arte e Saperi.

L’Idea Magazine: Buongiorno Rita. Il tuo ultimo libro è una silloge di poesie a titolo “Quasi madre”. Potresti parlarcene un poco? A cosa si riferisce il titolo? Questa silloge è composta di poesie dello stesso periodo o di poesie con un tema comune?
Rita Pacilio: “Quasi madre” è un libro di poesie che ha un unico tema: l’anaffettività materna. Poeticamente analizzo i fattori che ostacolano, negli anni della seconda socializzazione, la formazione di un buon rapporto madre/figlia: per esempio il modello materno debole o inadeguato, le lunghe assenze da casa, la freddezza o il disinteresse della madre. In questo lavoro cerco di condurre il lettore nelle scene poetiche e negli avvenimenti quotidiani vissuti in maniera intima e visionaria. Il titolo è estrapolato da una poesia che riporto di seguito:

Ha nascosto i panni in una busta
l’infermiera si ferma più avanti
e la lascia fare: Portali a casa,
qui non devono stare!

Si sente l’eco cristallina verso l’alto
qualcuno chiede la bambola per dormire
piega il colletto della camicia
come una vena rotta e mi guarda
quasi madre
disabitata con la testa curva, aspra
disperata.
Dunque tocca a me tornare all’origine
affrontare la barriera dell’orgoglio
scongiurare che lo squalo mesto e sordo
possa ingoiarmi intera.

L’Idea Magazine: Quali sono le fonti della tua ispirazione quando scrivi poesie?
Rita Pacilio: La realtà, la vita. Parto da qui, sempre.

L’Idea Magazine: “Quasi madre” è l’undicesimo libro di poesie che pubblichi. Potresti spiegare quali sono state le tappe più importanti nella tua produzione poetica?
Rita Pacilio: Il senso di solitudine e di separazione, insorto a soli nove anni, dopo la morte prematura di mio padre e alla malattia di mio fratello, hanno abitato da sempre la mia scrittura poetica. L’orfanità, il dolore, il corpo oltraggiato e ferito, i sentimenti di angoscia e di solitudine psicologica e sociale sono i temi dominanti. Infatti, nel 2011 ho pubblicato un libro con Edilet Edilazio Letteraria Non camminare scalzo, utilizzando un linguaggio parallelo alla prosa poetica: lo stile iperrealista del linguaggio teatrale. La scelta di parlare in prima persona nasce dal mio progetto: ‘Verso empatico’. Cioè, seziono ogni ‘pezzo’ del corpo (personale e sociale) utilizzandolo come metafora espressionistica e surreale per denunciare la tragicità del reale, per parlare della vita e della morte, della coscienza e della fragilità del mondo, della carne e dello spirito, dell’inizio di noi stessi e del ritorno alla contraddizione che appartiene a ogni essere umano.

In Ciliegio forestiero, edito da LietoColle nel 2006, mi lascio ustionare dall’apertura sensuale del sentimento che diventa più maturo e ferito in Tra sbarre di tulipani, LietoColle 2008, in cui il corpo non gode più l’accadimento carnale, ma la vergogna della deturpazione della violenza da parte della società che, fisicamente e moralmente, molto spesso, condanna, soprattutto la donna, a una condizione di solitudine e/o a un modo di vivere poco appagante. Sentimento amoroso/amorale che sviluppo nella raccolta poetica a due voci, nel 2011 edita per la LC, Di ala in ala, in cui la poesia dell’amore brucia e si consuma sull’altare della carne femminile: inizio e fine di ogni sacrificio.

Con la scrittura ho sempre sfidato i baratri del dolore fino a farne memoria corporea, così la parola poetica diventa urlo e denuncia a non declinare il mondo secondo gli stereotipi: da Alle lumache di aprile edito Lietocolle 2010, Non mi obbligare la direzione/e quando si annoda la tempesta/tu chiedimi perdono. La continua lotta, in qualità di poeta/sociologo, diventa una elaborazione a livello sempre più concettuale. La voce poetica si intona a una recitazione di coscienza spostandosi dall’intimo all’esistenziale, non come un ‘separato da sé’, ma come un’essenza unica e comprensibile: un esclusivo soggetto/corpo che si afferma nel mondo e nelle cose, che acquista padronanza e si spinge nella sua totalità e originalità alla ricerca di ciò che è possibile, alla rivendicazione, continuamente, dell’oggetto adeguato. Baudelaire, Pascal, Sant’Agostino, Leopardi, Artaud sono le mie letture preferite. I significanti poetici si intersecano ai significati e corpo-mente-ambiente hanno un rendimento di forma che mette a fuoco, in modo sempre più equilibrato, la mia filosofia poetica. Gli imperfetti sono gente bizzarra edito La Vita Felice 2012, è il libro a cui sono maggiormente legata emotivamente e in cui ho sperimentato l’uso di parole laceranti e legate alla pietas. Quel grido raggrumato, sempre per La Vita Felice, 2014, sembra chiudere una trilogia sul dolore; infatti, potrebbe essere definito un manuale del sopruso, contro chi ambisce variamente manovrare il corpo delle donne e dei fanciulli. Il corpo poetico, in questo libro, ricerca, enuncia e precipita in modo finanche notarile, la pratica maneggiona di coloro che si condannano per un realismo moralmente e socialmente insignificante. Attraverso la poesia, nonostante tutto, nomino l’innominabile nella prospettiva dell’educazione, della rinascita, della ricostruzione.

Per Incroci, rivista semestrale curata da Lino Angiuli, viene pubblicata, nel dicembre 2014, una breve silloge poetico-musicale dedicata a Claudio Fasoli che nel 2015 è stata pubblicata con il titolo ‘Il suono per obbedienza’ per i tipi editoriali ‘Marco Saya Edizioni’ nella collana Assoli. Sempre nel 2015 Scuderi Editrice porta alle stampe la mia prima fiaba per bambini dal titolo La principessa con i baffi, una storia che rimanda a vizi e virtù, tradizioni, costumi e usanze del passato all’interno dei quali i personaggi entrano in relazione con il lettore in base a un principio di coerenza con le sue leggi e non con quelle che regnano in un altro mondo. Nel settembre 2016 La Vita Felice pubblica Prima di andare poesie sulla dimenticanza. Studiosa dell’essere umano e dei contesti psico-sociali, confesso, in questo corposo lavoro poetico, la storia di una donna anziana che, grazie al ricordo del suo amore, tiene in vita la memoria del mondo. Diverse le tematiche sottese tra scienza e coscienza: la solitudine e la frustrazione dell’ammalato, l’indifferenza sociale, la dimenticanza correlata ad alcune patologie cliniche che mettono a dura prova quella parte del cervello che custodisce la memoria a breve e a lungo termine e, inoltre, l’amore, in tutte le sue forme, amore come vera e unica motivazione di vita. Il testamento simbolico e spirituale è per l’umanità intera.

A marzo 2018 viene alle stampe L’amore casomai, racconti per LVF. Qui, la forza stilistica non sovrasta, né offusca, la materia letteraria. La narrazione visionaria guida anche la prosa che penetra i diversi significati della complessità umana. Nel 2019 riprendo la mia formazione spirituale francescana e non poteva mancare nella mia poesia la tematica dell’essenziale, della povertà intesa come germe iniziale di vita, come origine, genesi dell’umanità: La venatura della viola per Ladolfi Editore può essere considerato un monito alla cura e all’ascolto di tutto ciò che purtroppo viene dato per scontato; una vera e propria celebrazione della semplicità. Nel 2021, per Augh Edizioni, Utterson, nasce Cosa rimane, il mio primo romanzo. Un lavoro che parte da lontano e che trova spazio in un intreccio di storie dagli innumerevoli colpi di scena. Nello stesso anno ho pubblicato per Guida Editori una raccolta di saggi, studi e articoli psicosociopedagogici dal titolo Pretesti danteschi per riflettere di sociologia. E ad aprile 2022 per Pequod, collana Rive, esce Quasi madre, un libro il cui tema dominante è il legame di dipendenza privo di comunicazione tra madre e figlia, la severità eccessiva della madre negli interventi educativi, l’iperprotezione, la rigidezza di ruolo e la mancanza di fiducia nelle possibilità presenti o future della figlia, gli atteggiamenti ipercritici, l’educazione alla vergogna e ai sensi di colpa.

L’Idea Magazine: Hai anche scritto un romanzo, pubblicato nel 2021, “Cosa rimane”. Di che cosa tratta? Che cosa ti ha spinto a scriverlo? Hai in progetto di scrivere altri romanzi?
Rita PacilioCosa rimane è una confessione o più confessioni di sentimenti, dubbi, drammi ed emozioni. Attraverso la protagonista cerco di attraversare le diverse strade dell’amore, che rimane il tema cardine della storia.

L’Idea Magazine: Hai anche scritto libri per bambini. Potresti parlarcene un poco? Come sociologa, quali scopi ti prefiggi quando scrivi letteratura per l’infanzia?
Rita Pacilio: Per i bambini ho scritto: La principessa con i baffi, fiaba illustrata da Patrizia Russo dedicata ai bambini fino ai tredici anni. Cantami una filastrocca, filastrocche per i bambini della scuola primaria illustrate da Alessia Iuliano. La favola dell’Abete, una breve favola per i bambini della scuola dell’infanzia illustrata da Luca Luigi Pacelli. La vecchina brutta e cattiva, racconto per i bambini della scuola primaria illustrato da Damiana Valerio. In tutti i miei lavori dedicati alla letteratura per l’infanzia utilizzo le mie competenze psicosociologiche e pedagogiche per parlare/mostrare ai piccoli tutti gli aspetti della vita attraverso le storie inventate al fine di permettere ai bambini la decodificazione dell’oggettività della realtà esteriore così da poter stabilire equilibri tra l’intimo e l’esterno.

L’Idea Magazine: Vorrei che tu parlassi dei libri d’arte e di che cosa rappresentano per te…
Rita Pacilio: Vi presento i miei libri d’arte:

  • Vaghe parole – LietoColle, 2006 (libro rifinito a mano e in tiratura limitata e numerata).
  • Il cigno del lago – Pulcinoelefante, 2013 (libro rifinito a mano e in tiratura limitata e numerata).
  • Preghiera – GaEle Edizioni, 2017 (libro rifinito a mano e in tiratura limitata e numerata). Opera di Roberto Pagnani.
  • Al polso porto le catene, landay – RPlibri, 2019.
  • La ferita dei fulmini, landay – GaEle Edizioni, 2019 (libro rifinito a mano e in tiratura limitata e numerata) con opera di Alessandra Carnaroli.

Ognuno rappresenta un percorso di incontri, luoghi e confronti. Infatti, lavorare con editori e artisti vuol dire scoprire nuovi mondi a cui far aderire, trasversalmente, anche il tuo.

L’Idea Magazine: Tra le tue curatele, qual è stata la più complessa e quale la più appagante?
Rita Pacilio: Ho avuto la gioia e l’onore di curare alcune antologie poetiche sia con i bambini: Corolle di poesia – Progetto Seme Antologia di versi poetici degli studenti 3^ A Scuola Primaria ‘G. Marconi’ San Giovanni Suergiu e 2^ C Scuola Statale Secondaria di 1° grado ‘E. d’Arborea – A. Lamarmora’ Iglesias (Lietocolle, 2011) sia con i ragazzi: Mobile Poetry: l’etereo viaggio del seme – Progetto Seme Antologia di versi poetici degli studenti del Liceo Scientifico Galilei/A. Vetrone di Benevento (Lietocolle 2011) e sia con i poeti: Una luce sorveglia l’infinito (Tutto è misericordia) – Antologia poetica AA.VV. La Vita Felice, 2016. Ogni esperienza ha avuto la sua peculiare importanza nel mio cammino professionale e artistico. Posso dire che affiancare i bambini nell’approccio alla poesia mi ha riempita di speranza nei confronti dell’umanità in divenire. Tengo a sottolineare le preziose collaborazioni con colleghi, istituzioni scolastiche e comunali, editori e poeti.

L’Idea Magazine: Come cantante Jazz, hai partecipato a molti festival…
Rita Pacilio: Il Festival jazz di cui conservo un ricordo ancora vivo è quello della dodicesima edizione (anno 2009) Padova jazz Festival in cui ho vissuto emozioni bellissime con artisti internazionali. Presentai il mio disco Infedele con musiche e arrangiamenti di Claudio Fasoli, Luca Aquino, Antonello Rapuano e Massimo Colombo, Giovanni Francesca, Carlo Lomanto.

L’Idea Magazine: Quando hai iniziato a cantare? Suoni anche uno strumento?
Rita Pacilio: Canto da quando avevo quattro anni. A quell’età partecipai alle selezioni regionali e nazionali dello Zecchino d’oro. Fui selezionata dalla grandissima e indimenticabile Mariele Ventre. Ho suonato il pianoforte, ma sono moltissimi anni che lo uso solo come strumento di studio.

L’Idea Magazine: Nel tuo cd “Infedele”, hai scritto tutti i testi delle canzoni?  È tutta musica Jazz?
Rita Pacilio: Sì, i testi sono miei ad eccezione di Mirror (testo e musiche di Claudio Fasoli). La musica del disco è una fusione di più generi. Mi piace dire che è svincolata da canoni ed etichette.

L’Idea Magazine: Di tutti i premi, che sono tanti, che hai ricevuto, ce n’è uno in particolare che ti ha toccato più degli altri, emotivamente parlando?
Rita Pacilio: Sì, il Premio Laurentum del 2013 per il libro Gli imperfetti sono gente bizzarra è il Premio che in assoluto mi ha dato molte soddisfazioni e grazie al quale ho avuto modo di approfondire la sensibilità di Franco Loi, uno dei giurati del Premio. Ma anche tutti gli altri Premi rappresentano per me, tappe fondamentali del mio percorso letterario come, per esempio, il Premio internazionale Naji Naaman Literary Prize 17° edizione, anno 2019 e il Diploma de Honor da L’Union Mundi al de Poetas par la Paz y la Libertad – UMPPL (2020, 2021, 2022).

L’Idea Magazine: Le tue opere sono state tradotte in nove lingue. Quale di queste traduzioni ti ha sorpreso? Hai provato a leggere in pubblico le tue poesie anche in traduzione? In quale di queste lingue ti senti a tuo agio nel leggerle?
Rita Pacilio: Le traduzioni sono sempre un dono inaspettato e prezioso. Essere tradotta in lingua araba mi ha dato molte emozioni, come la traduzione in lingua francese e spagnolo. Conosco in maniera scolastica, solo la lingua francese. A Parigi, in occasione della presentazione de Les nervures de la violette (L’Harmattan, 2020 Traduction en français par Françoise Lenoir) ho letto una poesia in francese.

L’Idea Magazine: Quali sono le attività dell’associazione della quale sei presidente?
Rita Pacilio: Attività editoriali e culturali in genere. Collaboriamo con diverse associazioni con cui organizziamo reading di poesia e presentazioni di libri.

L’Idea Magazine: Da quanti anni hai creato e dirigi il marchio editoriale RPlibri? Che cosa offri agli autori interessati alla pubblicazione?
Rita Pacilio: Ho ideato il marchio editoriale RPlibri nel 2017. Agli autori cerco di offrire ascolto, competenza, serietà, fiducia e presa in carico delle proprie opere che curo come mie creature. Sul sito www.rplibri.it sono specificati tutti i servizi editoriali.

L’Idea Magazine: Ti sei laureata con specializzazione in Mediazione familiare e conflitti interpersonali presso l’Università degli studi di Napoli. Lavori come sociologa o usi solo ciò che hai imparato nella tua creazione letteraria?
Rita Pacilio: Fino a qualche anno fa lavoravo presso strutture carcerarie, ospedaliere e scolastiche offrendo consulenze e formazione. Poi, ho deciso di rallentare e scegliere la strada della scrittura a tempo pieno.

L’Idea Magazine: Se tu potessi parlare con un qualsiasi personaggio del passato, o anche del presente, chi sarebbe e che cosa vorresti chiedere?
Rita Pacilio: Mi piacerebbe parlare con San Francesco. Gli chiederei consigli e spiegazioni su alcuni passi della Regola applicata ai nostri tempi.

L’Idea Magazine: Scegli tre aggettivi per definirti.
Rita Pacilio: Tre aggettivi positivi: gentile, generosa, innamorata – tre aggettivi negativi: permalosa, ansiosa, impulsiva.

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Rita Pacilio: Vedere i sogni dei miei figli realizzati.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Rita Pacilio: Leggiamo molto per educarci a essere sempre più presenti nella vita per diventare persone degne di stare al mondo.

Come le mie poesie, i miei racconti partono da immagini, “Polaroid” della mia vita… Intervista esclusiva con Alessandro Angelelli

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

L’Idea MagazineBuongiorno Alessandro. Il tuo interesse per il teatro quando è nato? Perché scegliesti proprio “Il teatro della Contraddizione”?
Alessandro Angelelli: Ho cominciato a frequentare il Teatro della Contraddizione nel 1993. Mi portò un amico ad un incontro e cominciai con i corsi di teatro, quasi per gioco. Il Teatro della Contraddizione, fondato da Marco Maria Linzi (regista e drammaturgo), Sabrina Faroldi e Micaela Brignone (attrici) esisteva da poco più di un anno; l’amico che mi portò a conoscerli prese altre vie dopo pochi mesi, io, invece, ho fatto con loro un percorso che è durato oltre vent’anni e che mi ha influenzato profondamente. Sono stato quasi sempre presente nelle produzioni del TdC, recitando in opere teatrali di quello che si può considerare il più importante Teatro di ricerca della scena milanese.
Ricordo con amore tutti i personaggi interpretati in tanti spettacoli: Hieronimo ne “Le Foreste di Arden”, Arkel in “Allemonde ‘67”, Tony in “Wop – gli italiani d’America” e molti altri; ma in particolare ricordo con particolare affetto il ruolo del comandante Rahm nello spettacolo “Die Privilegierten – La città ideale”, premiato come miglior spettacolo e miglior regia dalla giuria popolare del Premio Teatro Città di Milano.
L’ultimo, in ordine cronologico è stato “Berlin, Berlin – Kaffe Bordello” nel 2016, una splendida visione delle cadute dell’animo umano che solo quel pazzo, geniale e visionario di Marco Maria Linzi poteva dipingere…

L’Idea Magazine: Hai fatto anche parte di altre compagnie teatrali?
Alessandro Angelelli: Attualmente sono membro della compagnia Icdun Teatro assieme agli attori Eugenio Vaccaro e Daniela Franco. Abbiamo portato in scena lo spettacolo “Alegher, che fatica essere uomini” in diversi teatri con un ottimo successo. “Alegher” rappresenta una vista differente di quello che è il rapporto tra la nostra società e gli immigrati che entrano e vivono (a fatica) con noi. A fine maggio lo rappresenteremo al Nuovo Teatro delle Commedie di Livorno. Nel frattempo stiamo lavorando a due nuove drammaturgie, una scritta da Daniela che verrà presentata in anteprima ad inizio giugno e una, scritta da me, che porteremo in scena in Autunno. Quest’ultima si chiamerà “Heimat”, concetto molto presente anche nel mio libro di poesie e sarà uno spettacolo in cui la parte visuale sarà strettamente integrata con la parte scenica.

Una scena di Alegher

L’Idea MagazineInsomma, hai avuto varie esperienze nel mondo teatrale. Qual è stata quella che ti ha eccitato di più e qual è quella che tu consideri la più affine alla tua personalità?
Alessandro Angelelli: Forse sarò banale nella risposta, ma ogni esperienza che ho fatto a teatro è stata eccitante e affine al mio universo. Probabilmente perché mi piace sempre sperimentare, rimettermi in gioco e ad ogni nuovo spettacolo devi assolutamente ricominciare da capo: lavorare sul personaggio, in tutte le sue sfaccettature, fisiche, vocali, ti spinge sempre a cambiare, a trasformarti. È parte del mio modo di essere e lo amo. Inoltre, in ogni spettacolo entri a far parte di un nuovo universo, spesso con nuovi compagni di avventura, coi quali devi costruirlo quell’universo… Impossibile preferirne uno piuttosto che un altro.

L’Idea MagazineNel corso dei tuoi molti spettacoli, c’è stato uno che ti ha impressionato positivamente o ha influenzato la tua vita?
Alessandro Angelelli: Ho citato prima “Die Privilegierten – La città ideale” che è stata un’opera che ha cambiato molto il modo di fare teatro della mia compagnia di origine, il Teatro della Contraddizione. Il lavoro che abbiamo fatto, rapportandoci al pubblico, portandoli con delicatezza nel nostro universo, per poi “ingannarli” è stato bellissimo. Ho amato quel lavoro che abbiamo proposto più volte negli anni. Eppure, ogni sera che andavo in scena e, soprattutto in alcuni momenti dello spettacolo, mi commuovevo. Sarebbe un sogno riportarlo in scena, un giorno…

L’Idea MagazinePoi, con gli anni hai scritto vari racconti. Di che cosa trattano i tuoi racconti?
Alessandro Angelelli: Come le mie poesie, i miei racconti partono da immagini, “Polaroid” della mia vita che poi sviluppo senza seguire uno stretto legame autobiografico. Per questo amo pensare che pur parlando di me, di aspetti del mio vissuto, possono essere universali e fruibili per ogni lettore. Forse dovrei pensare a pubblicarli, prima o poi.

L’Idea MagazineAnche la poesia ti ha ammaliato, come vedo dalla tua biografia. Quando incominciasti a scrivere poesie?  Il tuo primo libro, “Metallo Pesante”, è una silloge poetica. Puoi parlarne un poco?
Alessandro Angelelli: “Metallo Pesante” è una raccolta di poesie che ho cominciato a scrivere attorno al 2019. È basato sul concetto di Heimat che nei paesi di lingua germanica è quello che potremmo identificare con il “luogo dell’anima”, il porto di partenza e di arrivo di tutti noi. Heimat può essere un luogo fisico, il paese natio ad esempio, ma anche e soprattutto uno stato del proprio io interiore, un luogo non-luogo da esplorare, un universo complesso fatto di fotografie della propria vita: immagini, segmenti di vissuto che vanno a comporre un puzzle che racconta ciò che siamo stati e quello che saremo.
In Metallo Pesante troverete tutte queste “Polaroid” sparse che vi racconteranno di questo universo che è mio, ma non solo… è un viaggio che chiunque può fare, partendo dalle proprie di immagini per (ri)creare il proprio vissuto

L’Idea MagazineContinui a scrivere poesie e racconti? Che cosa ti spinge a farlo?
Alessandro Angelelli: La voglia di cambiare, di migliorare, di scoprire nuovi aspetti del mio Io interiore e, soprattutto, superare i miei limiti di uomo, attore e scrittore. Scrivere, come recitare, mi tiene vivo.

L’Idea MagazineHai scritto anche pezzi teatrali?
Alessandro Angelelli: Assolutamente sì; vi ho accennato prima di “Heimat”, lo spettacolo che stiamo preparando con Icdun Teatro. Heimat è un progetto nato già due anni fa e, purtroppo, un po’ rallentato dalla Pandemia. La pièce è nata prima che decidessi di scrivere “Metallo Pesante” che, peraltro, è dedicato proprio ai tre personaggi dell’opera teatrale: sono figure che rappresentano metafore di tre importanti fasi della vita, ma sono per me anche delle identità precise di persone che hanno attraversato il mio mondo nel corso degli anni. Il primo di quei personaggi/persone è André, l’Io bambino, che in quanto tale identifica la capacità di amare in maniera incondizionata; poi c’è Patrick che rappresenta l’età adulta che irrompe nella vita di tutti noi a portare responsabilità, difficoltà, spesso dolore. Per ultimo la silloge è dedicata a Julie, che identifica l’amore ideale, qualunque tipo di amore, non solo quello legato all’attrazione tra due persone ma anche quello verso un genitore, un’amica o verso il proprio figlio.

L’Idea Magazine: Hai anche l’hobby della fotografia. Mi pare…
Alessandro Angelelli: Si, nelle mie lunghe passeggiate mattutine, nel parco nella mia città, nelle mie Marche quando posso visitarle, in qualunque posto, sono la croce di chi mi accompagna visto che rimango sempre indietro per fare uno scatto in più. Mi piace notare e immortalare alcuni punti di vista in particolare: dettagli, figure riflesse in specchi d’acqua… Dopo tutto, fotografo per come scrivo poesie.

L’Idea MagazineDove ti vedi, dieci anni da adesso?
Alessandro Angelelli: Vivo molto il passato, tanto il presente, che cerco di non buttare via nella fretta di tutti i giorni e non penso moltissimo al futuro, almeno non così in là nel tempo. Ho già così tanto da fare per capire me stesso che non voglio sprecare energie per prefigurare un ipotetico futuro. Sono un forte sognatore, ma del futuro prossimo, quello che quasi posso toccare con mano.

L’Idea MagazineSogni nel cassetto?
Alessandro Angelelli: Ne ho tanti, ma i sogni quelli più belli li tengo per il futuro di mio figlio. È lui il soggetto per il quale auspico le cose più stupende; come farebbe ogni padre, del resto.

L’Idea MagazineSe tu potessi incontrare un qualsiasi personaggio della storia, chi sarebbe e che cosa vorresti sapere da lui/lei?
Alessandro Angelelli: Beh, come amante del teatro non posso che rispondere: William Shakespeare. Però è impossibile racchiudere in poche righe tutto quello che vorrei sapere da lui; credo che potrei anche sequestrarlo per poter avere il giusto tempo e ripercorrere assieme tutte le sue opere, che amo profondamente, e cercare di comprendere meglio il suo splendido universo creativo.

L’Idea MagazineSe tu dovessi definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Alessandro Angelelli: Empatico, sognatore e irrequieto… però vi dico anche il quarto, quello meno positivo: “prolisso”… Parlo decisamente troppo!

L’Idea MagazineIn che modo sta influendo sulla tua creatività e la tua vita un periodo come quello in cui viviamo, con il Covd19, la quarantena e l’isolamento?
Alessandro Angelelli: Sicuramente la pandemia mi ha cambiato, come ha cambiato la maggior parte di noi. Per paradosso questo periodo mi ha permesso di sviluppare ulteriormente la mia creatività: ho potuto lavorare molto spesso da casa e questo mi ha risparmiato i quotidiani, interminabili chilometri di code per arrivare a lavoro; tutto quel tempo ho potuto dedicarlo a lunghe, piacevoli passeggiate, durante le quali ho sviluppato il mio universo nel quale ho creato “Metallo Pesante”: la maggior parte delle poesie di questa silloge le ho composte durante quelle stupende camminate.

L’Idea MagazineUn messaggio per i nostri lettori?
Alessandro Angelelli: È più un augurio quello che faccio loro… Auguro di poter trovare il tempo per rallentare, per potersi dedicare a se stessi, a ricercare la piena consapevolezza; capire, attraverso le proprie “Polaroid”, qual è il senso del proprio passato per poter costruire un migliore futuro.

Tendo a osservare ciò che mi circonda, ad ascoltarmi e cogliere i segni dell’universo. Intervista esclusiva con Michela Zanarella

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Michela Zanarella è nata a Cittadella (PD) nel 1980. Ha pubblicato diciassette libri. Negli Stati Uniti è uscita in edizione inglese la raccolta tradotta da Leanne Hoppe “Meditations in the Feminine”, edita da Bordighera Press (2018). Giornalista, autrice di libri di narrativa e testi per il teatro, è redattrice di Periodico italiano Magazine e Laici.it. Le sue poesie sono state tradotte in molte lingue.

L’Idea Magazine: Buongiorno Michela. Dal 2006 ad oggi, hai pubblicato ben diciassette raccolte di poesie. È vero che cominciasti a scrivere solo dopo un grave incidente stradale?
Michela Zanarella: Buongiorno Tiziano, è proprio così. Nel 2001 andando a lavoro sono stata investita da una macchina. Era una mattina nebbiosa, non si vedeva nulla. Stavo attraversando la strada in sella alla mia bicicletta, molto probabilmente chi era alla guida non mi ha proprio visto, perché la visibilità era quasi nulla. Fui agganciata dalla macchina al manubrio della bici e sbalzata in aria. Mi trovai al centro della strada completamente sanguinante. Ricordo che sentii una voce che mi disse di alzarmi, ma dal lato opposto della strada non c’era nessuno. Mi ritrovai in piedi, e un secondo dopo un tir travolse la bici. Poi persi conoscenza e iniziò un duro percorso di recupero e riabilitazione dell’uso degli arti durato quasi due anni. Oltre al trauma cranico che mi scosse profondamente. Nel 2004 ho iniziato a scrivere le prime poesie, consapevole che qualcosa in me era cambiato. Non ero più sola, ma avrei dovuto imparare molte cose di me che ancora non avevo mai affrontato. La scrittura è arrivata in un momento difficilissimo, mi ha aiutato a superare ostacoli e a capire l’importanza di ogni istante. Da allora la poesia è diventata la mia luce, la mia guida.

L’Idea Magazine: Di queste raccolte, una è stata anche pubblicata in traduzione dai nostri amici di Bordighera Press nel 2018, proprio qui a New York. Puoi parlarcene un poco? [inserisci pure una poesia in inglese, se vuoi]
Michela Zanarella: Questa raccolta in edizione bilingue inglese/italiano con traduzioni di Leanne Hoppe è arrivata in modo inaspettato. Leanne mi contattò tramite mail dicendo che aveva letto alcune delle mie poesie in rete e ne era rimasta molto colpita. Mai avrei potuto immaginare di essere apprezzata da così lontano. Con la sua docente della Boston University scelse di lavorare alla traduzione di miei testi da un libro che pubblicai nel 2011 “Meditazioni al femminile”. Tra noi iniziò una fitta corrispondenza, poi lei decise di venire a Roma per conoscermi. Dopo due anni di lavoro arrivò “Meditations in the feminine” con Bordighera Press, una delle realtà editoriali indipendenti più interessanti nel panorama italoamericano, fondata nel 1989 da Fred Gardaphé, Paolo Giordano e Anthony Julian Tamburri. Nello stesso catalogo ci sono nomi importantissimi della poesia contemporanea italiana come Dacia Maraini, Silvio Ramat, Paolo Ruffilli, per citarne alcuni. Vorrei scegliere una delle poesie incluse nel volume in inglese:

Spark of life

In these bones
I travel
and I carry with me
the little sparks of life.
I unearth heat,
take in breath,
I love.
I want
to stay in this skin,
I want it to remain
magic
in destiny.
I want you to erupt
out of me
and I want to know
the taste of the sea.

L’Idea Magazine: Il tuo ultimo libro, “Recupero dell’essenziale”, che è stato appena pubblicato, è frutto di un recupero di poesie andate perdute. Puoi dirci di più al proposito?
Michela Zanarella: Il libro nasce da un recupero vero e proprio di inediti andati persi per un guasto irreversibile al computer. Sono riuscita a ritrovare parte dei testi grazie all’aiuto di alcuni amici, a cui avevo inviato le poesie in lettura. Fortunatamente invio spesso ciò che scrivo ad un gruppo fidato di persone che mi seguono e apprezzano. In questo caso sono stati: Felicia Buonomo, Corrado Solari, Fiorella Cappelli e Giovanni Battista Quinto a salvare una parte della mia produzione poetica. Senza di loro questo libro non avrebbe mai preso forma. Quindi a loro devo un grazie infinito. Tra le poesie ‘recuperate’ troverete anche questa:

Esiste una lingua segreta che s’impara
origliando ai piedi dell’erba
sottoterra c’è una folla di ombre sepolte
rugiade strette che vogliono tornare
sale su per le radici la grammatica dei papaveri
sosta come respiro tra le labbra il sogno di fiorire
il sole varia la sua voce a seconda della luce
cede la parola al silenzio ed è petalo sanguigno
che osa tramonti prima della sera.

L’Idea Magazine: I tuoi molti libri sono stati tradotti, oltre che in inglese, anche in francese, spagnolo, arabo, portoghese, hindi, giapponese, albanese, tedesco, polacco, turco, cinese e uzbeko. Congratulazioni! Pensi che nelle traduzioni siano riusciti a trasporre appieno i tuoi sentimenti? Qual è stata la reazione nelle altre nazioni alla tua poesia? Ci sono stati contatti di lettori/lettrici dall’estero?Nelle tue presentazioni, leggi mai una tua poesia in traduzione?
Michela Zanarella: Mi considero molto fortunata, perché ho avuto l’opportunità di incontrare ottimi traduttori, alcuni di loro sono anche poeti, quindi consapevoli dell’importanza dei significati, della musicalità, del ritmo. Non è facile tradurre un testo, perché si rischia di andare a modificare il senso dei termini se non si ha una certa dimestichezza con la poesia. Ho sempre avuto riscontri molto positivi dai lettori di altre nazioni, la poesia se ben tradotta, riesce ad avvolgere, emozionare, arriva dritta al cuore, sono molto contenta degli attestati di stima che ho ricevuto negli anni. Ho avuto la possibilità di conoscere tante persone, di essere letta quasi ovunque. È un privilegio. In molte presentazioni internazionali ho letto anche in versione tradotta le mie poesie. La mia formazione mi ha dato anche gli strumenti per conoscere bene altre lingue. Parlo tedesco, francese e inglese.

L’Idea Magazine: Si parla molto, ovviamente, delle tue poesie, ma tu hai scritto anche testi per il teatro, alcune canzoni e diversi racconti.  I tuoi testi teatrali sono stati mai messi in scena? I tuoi racconti sono apparsi in qualche antologia, suppongo…
Michela Zanarella: Alcuni dei miei testi teatrali sono stati rappresentati in molti teatri italiani. Ho la fortuna di avere un compagno regista e attore che mi ha aiutato molto. Avere una guida esperta nel settore è importantissimo. Tra i monologhi a cui tengo maggiormente cito “Tragicamente rosso” diretto da Giuseppe Lorin, interpretato da Chiara Pavoni, con le musiche del maestro Mauro Restivo. È un testo contro la violenza sulle donne, incluso anche in un libro omonimo, in cui ho affrontato il tema della violenza in poesia sotto diversi aspetti, non solo violenza di genere, ma esclusione sociale, violenza verso l’ambiente, violenza psicologica, oltre alla tragica ferita rimasta indelebile nella storia con la Shoah. Abbiamo portato il monologo nei teatri, nelle piazze, nelle scuole per ben cinque anni, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica su un argomento purtroppo sempre attuale. Per i racconti, invece, ho pubblicato un quadernetto nel 2009 “Convivendo con le nuvole”, che ebbe un discreto seguito; molti altri sono stati pubblicati in antologie. La poesia resta comunque la mia priorità.

L’Idea Magazine: Da dove trai ispirazione per le tue poesie? Ci sono poesie che ti hanno fatto soffrire a scriverle?
Michela Zanarella: Tendo a osservare ciò che mi circonda, ad ascoltarmi e cogliere i segni dell’universo. La mia poesia si nutre di simboli, corrispondenze, trae linfa espressiva dagli elementi della natura. Alcune poesie mi hanno procurato non sofferenza, ma uno stato di svuotamento interiore, ripercorrere certe immagini, certi ricordi, non è stato semplice. Ma fa parte di un percorso, credo, necessario. Dovevo entrare in profondità, accettare certe esperienze, rinnovarle.

L’Idea Magazine: Ma tu hai anche un romanzo nel cassetto in attesa di pubblicazione…
Michela Zanarella: È lì da tanto tempo, sospeso in un limbo. Ho quasi paura di pubblicarlo, perchè dentro c’è molto di me, non so se avrò la forza di fare questo passo. Tutte le mie ferite sono tra le pagine, affronto temi sicuramente attuali, che magari appartengono a tante donne. Chissà se avrò abbastanza coraggio. Temo più me stessa che il giudizio dei lettori.

L’Idea Magazine: Nel 2018 sei stata eletta Presidente della Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo. Che importanza ha per te questo onore?
Michela Zanarella: La Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo Associazione di Promozione Sociale RIDE -APS, con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), riunisce associazioni ed enti pubblici e privati (profit e no-profit) e opera al fine di realizzare i principi della Carta delle Nazioni Unite e, a livello europeo, e gli obiettivi del partenariato euro-mediterraneo contenuti nella Dichiarazione di Barcellona del novembre 1995, coerentemente con gli obiettivi della “Fondazione Euro-mediterranea Anna Lindh per il Dialogo tra le Culture” (FAL, o secondo la dicitura inglese Anna Lindh Foundation-ALF) della quale la RIDE-APS si costituisce come “Rete Italiana”.

La RIDE-APS, in collaborazione con le istituzioni pubbliche e private, gli organismi non governativi e della società civile operanti in Italia, promuove il dialogo tra i popoli e gli Stati, in special modo nello spazio euro-mediterraneo, aderenti ai principi e finalità della Costituzione italiana, della Dichiarazione universale dei Diritti umani del 1948, dell’Unione per il Mediterraneo (UpM). La nostra mission consiste nel promuovere iniziative nel quadro della cooperazione allo sviluppo e della solidarietà internazionale; promuovere il dialogo tra i popoli e le realtà culturali, all’insegna delle rispettive identità e della reciprocità, con particolare attenzione all’area euro-mediterranea; tutelare e valorizzare beni comuni di interesse artistico e storico in Italia e nei Paesi del Mediterraneo; favorire l’incontro, il collegamento, il coordinamento e la cooperazione fra tutti i soggetti e le organizzazioni della società civile che operano in Italia per il dialogo euro-mediterraneo e lo scambio di buone pratiche. Mi onora essere stata eletta, perchè è un incarico che richiede responsabilità e fiducia da parte dei soci membri. Essere impegnata in un contesto di rilievo internazionale, mi conduce a mantenere un equilibrio diplomatico e ad imparare l’ascolto assoluto.

L’Idea Magazine: Sei anche stata nominata Extraordinary Ambassador for Naji Naaman’s Foundation for Gratis Culture. In che cosa consiste questa nomina? 
Michela Zanarella: Nel 2016 vinsi il premio “Creativity Prize” nel prestigioso concorso internazionale Najj Naaman, che porta il nome dello scrittore e umanista libanese che lo ha ideato. Nello stesso anno mi nominarono ambasciatrice culturale per l’Italia. Cerco di valorizzare i talenti italiani, facendo conoscere i poeti del nostro Paese, tradotti anche in altre lingue. Un bellissimo incarico che negli anni mi ha dato la possibilità di dare voce a tanti giovani, ma anche a tante voci di spessore.

L’Idea Magazine: Quali sono le tue funzioni in seno all’associazione “Le Ragunanze”?
Michela Zanarella: L’Associazione di Promozione Sociale “Le Ragunanze” è formata da persone che intendono promuovere e impegnarsi nella diffusione della Cultura e dell’Arte in tutte le sue espressioni. L’Associazione si ispira ai principi del libero associazionismo, è apolitica e non persegue finalità di lucro.
“Ragunanza” è stato un vocabolo quotidiano dell’epoca barocca e significava “radunanza”, raduno di più persone, in principal modo individui di qualsiasi espressione artistica. Era un termine che designava l’incontro di più artisti che mostravano agli astanti quanto l’ingegno, se ben guidato, poteva produrre. Ed è proprio, seguendo le orme di Cristina di Svezia, ideatrice dei raduni degli artisti con la sua Arcadia, che l’Associazione di Promozione Sociale intende ripristinare gli antichi incontri denominati “Le Ragunanze”, valorizzando nel contempo l’ambiente, il territorio, il genio artistico, espressione di qualsiasi forma d’Arte. Da ben otto anni organizziamo il concorso letterario internazionale “Le Ragunanze” con i patrocini di Consiglio Regionale del Lazio, Roma Capitale XII Municipio, Ambasciata di Svezia, Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, Golem Informazione, Associazione Culturale Euterpe, Leggere Tutti, ACTAS, Premio internazionale di Poesia & Narrativa Città di Latina, WikiPoesia. Abbiamo cercato di valorizzare il territorio e il quartiere Monteverde, nel cuore di Roma, premiando l’arte, la cultura e la bellezza.

L’Idea Magazine: Potresti parlarci un poco del Gruppo di Esplorazione Letteraria Poeti Emozionali?
Michela Zanarella: Il gruppo è nato da un’idea dello scrittore Domenico Garofalo, durante la pandemia. È riuscito a riunire scrittori con stili diversi provenienti da varie regioni, uniti dalla stessa passione per la poesia. Possiamo definirci amici scrittori accomunati da affinità letterarie ed emotive nella creazione delle liriche, delle emozioni provate durante lo scrivere o nel declamare versi. Esploratori dell’anima che amano guardarsi dentro per migliorarsi. Siamo: Antonio Corona, Johanna Finocchiaro, Francesco Nugnes, Domenico Garofalo, Immacolata Rosso ed io.

L’Idea Magazine: Molti dei nostri lettori, e anche ad un paio dei nostri giornalisti, saranno molto orgogliosi che tu sia originaria della provincia di Padova. Ti sei però spostata a Roma. Come mai?
Michela Zanarella: Sono nata a Cittadella, in provincia di Padova, ma sono cresciuta a Campo San Martino, piccolo paese della provincia di Padova. Ho vissuto lì fino al 2007, poi per amore, mi sono trasferita a Roma, dove vivo tuttora. Ho scelto di seguire il cuore, anche se poi la storia con la persona con cui stavo si è interrotta. Sono rimasta a Roma, e mi sono trasferita nel quartiere Monteverde, un quartiere verde, ricco di storia e cultura, dove mi sento accolta e apprezzata. Qui hanno vissuto, tra l’altro, alcuni dei poeti che amo, come Pier Paolo Pasolini e Giorgio Caproni. Mi emoziono ogni volta pensando che si sono ispirati tra queste strade, osservando gli stessi luoghi dove mi trovo anch’io.

L’Idea Magazine: Hai anche contribuito alla stesura di un romanzo, essendo uno degli otto co-autori del romanzo di Federico Moccia “La ragazza di Roma Nord”. Da che cosa è nato questo progetto e a che cosa mirava?
Michela Zanarella: Il progetto è nato da un contest letterario organizzato dalla casa editrice SEM in collaborazione con Federico Moccia, che invitava i lettori a essere parte attiva del suo romanzo. Si poteva partecipare con poesie e racconti. Solo otto avrebbero potuto essere inseriti nel romanzo. La mia poesia rientrò tra gli otto testi meritevoli. Non avrei mai pensato di riuscire a superare la selezione tra migliaia di concorrenti. Quando mi telefonarono per darmi la notizia pensavo fosse uno scherzo. Invece era tutto vero. Fui inserita non solo con la poesia, ma sono diventata un personaggio in un capitolo del libro. Una bellissima emozione. Ho avuto anche l’onore di partecipare ad alcune presentazioni del libro insieme a Federico, una persona splendida, molto disponibile.

L’Idea MagazineCollabori con la redazione di Periodico Italiano Magazine, Laici.it e Brainstorming Culturale, oltre ad altre testate. Come sono nate nel corso degli anni queste collaborazioni e quali sono le differenze sostanziali tra queste testate e, di conseguenza, il tuo rapporto letterario?
Michela Zanarella: Con Periodico Italiano intrapresi un percorso di formazione in redazione per diventare giornalista pubblicista. Devo molto agli insegnamenti di Vittorio Lussana, direttore, e Francesca Buffo, capo redattore. Mi hanno insegnato una professione che richiede passione, impegno e costante approfondimento. Dal 2018 sono quindi pubblicista iscritta all’ordine dei giornalisti del Lazio, e ho continuato a scrivere recensioni, interviste, per Periodico Italiano, Laici e altre testate. Con Brainstorming Culturale diretto da Annalisa Civitelli mi occupo della recensione di libri. La scrittura giornalistica è completamente diversa dalla poesia, quindi ho dovuto fare una separazione netta dalla mia dimensione poetica. È stato un percorso duro e faticoso, ma ho capito le tecniche e le regole richieste, studiando, leggendo e scrivendo molto.

L’Idea Magazine: È vero che ci sono in corso di creazione anche un podcast e un canale TV da parte tua?
Michela Zanarella: Si, grazie al lavoro del mio webmaster Alessandro Bagnato, che ha curato la grafica e i contenuti del mio sito ufficiale www.michelazanarella.it ho scelto di mettermi in gioco per dare voce e spazio anche ad altri artisti. Ho dato il via a due rubriche “Scrivimi” dove realizzo delle brevi interviste a scrittori, artisti, performers, e “Liberi”, dove ospito i versi di poeti contemporanei nazionali e internazionali. La sezione podcast è in via di sviluppo e conterrà interviste audio e video.

L’Idea Magazine: Se tu potessi incontrare un personaggio del passato, o anche del presente, chi sarebbe e che cosa chiederesti?
Michela Zanarella: Se potessi, del passato vorrei incontrare Pier Paolo Pasolini, perchè chissà quante cose avrebbe da raccontare ancora. Gli chiederei cosa pensa del nostro tempo, del governo attuale e dell’Italia in genere. Sarebbe stato un bel confronto. Avremmo parlato a lungo di poesia, di vita e morte. E poi Alda Merini, donna e poeta immensa. Mi affascina molto la vita dei poeti, soprattutto di chi si è spinto oltre, senza nascondere mai la propria identità. Del presente vorrei incontrare due persone: Gabriele Galloni, giovane poeta, scomparso prematuramente. Ci siamo scritti tante volte, ma non sono mai riuscita  a incontrarlo. Poi Marcella Continanza, splendida voce della poesia contemporanea, giornalista e ideatrice del Festival della poesia europea di Francoforte sul Meno. A lei ho dedicato il mio ultimo libro “Recupero dell’essenziale”. Ci siamo sempre telefonate per anni, siamo diventate grandi amiche, ma anche con lei non c’è stato mai l’incontro.

L’Idea Magazine: Quando incontri un’altra persona, qual è il pregio che ti attira di più e qual è il difetto che ti da più fastidio?
Michela Zanarella: Mi attira la spontaneità, l’umiltà. Mi dà molto fastidio la troppa saccenza, la presunzione.

L’Idea Magazine: Se dovresti definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Michela Zanarella: Curiosa, timida, generosa.

L’Idea Magazine:  Sogni nel cassetto?
Michela Zanarella: I sogni sono tanti, ma resto dell’idea che sia giusto vivere senza troppe aspettative. Mi accontento di stare bene, di avere a fianco le persone che amo, di continuare a coltivare le mie passioni.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Michela Zanarella: Cercate di ascoltarvi e di prestare ascolto anche agli altri, amarsi è il primo passo per amare il mondo. E se potete non rinunciate mai a ciò che vi fa stare bene.