Ho ritrovato una parte delle mie radici nella cura degli alveari. Intervista esclusiva con l’autore e apicoltore Francesco Colafemmina.

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Francesco Colafemmina è nato a Roma nel 1980. Laureato in filologia  classica ha frequentato la scuola di giornalismo della RAI per poi dedicarsi  all’attività imprenditoriale nel settore dell’energia e dell’agricoltura  sostenibile. I suoi interessi spaziano dal mondo classico all’arte e alla  spiritualità. Continua  ad associare l’attività pubblicistica al proprio impegno verso l’ambiente,  attraverso la sua azienda di apicoltura biologica. 

L’Idea Magazine: Buongiono Francesco. Tu possiedi un azienda di apicoltura biologica.Come sei arrivato dalla frequentazione della scuola di giornalismo della RAI all’attività imprenditoriale nel settore dell’energia e dell’agricoltura sostenibile?
Francesco Colafemmina: Buongiorno a voi, e grazie per il vostro interesse. È certamente una lunga storia, ma diciamo in premessa che in un mondo sempre più analitico, dove la specializzazione fa l’individuo, continuo a professare l’ideale rinascimentale dell’uomo che al mattino cura i suoi campi, il pomeriggio discute della politica del suo paese, e a sera si immerge negli studi. Qualcosa del genere… Sono sempre stato refrattario agli ordini di scuderia, alle obbedienze e ai conformismi, perciò ho preferito dedicarmi alla consulenza aziendale in una fase molto dinamica della mia vita, quando viaggiavo di qua e di là, esplorando una settimana le terre della Tessaglia per realizzare impianti fotovoltaici, quella successiva le colline attorno a Costanza sul Mar Nero per issare anemometri per l’eolico, e l’altra ancora volando nell’isola di Terranova per un convegno sul trasporto del gas compresso. Dopo diversi anni mi sono reso conto che i paesaggi, i campi ora fioriti ora arati esercitavano su di me un profondo richiamo alle origini, alla civiltà dei miei nonni. La scoperta delle api, della loro società ordinata e coesa, è stata poi una vera e propria rivelazione. Ho lasciato tutto il resto e ho ritrovato una parte delle mie radici nella cura degli alveari.

L’Idea MagazineNel 2017, per ‘Apinsieme-Rivista Nazionale di Apicoltura’, hai pubblicato “Le Api e Noi”, una approfondita storia sociale delle api e del miele. Ti affascinano molto le api?
Francesco Colafemmina: Sono creature meravigliose, fatte di perfezione. Alle volte mi capita di contemplarne una ferma sulla mia mano per un’improvvisa esigenza di riposo. La osservo e rifletto su quanto l’essere umano sia per molti versi una creatura irrisolta, imperfetta, spesso una minaccia per se stesso e per le altre creature. L’ape no. L’ape è l’emblema di una intelligenza superiore che anima il cielo e la terra. E infatti questo piccolo insetto racchiude in sé il mistero di entrambi i mondi, del sole che trae a sé i fiori, della terra che li nutre. E realizza un prodotto unico, straordinario, come il miele, dolce sintesi di estati e primavere.

L’Idea Magazine: Oltre a ciò, tu continui con la tua attività di giornalista pubblicista e, chiaramente, di autore. Essendo laureato in filologiaClassica, il tuo libro del 2007, “Dialoghi con un Persiano di Manuele II Paleologo” mi sembra tratti di un argomento ben mirato. Potresti parlarcene?
Francesco Colafemmina: In uno dei miei tanti viaggi in Grecia, quando esisteva ancora Alitalia e distribuiva i quotidiani in volo, mi capitò fra le mani una copia del Corriere della Sera che riferiva di una lectio magistralis di papa Benedetto XVI a Ratisbona nella quale il grande teologo rimarcava come le radici del Cristianesimo affondassero anche nell’ellenismo e citava questi sconosciuti dialoghi dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo. Appena misi piede a terra chiamai un mio amico che lavorava per Rubbettino e gli proposi di pubblicare una traduzione inedita di quei dialoghi. Fu una esperienza entusiasmante. Benedetto XVI richiamava, sulla scorta di Manuele II, la dimensione di intima convinzione spirituale racchiusa nella conversione: opera del cuore e della ragione, non della costrizione o della spada. L’imperatore bizantino era all’epoca dei suoi dialoghi ostaggio del Sultano e discettava di religione con un dotto musulmano persiano, ma non aveva difficoltà nel sottolineare le storture di una religione imposta con la violenza e la sottomissione. All’epoca la prolusione del papa suscitò aspre critiche ma anche numerosi consensi nello stesso mondo musulmano. Tuttavia, a distanza di quattordici anni da quel momento, sembra che tutto sia finito nel dimenticatoio, e non perché gli eccessi del fondamentalismo siano spariti, ma perché il nostro mondo sembra aver sostituito ormai la fede in una religione con i tanti talismani tecnologici che ingombrano le nostre esistenze, e le plasmano costringendole a tenere gli occhi rivolti verso il basso, verso uno schermo, sicché la fede sembra svanire in una vaga memoria del passato. Gli antichi dicevano: motus in fine velocior. Un’accelerazione terminale della nostra civiltà.

L’Idea Magazine: Trovi difficoltà a gestire l’aspetto imprenditoriale e ritenere la tua attività di scrittore oppure essere immerso nella natura ti aiuta a creare ancor più?
Francesco Colafemmina: Certamente aiuta a riflettere. L’apicoltura è mestiere solitario e anarcoide, simile alla pastorizia per molti versi. Chiaramente nella fase produttiva, da marzo a luglio, è molto difficile combinare le due cose, fra viaggi notturni con le api alla ricerca di nuovi pascoli, e mattutine visite agli alveari, posa e ritiro dei melari, smielatura, etc. Tuttavia quei mesi sono come un lievito. Qualcosa matura dentro, mentre senti il vento sul viso, mentre sudi sotto il sole, mentre aggrotti la fronte per una puntura inaspettata. Ma la scrittura non è un mestiere, è una passione – per ritornare all’uomo rinascimentale. Per certi versi anche l’apicoltura lo è. Quindi le cose sono molto più intrecciate di quanto possa sembrare.

L’Idea Magazine: Hai seguito nel 2010 con l’inchiesta artistico-giornalistica “Il Mistero della chiesa di San Pio”. Di che mistero si tratta?
Francesco Colafemmina: È il mistero della simbologia “esoterica” di molte opere d’arte e d’architettura sacra che non nascono in un contesto religioso, ma laico o addirittura anticattolico.  Per alcuni anni ho gestito un blog di successo dedicato all’arte e all’architettura sacra. Una esigenza nata a partire da esperienze di personale orrore dinanzi a chiese che sembrano hangar o opere d’arte sacra che sembrano caricature dell’arte. Il santuario di San Pio a San Giovanni Rotondo, realizzato dall’archistar Renzo Piano, mi parve un esempio straordinario di questo corto circuito fra committente ed artista/architetto, che altera in maniera definitiva il significato di uno spazio o di un’opera che dovrebbero invitare alla preghiera e che in realtà assumono i tratti individualistici e micragnosi delle laicissime forme d’arte e architettura contemporanee. Ma anche qui il vento è cambiato da un giorno all’altro. E la confusione è cresciuta così tanto che un giorno ho deciso di cancellare per sempre il blog. Ne resta sostanzialmente questo libro inchiesta, quale frutto più maturo.

L’Idea Magazine: Sempre stando nell’era classica, hai anche pubblicato “Storia del Matrimonio nella Grecia classica”. Non mi sarei mai immaginato che un soggetto tale potesse avere diramazioni sufficienti per un libro… Come ti è sorta l’idea per il libro e quanta ricerca hai dovuto fare al proposito?
Francesco Colafemmina: Perché ci sono numerosissimi pregiudizi a riguardo. Pregiudizi contemporanei sui costumi sessuali degli antichi e sulla creazione “religiosa” del vincolo matrimoniale. In realtà, se scaviamo nel passato, scopriamo che talune istituzioni fondamentali come il matrimonio sono radicate nella civiltà greco-romana, con legami simbolici fortissimi e tuttora operanti, come il velo o l’anello.  E i costumi degli antichi non erano poi così rivoluzionari come si tende a pensare. La libertà sessuale era riservata ad una ristretta cerchia aristocratica, la stessa che la accreditava attraverso la letteratura o la filosofia. Il popolo, la massa anonima, era spesso molto più bigotta di quanto si possa immaginare. D’altro canto è questo uno dei segni caratteristici delle civiltà contadine.

L’Idea Magazine: “La Democrazia di AteneStoria di un mito” è il tuo libro del 2020. Intende essere un punto di riferimento per chi studia la storia della democrazia o della Grecia antica?
Francesco Colafemmina: Non direi, non ho simili pretese. Ma di sicuro non esisteva in Italia un testo che ricostruisse le origini e lo sviluppo della democrazia ateniese seguendo un po’ le tracce della grande scuola elitista italiana (quella per intenderci di Mosca, Pareto e Michels). L’assunto di fondo è che il sistema democratico – cosa in generale condivisa dagli storici – non fu mai una creazione dal basso, ma una composizione di interessi elitari. Dalla mia analisi emerge inoltre che le élites che “inventarono” la democrazia ateniese erano élites ribelli rispetto all’aristocrazia terriera classica. Permeate dallo scetticismo e dal razionalismo della sofistica, in un rapporto osmotico con la cultura del grande antagonista degli Elleni, l’impero Persiano, strutturarono una forma politica creativa e in perpetuo divenire, ma assai meno stabile e “democratica” di quanto possa sembrarci. Così anche oggi che viviamo in democrazie “formali” non possiamo accontentarci di una formula, di un meccanismo apparentemente in grado di rappresentare i cittadini, perché oggi tutte le democrazie occidentali sono minacciate dalla tecnica, da nuovi pervasivi metodi di controllo che limitano o sono in grado di limitare le nostre libertà fondamentali. Così lo studio del passato e delle sue contraddizioni può aiutarci a trovare una via per rimettere in equilibrio una pericolante struttura democratica, sempre più inclinata verso nuove tirannidi.

Il 14 gennaio del 1506 l’incontro con il Laocoonte trasformò Michelangelo in nuovo Enea. Prese su di sé l’eredità dell’antico e la tradusse in una forza nuova, talmente avanzata da confondere i suoi contemporanei. ENIGMA LACCOONTE analizza tutti gli ingranaggi di questa intricata vicenda, ne ricostruisce il contesto storico e culturale, richiamando la dimensione simbolica del Laocoonte e il suo messaggio spirituale e politico.

L’Idea Magazine: “Enigma Lacoonte” è il tuo ultimo libro, che possiamo definire un “giallo artistico”… Pensi di pubblicare anche una versione in inglese?
Francesco Colafemmina: Al momento non è prevista una traduzione, ma sarebbe certamente un valido strumento per ampliare la discussione sulle diverse questioni ancora aperte relative al Laocoonte vaticano.

L’Idea Magazine: Qual è il personaggio (o quali sono i personaggi) del passato che ti affascina(no) di più?
Francesco Colafemmina: Ve ne sono di innumerevoli. Chiunque ami la storia e la lettura per certi versi fa come Zenone di Cizico. Il grande filosofo stoico era in realtà un mercante di origini fenicie. Un giorno perse il suo carico di porpora in un naufragio, mentre lo aspettava nel porto di Atene. Così, decise di farsi indirizzare nella sua vita dall’Oracolo delfico. E la Pizia gli disse soltanto: “mettiti in comunicazione con i morti”. Con questo intendeva indicargli la riscoperta dei grandi sapienti del passato. Per certi versi ognuno di noi sa che il passato è un luogo abitato da intere comunità di amici. Ricordo ancora il mio professore di letteratura cristiana antica chiamare Omero “nonno” e Virgilio “zio”, come se fossero tutti membri di una nostra intima famiglia spirituale.

L’Idea Magazine: Nel 2011 hai anche pubblicato il tuo primo romanzo, “La Serpe fra gli ulivi”.  Dai libri di soggetto storico o eco-biologico, ambedue soggetti pertinenti ai tuoi studi e attività imprenditoriali, sei anche arrivato al romanzo. Che cosa ti ha spinto a scriverlo?  Qual è la trama?
Francesco Colafemmina: È un thriller sui generis ambientato in Puglia, scritto quando la Puglia si proiettava come regione del turismo e delle tradizioni, mentre in realtà sotto questa patina dorata si nascondeva spesso un mondo di corruzione e mafia, di droga e “allegra” imprenditoria. La Serpe fra gli Ulivi è un racconto di un microcosmo ancora molto attuale. E tra l’altro contiene una “profezia”: quella dell’elezione del papa latinoamericano…

L’Idea Magazine: Quest’anno è attesa la pubblicazione del tuo secondo romanzo, “Con lo stesso sguardo”. Di che cosa tratta?
Francesco Colafemmina: In realtà “Con lo stesso sguardo” uscirà forse nel 2022. A breve è invece attesa l’uscita di un altro romanzo, “La Guerra non è finita”. Un romanzo distopico che narra le vicende di una generazione di trentenni che improvvisamente, venuti a contatto con oggetti appartenuti ai loro nonni, iniziano a sognarli. E questi sogni si traducono in una rivoluzione, una “rivolta contro il mondo moderno”. Usciranno dalla gabbia del fatalismo, per accendere la fiammella della speranza.

L’Idea MagazineChi è lo scrittore o scrittrice al quale senti più affinità? E quale pensi ti abbia influenzato di più?
Francesco Colafemmina: Indubbiamente Dino Buzzati, scrittore che amo più di ogni altro, italiano e straniero. Ma oltre Buzzati ce ne sono molti altri, come ad esempio lo sconosciuto ai più Marcello Gallian, straordinario autore di romanzi dalle tonalità decadenti e a tratti surrealiste nel pieno degli anni ’30. E poi c’è la mia passione per la letteratura greca moderna, da Papadiamandis a Myrivilis, passando per poeti come Karyotakis e Sarandaris.

COLAFEMMINA SULLA COPERTINA DELLA RIVISTA “VATICAN”

L’Idea Magazine: Hai altri progetti letterari in lavorazione?
Francesco Colafemmina: A marzo per i tipi di Settecolori sarà pubblicata la mia traduzione di un capolavoro della letteratura neogreca, ‘Il Numero 31328” di Ilias Venezis. Un omaggio ai greci dell’Asia Minore vittime del genocidio del 1922. Un’opera piena di tristezza, intrisa di crudeltà, e nello stesso tempo carica di nostalgia e tenerezza che viene per la prima volta proposta ai lettori italiani dal 1931, anno della sua prima pubblicazione.

L’Idea Magazine: Qual è il libro scritto da te con cui ti identifichi di più, e perché?
Francesco Colafemmina: Una bella domanda! Certamente i romanzi sono i luoghi della scrittura nei quali si racconta molto di sé, e si è più liberi di lasciare tracce che poi il lettore dovrà seguire.

Alle volte la solitudine può essere una opportunità.

L’Idea Magazine: Si parla di ‘sindrome da isolamento’ causata da Covid. Tu ne hai risentito?
Francesco Colafemmina: Grazie alle api ho sofferto poco di questa sindrome. La libertà di movimento ha permesso all’apicoltore di continuare indisturbato i propri spostamenti notturni di alveari, di colloquiare con la natura e di impegnare all’aria aperta i propri giorni. Un grande astrologo francese che nel 1993 predisse la pandemia, André Barbault, parlava tuttavia in relazione al 2020 di un momento di grande “introspezione” dell’uomo. Alle volte la solitudine può essere una opportunità. Mi rendo tuttavia conto che la solitudine forzata sia stata per molti di noi soltanto uno spreco, condita com’era da angosce, incertezze e paure costantemente alimentate da ogni mezzo di comunicazione. Il fatalismo ci avvince, e la speranza si rifugia nel sogno.

L’Idea Magazine: Se tu avessi l’opportunità di parlare con un individuo del passato, chi sarebbe e che cosa chiederesti?
Francesco Colafemmina: Mi piacerebbe incontrare Solone e potergli chiedere cosa esattamente gli dissero i sacerdoti egizi in merito alla vicenda di Atlantide. Naturalmente gli chiederei anche come sia riuscito a spianare la strada alla democrazia ad Atene. Poi finiremmo con l’invitare un po’ di amici al simposio, qualche bella flautista, e si chiacchiererebbe fino al mattino. Sveglio, mi renderei conto che è stato solo un sogno, ma almeno mi piacerebbe poter ricordare le sue parole su Atlantide…

L’Idea Magazine: Potresti cercare di definire te stesso con tre aggettivi?
Francesco Colafemmina: Curioso, testardo, sognatore.

Mi affido allo stupore che la vita mi riserva giorno per giorno.

L’Idea Magazine: Oltre l’apicoltura e la letteratura, hai altri interessi?
Francesco Colafemmina: Un tempo ballavo il tango; dopo diverse partner che non apprezzavano, ho appeso le scarpe al chiodo… Mi limito ad ascoltare la buona musica. E amo cucinare, naturalmente cucina greca…

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Francesco Colafemmina: Mi affido allo stupore che la vita mi riserva giorno per giorno.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Francesco Colafemmina: Coltivate la speranza, non smettete mai d’essere curiosi, ricercate sempre la bellezza.

Il prof. Gentile, chirurgo plastico di Tor Vergata, nella classifica Top Scientists dell’Università di Stanford. Intervista esclusiva.

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Nella classifica TOP SCIENTISTS, ranking dei migliori scienziati al mondo, appena pubblicata dalla Stanford University (August 2021 data-update for “Updated science-wide author databases of standardized citation indicators – published October 19, 2021), figura il Prof Pietro Gentile, Professore Associato di Chirurgia Plastica all’Università di Roma “Tor Vergata”. Lo studio condotto dal Prof. John Ioannidis, della Università di Stanford, ha analizzato ben 8,6 milioni di ricercatori di Università e Centri di ricerca di tutto il mondo, identificando gli scienziati che si sono distinti a livello mondiale per autorevolezza
scientifica sulla base del numero di pubblicazioni e di citazioni nelle relative aree disciplinari.
L’analisi dei dati bibliometrici ha consentito di creare una lista pubblicamente disponibile di oltre 100.000 scienziati di spicco, (2% del totale), classificati in 22 campi scientifici e 176 sottocampi, che fornisce informazioni standardizzate su citazioni, h-index, ed altri indicatori bibliometrici.
Il prof. dott. Pietro Gentile, che ci ha dato l’opportunita di intervistarlo, è stato inoltre identificato dall’agenzia di ranking americana ExpertScape come il miglior chirurgo plastico italiano 2021 e tra i primi 20 a livello mondiale.
Questi risultati evidenziano l’eccellenza e la rilevanza internazionale della ricerca scientifica italiana anche nell’ambito della chirurgia plastica.

L’Idea Magazine: Buongiorno Prof. Gentile. Essere riconosciuto come uno dei migliori dottori in chirurgia plastica del mondo deve essere averla riempita di orgoglio…
Prof. Pietro Gentile: Non posso negarlo! Anche se quello che mi rende più orgoglioso non è il titolo ma il riconoscimento a livello mondiale dei risultati dell’attività medico-scientifica svolta per oltre quindici anni di ricerca.

L’Idea Magazine: Che cosa Le ha fatto scegliere questo ramo della medicina?
Prof. Pietro Gentile: L’amore per l’arte e per la scienza: due mondi apparentemente opposti che la chirurgia plastica riesce incredibilmente ad unire. La chirurgia plastica è, infatti, l’unica branca della medicina che coniuga il rigore metodologico (proprio della scienza) al senso estetico (propria dell’arte).

L’Idea Magazine: Qual è stata per Lei l’operazione più complessa o difficile nel corso della Sua carriera?
Prof. Pietro Gentile: Dipende cosa si intende per complessità e difficoltà. Vede, a prescindere dalle difficoltà tecniche proprie di qualsiasi settore della medicina, nella chirurgia plastica il sanitario non solo deve garantire l’osservanza delle buone pratiche chirurgiche nel rispetto delle linee guida e dei protocolli scientifici, ma deve altresì riuscire a soddisfare le esigenze del paziente; ne consegue che le complessità e le difficoltà vanno di pari passo con il risultato auspicato dal paziente stesso. Venendo alla sua domanda, ho eseguito interventi di chirurgia plastica oggettivamente complessi ed innovativi in diverse parti del mondo che hanno richiesto precisione e professionalità, ma le posso assicurare che, al pari, anche interventi per così dire di routine possono nascondere complessità proprio in ragione del risultato da raggiungere. Il mio modo per ovviare alle difficoltà è stato quello di adottare un estremo rigore metodologico in ogni operazione dalla più semplice alla più complessa.

L’Idea Magazine: Lei ha pubblicato, tra le altre ricerche, una in particolare sull’uso del plasma arricchito di piastrine per trattare l’alopecia androgenetica a base ormonale. Potrebbe darci una breve spiegazione in merito?
Prof. Pietro Gentile: Mi rende orgoglioso aver pubblicato molti articoli scientifici su riviste internazionali ad alto impact factor anche sull’uso del PRP e di altre strategie rigenerative nell’alopecia androgenetica (AGA). Il PRP è un concentrato di fattori di crescita ottenuti dal proprio sangue, che ha dimostrato avere – in pazienti selezionati e ritenuti idonei – risultati statisticamente significativi nell’AGA di grado lieve/moderato: Circa il 60% dei pazienti trattati ha avuto risultati pienamente soddisfacenti. Ma, trattandosi di dati scientifici, è bene considerare anche l’altro lato della medaglia: infatti, un 20% di pazienti non ha avuto risultati così soddisfacenti, mentre un altro 20% non ha avuto miglioramenti. Una informazione che ritengo doverosa precisare è che il trattamento può essere eseguito in Italia soltanto in centri medici muniti di una specifica autorizzazione da parte del centro trasfusionale di riferimento, nel rispetto del Decreto Legge 2 Novembre 2015 (Legge sangue). Pertanto, invito i lettori interessati a ben documentarsi, anche sul possesso o meno di tale autorizzazione, prima di sottoporsi al suddetto trattamento medico.

L’Idea Magazine: Come possono essere usate le cellule staminali nella chirurgia plastica estetica e rigenerativa?
Prof. Pietro Gentile: Nella Chirurgia Plastica Rigenerativa, l’uso delle cellule staminali mesenchimali di derivazione adiposa (ricavate dunque dal proprio grasso) ha avuto un notevole incremento negli ultimi 10 anni. La procedura si basa su una liposuzione minimamente invasiva che consente di prelevare una doppia quantità di grasso. Una prima parte del grasso raccolto viene sottoposta a procedure di centrifugazione e filtrazione meccanica, procedure di manipolazione minima (legge 23 CE 2004 e successive) volte a isolare una sospensione di cellule vasculo sromali in cui sono contenute le staminali mesenchimali. Una seconda parte del grasso raccolto, viene arricchita con la sospensione cellulare e re-innestata nelle sedi di deficit dei tessuti molli.
Esempi di impiego possono essere, infatti, la ricostruzione mammaria, le cicatrici, deformità congenite o acquisite, esiti di ustione oppure motivazioni estetiche. In quest’ultimo caso, il grasso innestato, comunemente chiamato Lipofilling o Lipostructure, viene arricchito ed utilizzato – in pazienti selezionati – per l’aumento di volume del seno o per il rimodellamento mammario, per il ringiovanimento del volto, per l’aumento dei glutei o per il ringiovanimento delle mani. Negli ultimi anni ho notato che sono sempre più numerose le pazienti che prediligono l’utilizzo del grasso per l’aumento del seno (al posto delle protesi) in considerazione del risultato totalmente naturale ed armonico che tale pratica garantisce.

L’Idea Magazine: Lei pensa che in Italia siamo ormai all’avanguardia in questo settore?
Prof. Pietro Gentile: L’Italia è oggi – senza ombra di dubbio – tra i paesi al mondo più all’avanguardia nell’ambito della chirurgia plastica, ed il riconoscimento che personalmente ho ricevuto, essendo stato inserito nella “Top Scientist” sulla base delle pubblicazioni scientifiche realizzate in tale settore, ne è solo un piccolo esempio.

L’Idea Magazine: Riguardo l’estensione della chirurgia plastica, quando scelta puramente per scopi estetici, Lei pensa che ci possa essere un limite oltre al quale il medico non dovrebbe andare o la considera esclusivamente una scelta personale del paziente?
Prof. Pietro Gentile: Il Chirurgo Plastico deve necessariamente scoraggiare il paziente o la paziente quando vengono richiesti interventi chirurgici non indicati. In questi casi, non è etico assecondare il paziente pur di eseguire l’intervento richiesto, piuttosto è necessario trovare un giusto equilibrio tra ciò che viene chiesto durante la visita e ciò che davvero è indicato fare nel rispetto dei protocolli scientifici e delle linee guida.

L’Idea Magazine: Che cosa Le piace fare nel tempo libero, sempre ammesso che ne abbia?
Prof. Pietro Gentile: Com’è facile comprendere, tra l’attività di ricerca, gli interventi chirurgici e l’attività di divulgazione scientifica nei congressi internazionali, di tempo libero ne ho davvero poco! Cerco comunque di ritagliarmi degli spazi per svolgere attività fisica preferibilmente all’aria aperta e al sole – che consiglio a tutti come toccasana per stimolare l’ossigenazione dei tessuti e la rigenerazione cellulare – nonché per godermi la vita familiare con la mia compagna e con gli amici.

L’Idea Magazine: Se Lei potesse incontrare una persona del passato, o anche del presente, qualsiasi persona, chi sarebbe e che cosa Le piacerebbe chiedere?
Prof. Pietro Gentile: Nell’ordine: Chris Barnard, Neil Armstrong, Giulio Andreotti e mia madre. Al primo chiederei quanto ha davvero contato la fortuna e la velocità nel fare il primo trapianto di cuore ai fini della carriera. Ad Armstrong chiederei la sensazione che ha provato nell’attimo in cui ha messo il piede sulla luna. Ad Andreotti chiederei di poter sbirciare nei suoi “famosi” archivi. A mia madre – che non c’è più ed alla quale devo tutto – chiederei se è orgogliosa dei risultati che ho raggiunto.

L’Idea Magazine: Se Lei dovesse definirsi con tre aggettivi, quali sarebbero?
Prof. Pietro Gentile: Visionario, Ostinato, Perfezionista.

L’Idea Magazine: Un messaggio ai nostri lettori?
Prof. Pietro Gentile: Ho trasformato ogni avversità, ostacolo e rifiuto in opportunità; vi auguro di riuscire a fare lo stesso.

Mi affascina tutto ciò che mi incuriosisce e stimola la mia creatività… Intervista esclusiva con l’attore e produttore Walter Nicoletti

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Walter Nicoletti è un attore e produttore italiano, fondatore della Casa di Produzione “Voce Spettacolo” di Matera. Tra le sue attività di recitazione ricordiamo i film “NO TIME TO DIE” di Kary Fukunaga, “JESUS VR–THE STORY OF CHRIST” di David Hansen, primo film della storia del cinema in virtual reality, e la partecipazione alle  fiction italiane “IMMA TATARANNI” di Francesco Amato, “SORELLE” di Cinzia Th Torrinie “PIETRO MENNEA-LAFRECCIA DEL SUD” di Ricky Tognazzi.

L’Idea Magazine: Ciao Walter e grazie per averci permesso di incontrarti, anche se solo virtualmente. Allora, siamo stati informati che hai appena vinto il premio come miglior attore non protagonista agli “Actors Awards” di Los Angeles per la tua partecipazione al film “Red Market”. Per prima cosa, congratulazioni e grazie da parte della comunità italiana negli USA, Ci hai resi orgogliosi con la tua vittoria. Come ti senti a proposito di questa tua vittoria?Questo è un film che hai anche prodotto e diretto, vero?
Walter Nicoletti: Grazie a voi per l’interesse e l’attenzione che dimostrate nei confronti del mio percorso artistico, sono davvero felice ed onorato di aver reso orgogliosa la comunità taliana negli Usa. Ogni vittoria porta con sè dei ricordi indelebili e delle soddisfazioni personali che ripagano sempre l’impegno e i sacrifici. L’aver vinto nella città degli Oscar come miglior attore non protagonista per il mio ultimo film Red Market significa aver centrato l’obiettivo prefissato, ossia quello di raccontare per la prima volta attraverso la settima arte il delicato tema del traffico internazionale di organi, unitamente alla dipendenza dal gioco d’azzardo. Ho prodotto, scritto e diretto questa pellicola, mi sono cimentato anche nel comporre le musiche, era un desiderio che volevo realizzare da diverso tempo, anche alla luce della mia passione per la musica da film. Porto a casa un riconoscimento che mi auguro possa essere d’esempio per chi crede nelle proprie capacità, idee e nel proprio lavoro.

L’Idea Magazine: Potresti parlarci un poco del soggetto di “Red Market”?
Walter NicolettiRed Market racconta la storia di Aurelio, un medico che decide di rivolgersi ad un broker di traffico internazionale di organi per estinguere un debito causato dalla dipendenza dal gioco d’azzardo. È stato girato interamente in Basilicata e si avvale della collaborazione con il Comune di Matera. Il cast è interamente lucano; la professionalità e bravura degli attori mi ha permesso di far accendere i riflettori su due tematiche delicate: ogni ora viene quantificata un’operazione legata al traffico di organi. Il giro d’affari è stimato tra i 600 milioni e 1,2 miliardi di dollari. Il rene è l’organo più richiesto: 70mila reni vengono trapiantati ogni anno. 15mila provengono dal mercato illegale. Il costo più basso per chi acquista un rene per sé è $20.000. La domanda e l’offerta di organi avviene anche online; la dipendenza da gioco d’azzardo, invece, è il desiderio incontrollabile, e dai contorni cronici, di giocare d’azzardo, a dispetto dei rischi che si celano dietro tale comportamento e nonostante la volontà iniziale di non arrendersi all’azzardo. Se non trattata adeguatamente, la dipendenza da gioco può comportare gravi complicazioni: dall’instaurarsi di gravi problemi finanziari e legali ad anche il suicidio.

L’Idea Magazine: Tu però hai anche diretto altri film; “Vendesi Maternità”, per esempio, che ha ricevuto la Nomination come “Best Short of a Foreign Language Film” all’Anversa International Film Festival del 2020…
Walter NicolettiVendesi Maternità è la mia opera prima che ha riscosso un discreto successo, ottenendo riconoscimenti internazionali. È la storia di Monica, studentessa universitaria che decide di vendere online test di gravidanza positive per pagarsi gli studi. Ho scritto la sceneggiatura confrontandomi quotidianamente con l’attrice protagonista, Brunella Lamacchia, che da anni è anche la mia più stretta collaboratrice. L’esperienza sul set è stata entusiasmante proprio perché ho concesso ampio spazio e libertà nell’interpretare questo ruolo femminile molto complesso. Il risultato finale ci ha permesso di evidenziare aspetti controversi del mondo giovanile e dei pericoli connessi all’utilizzo di internet.

L’Idea Magazine: Da notare che hai fatto una tripletta di nomine al “Festival del Cinema di Nizza” l’anno scorso…
Walter Nicoletti: Nizza ci ha regalato una straordinaria vittoria per il corto Nemo Propheta, la storia di Marco che riceve una telefonata da sua madre, ma ha fretta di riattaccare, perché è seduto in una sala d’attesa e a momenti inizierà il suo colloquio con un produttore famoso. Marco non ha le carte in regola per passare al livello successivo e ottenere l’attenzione di una grande produzione: non proviene dall’ambiente giusto, non ha le conoscenze né le parentele necessarie; insomma, non può sperare di essere preso in considerazione in un ambiente in cui il discrimine tra chi emerge e chi no non è il talento. Nemo Propheta è una critica esplicita e senza peli sulla lingua nei confronti di un sistema malfunzionante, incapace di investire sul futuro e sulle capacità di coloro che non hanno la fortuna di avere un posto riservato, nel mondo. Il dramma e il paradosso di questo racconto si consuma in soli otto minuti ed è affidato interamente alla recitazione degli attori, che nello spazio del colloquio di lavoro riescono a trasmettere l’entusiasmo smorzato e la rassegnazione, da un lato, e l’indifferenza e la venalità, dall’altro.

L’Idea Magazine: Sono molto contento di vedere che hai avuto l’ottima idea di fondare la tua casa di produzione proprio a Matera. Che cosa ti ha spinto a farlo?
Walter Nicoletti: È sempre stato il mio obiettivo principale quello di dar vita ad una casa di produzione che potesse avere come obiettivo costante il far emergere i giovani talenti lucani ed evitare che gli stessi vadano via ad arricchire artisticamente altre regioni o nazioni. La Basilicata ha un enorme potenziale di creatività. La meritocrazia è sempre alla base di tutti i nostri progetti.

L’Idea Magazine: Matera è anche nelle conversazioni di noi italiani all’estero grazie al serial televisivo “Imma Tataranni”. Qual è stata la tua connessione con questo serial?
Walter NicolettiImma Tataranni è ormai divenuta la fiction materana d’eccellenza, forse una delle più seguite ed ammirate dal pubblico italiano. Ho avuto anche il piacere e la grande fortuna di farne parte nella prima serie. Credo sia un’occasione unica di riscatto per le eccellenze lucane e per tutti gli attori ed operatori del cinema che da anni lavorano e spendono le proprie energie in questo settore. L’auspicio è che questa vetrina nazionale, targata Rai, permetterà a tutti di poter esprimere il proprio talento per dimostrare al grande pubblico che gli artisti lucani hanno un potenziale enorme e non sono secondi a nessuno.

L’Idea Magazine: A Matera si svolge pure l’altra fiction a cui hai partecipato, “Sorelle”. Pare proprio che Matera abbia incominciato ad ottenere l’attenzione che merita…
Walter NicolettiSorelle di Cinzia Th Torrini è stata un’altra fiction Rai che ha permesso di valorizzare e far conoscere agli italiani il nostro meraviglioso territorio. Recitare al fianco di Anna Valle ed essere diretti da una delle registe italiane più apprezzate, sicuramente è stata un’occasione che mi ha arricchito e fatto crescere artisticamente ed umanamente. Matera è da sempre un set a cielo aperto, meta ambìta da produzioni internazionali e nazionali, qui ci hanno girato blockbuster del calibro di The Passion, Ben Hur, Wonder Woman e per ultimo No Time to Die.

L’Idea Magazine: E poi hai anche creato “Voce Spettacolo Film Festival”, primo festival internazionale della città di Matera…
Walter Nicoletti: Una rassegna internazionale che potesse dare spazio a registi provenienti da tutto il mondo è un altro obiettivo prefissato che abbiamo portato a termine. Siamo giunti alla quinta edizione, in programma quest’estate a Matera. Negli anni passati ci hanno raggiunto artisti dagli Stati Uniti, Messico, oltre che da diverse regioni italiane. Il Covid non ci ha fermato; le ultime due edizioni si sono svolte online con un successo straordinario di pubblico: a settembre la cerimonia di premiazione in diretta è stata seguita da oltre 10.000 spettatori, un risultato eccezionale. Siamo già al lavoro per la nuova edizione ed aprofitto per annunciare che le iscrizioni sono aperte e possono effettuarsi attraverso il nostro sito www.vocespettacolo.com oppure attraverso Film Freeway (Voce Spettacolo Film Festival – FilmFreeway)

L’Idea Magazine: È sempre su questa tematica che hai girato “Basilicatadventure” nel 2017?
Walter NicolettiBasilicatadventure è un drone video che mi ha permesso di girare e contestualmente di scoprire luoghi incredibili della Basilicata. Per un’estate intera ho percorso migliaia di chilometri al solo scopo di far volare il mio drone. Attraverso i suoi occhi ho potuto raccontare visivamente cosa si può osservare dall’alto del cielo lucano. Non sono mancati riconoscimenti e premi internazionali, ma il merito, in questa circostanza, è esclusivamente della terra in cui sono nato.

L’Idea Magazine: Potresti parlarli della tua esperienza nel film “JESUS VR–THE STORY OF CHRIST” di David Hansen?
Walter Nicoletti: È il primo film in virtual reality della storia del cinema, presentato in anteprima mondiale al Festival di Venezia nel 2016. Ho interpretato il ruolo dell’apostolo Giacomo, recitando in inglese. Ne hanno parlato le più importanti testate al mondo dell’intrattenimento, dall’Hollywood Reporter a Variety. È stato girato a Matera utilizzando telecamere 4K in grado di effettuare riprese a 360°; un progetto ambiziosissimo, finora unico nel suo genere, che ha richiesto una troupe di oltre cento persone. Le riprese a volte erano così realistiche da indurre noi attori e i membri della troupe ad avere “un’esperienza mistica” – nonostante alcuni di loro non fossero credenti. È stato davvero fantastico, tutti vivevano nel momento, sembrava quasi che tutto stesse succedendo per davvero. In alcuni momenti mi è venuta la pelle d’oca e pensavo, ‘È tutto troppo reale’. Ci sentivamo davvero come i discepoli di Gesù, e avevamo una missione. Il regista è scoppiato in lacrime una volta conclusa la produzione. È stato un modo magnifico di ‘vivere’ le Sacre Scritture, come nessuno aveva mai fatto prima.

Nicoletti in una scena del film “Jesus – VR”

L’Idea Magazine: Sei anche il portavoce italiano della Notte degli Oscar presso la sede europea AMPAS di Londra. Che cosa comporta questa tua funzione?
Walter NicolettiVoce Spettacolo è anche un blog d’informazione sul mondo dell’intrattenimento a 360°. L’Academy ogni anno ospita i membri e gli addetti ai lavori della settima arte anche presso le sedi distaccate di New York e Londra. Siamo entrati a far parte della Press List dell’Academy, pertanto abbiamo ricevuto l’onore di prendere parte all’evento ufficiale europeo degli Oscar e ci siamo presentati ai vertici europei dell’A.M.P.A.S., dimostrazione che i giovani talenti lucani vengono apprezzati non solo in Italia, ma anche all’Estero. Ogni anno prendiamo parte all’evento per raccontare e recensire da vicino le emozioni dei vincitori del premio più ambìto della settima arte.

L’Idea Magazine: Dei vari film di cui hai fatto parte come componente del cast, quale ti ha lasciato di più un segno?
Walter Nicoletti: Il mio primo film da protagonista è stato Tek, primo western fantascientifico d’Italia. Ne sono anche il produttore. I ricordi legati alla produzione di questo lungometraggio hanno segnato il mio percorso artistico; tutto è iniziato proprio da qui, ho mosso i miei primi passi da produttore, ho avuto la fortuna di conoscere i miei attuali collaboratori. Senza quel film, probabilmente, non sarebbe accaduto tutto ciò che mi ha permesso di arrivare fino ad oggi.

L’Idea Magazine: Reciti, dirigi e produci film, ma hai anche scritto sceneggiature. Hai intenzione anche di scriverne ancora, in futuro? Quale di queste attività ti affascina di più?
Walter Nicoletti: Mi affascina tutto ciò che mi incuriosisce e stimola la mia creatività. Scrivere una storia è incredibile, hai le immagini e le inquadrature ben impresse nella mente nell’esatto momento in cui sei davanti alla tastiera. Quando si è sul set, poi, tutto prende vita e ti rendi conto che dal nulla si è giunti alla realtà. I pensieri, le immagini, i dialoghi interiori prendono vita, gli attori recitano ciò che hai scritto sul copione, è pura magia. Ho già scritto diverse storie che custodisco per progetti futuri, tuttavia ogni anno, quando arriva l’inverno, mi chiudo nella mia stanza e lascio spazio alla mia immaginazione. Nel 2022 porterò a termine un’altra opera per la quale ho già il soggetto ben in mente.

L’Idea Magazine: Hai sempre desiderato di far parte del mondo cinematografico?
Walter Nicoletti: Ho voluto prima laurearmi in legge; mi sono avvicinato alla recitazione iniziando con il teatro, per poi passare successivamente al cinema. Sono grato alla vita perchè mi ha permesso di incontrare le persone e gli amici giusti al momento giusto, con i quali continuo a condividere questo lavoro meraviglioso.

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Walter Nicoletti: I sogni nel cassetto prendono solo polvere, preferisco sempre realizzarli.

L’Idea Magazine: Che cosa fai di bello nel tempo libero?
Walter Nicoletti: Mi dedico alla lettura di libri di filosofia, guardo film e serie tv, scrivo e pubblico quotidianamente notizie per il mio blog e dedico anche del tempo all’attività fisica per rimanere sempre in forma.

L’Idea Magazine: Potresti definirti con tre aggettivi?
Walter Nicoletti: Un folle sognatore ottimista.

L’Idea Magazine: Se tu avessi l’opportunità di parlare con una persona del passato, o anche del presente, qualsiasi persona che tu voglia, chi sarebbe e che cosa vorresti chiedere?
Walter Nicoletti: Sarebbe bello incontrare nel passato me stesso. Non gli chiederei nulla, ma vorrei solo ringraziarlo di aver avuto la forza e la determinazione di essersi rialzato ad ogni caduta.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Walter Nicoletti: Esprimo sincera gratitudine nei confronti di tutti lettori che hanno dedicato il proprio tempo alla lettura di questa intervista. Saluto da Matera, con profonda stima ed affetto, tutta la comunità degli italiani negli Usa.

“Ero in realtà interessato alla scrittura, ma pian piano il morbo della batteria ha prevalso, in quei lontanissimi anni…” Intervista esclusiva con Francesco Cusa [L’IDEA MAGAZINE 2021]

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Francesco Cusa, batterista, compositore, scrittore, nasce a Catania nel 1966. Si trasferisce a Bologna nel 1989, dove si laurea al Dams nel 1994. Il suo percorso artistico lo porterà a suonare, negli anni, in Europa, America, Asia e Africa. Da sempre interessato all’interdisciplinarità artistica, è anche scrittore di racconti, romanzi e poesie.

L’Idea Magazine: Buongiorno Francesco. Allora, tu hai iniziato i tuoi studi musicali con il piano, poi sei invece passato alla batteria. Che cosa ti ha spinto al cambiamento?
Francesco Cusa: È stato del tutto casuale, giacché dopo il diploma chiesi in regalo una batteria per puro sfizio. Ero in realtà interessato alla scrittura, ma pian piano il morbo della batteria ha prevalso, in quei lontanissimi anni.

L’Idea Magazine: Da Bologna, dove ti sei laureato, il tuo percorso artistico ti ha portato in molte parti del mondo. Lo hai fatto sempre con il collettivo bolognese “Bassesfere”?
Francesco Cusa: Certamente, come musicista, una svolta è stata la mia decisione di trasferirmi da Catania a Bologna alla fine degli anni Ottanta, nella Bologna ancora pregna dell’humus della ricerca e intrisa di fermento. Erano gli anni della “Pantera”, delle lezioni al DAMS con Eco, Nanni, Celati, Clementi, Donatoni, gli anni della nascita di importanti collettivi artistici come quello di “Bassesfere”, di cui sono uno dei fondatori. È parte di un percorso che si dipana fra studi di batteria, concerti con Steve Lacy, Tim Berne, Kenny Wheeler, i tour per ogni dove, la creazione dei miei progetti da leader come “66sixs”, “Skrunch”, “The Assassins”, “Naked Musicians”, fondazione di una label e di un collettivo come Improvvisatore Involontario, l’insegnamento in conservatorio… Bassesfere ha rappresentato simbolicamente il senso del collettivo artistico, ancora prassi e laboratorio in quei fervidi anni.

L’Idea Magazine: Potresti parlarci del progetto artistico “Improvvisatore Involontario”?
Francesco CusaImprovvisatore Involontario nasce da una duplice esigenza. Da un lato la necessità di produrre musica senza dover “dipendere” dalle scelte di altre label (o dagli eventuali rifiuti). Dall’altra da una passione viscerale per le musiche contemporanee, nel tentativo di fare emergere ciò che continuerei a definire “underground”, senza tema di smentita. Per molti anni siamo stati un collettivo aperto, e abbiamo avuto decine e decine di iscritti da tutto il mondo. Poi, dopo esperienze memorabili, quale l’organizzazione di un tour americano e di tantissime rassegne, abbiamo deciso di esistere in quanto label, attualmente gestita da me, Mauro Medda e Paolo Sorge.

fc and the assassins

L’Idea Magazine: In questo momento fai parte di vari gruppi jazzistici…
Francesco Cusa: Attualmente sono leader dell’FCT TRIO con Tonino Miano e Riccardo Grosso, del FRANCESCO CUSA & THE ASSASSINS con Domenico Caliri, Giovanni Benvenuti, Ferdinando Romano, dell’ensemble: “NAKED MUSICIANS”, del progetto di sonorizzazione di film d’epoca “SOLOMOVIE”, dello spettacolo “DRUMS & BOOKS”, co-leader dei THE LENOX BROTHERS (Cusa/Mimmo/Martino) dei “THE BLACK SHOES” in duo con la flautista Giorgia Santoro, e dello spettacolo musical-teatrale “MOLESTA CRUDELTÀ”. in trio batteria e voce insieme alle attrici Alice Ferlito e Laura Giordani.  Il mio Naked Musicians” è un metodo di conduction musicale che è stato realizzato in varie parti del mondo e da cui è stato tratto anche un libro di teoria musicale sulla “conduction”, chiamato, appunto “Naked Performers”.

L’Idea Magazine:Il tuo NAKED PERFORMERS: “Elementi di Conduction” è un libro di teoria musicale. A che cosa fa riferimento?
Francesco CusaNaked Musicians è una forma di orchestrazione e direzione dell’improvvisazione collettiva, che rinforza il sottile legame fra la tradizione della musica classica e quella del jazz creando uno spazio intermedio tra la notazione e l’improvvisazione, nonché permettendo l’acquisizione di nuove competenze e prospettive. Tramite ciò è possibile identificare e sfruttare i punti deboli e quelli di forza di entrambi e rappresentare le limitazioni che hanno fra loro. Naked Musicians è un vocabolario di segni ideografici e gesti utilizzati per costruire un arrangiamento o una composizione in tempo reale. Ogni simbolo trasmette informazioni per l’interpretazione da parte del musicista o del collettivo in modo da dare le possibilità di modificare armonie, melodie, ritmi, articolazioni, un fraseggio o forme.

L’Idea Magazine: Componi anche musica, mi pare…
Francesco Cusa: Sì certo, da sempre.

L’Idea Magazine:Nella composizione di brani musicali, chi è stato il musicista che ti ha influenzato di più?
Francesco Cusa: Tim Berne senza dubbio, ma come non citare anche Zappa, Bartok, la musica seriale, ecc. In Italia sono stato fortunato ad avere studiato con Alfredo Impullitti e Domenico Caliri.

L’Idea Magazine: Insegni anche al Conservatorio di Reggio Calabria, dopo molti anni di insegnamento presso i conservatori di Benevento, Monopoli, Frosinone, Lecce. Trovi una differenza sostanziale nell’insegnare la batteria jazz con, per esempio, la batteria rock and roll?
Francesco Cusa: Nella sostanza no. Nella forma ci sono sostanziali differenze che occorre focalizzare al fine di “liberare” l’allievo dalle dipendenze dei vari stili.

L’Idea Magazine: Oltre alla musica, tu hai anche avuto molte esperienze letterarie. Di che cosa tratta il tuo primo libro, “Novelle crudeli” (2014)?
Francesco Cusa: Mi piace riportare i pareri di alcuni lettori che rispecchiano le mie intenzioni“Uomini incompresi ma compiaciuti di essere portati sul baratro della routine di coppia, personaggi ambigui, logorroici, consapevoli della propria bruttezza o della disonestà delle proprie azioni. In questo ritmo spasmodico denso di caratteri a volte molto differenti tra loro, trascende una lucida consapevolezza della condizione umana, con i difetti e le virtù che la contraddistinguono, e la “crudeltà” nel titolo, non estromette il lirismo che tra le righe si riesce a cogliere. Non vi aspettate banalità ma lasciatevi trasportare da una disperata follia in cui, con fascino dissacrante, la morte corporale o spirituale, denota in verità un cambiamento, l’inizio di una mutata esistenza”.
Francesco ama le donne. Donne cantate e musicate nelle sue novelle. Donne dai diversi ritratti psicologici che non si stanca di sottolineare. Incedono con i loro vestiti, talvolta macchiati di sangue, in un tramonto colmo di liberazione. Nei suoi racconti è presente sempre il lato oscuro del dolore. Il dolore agghiacciante, terribile, squarciante come lama sottile. Il dolore narrato, il dolore indicibile… “è forse questo canto, questa tenue melodia che nella notte si fa strada vezzosamente una carezza di mia madre …”

L’Idea Magazine: Con “Racconti molesti” del 2017 che intenzioni avevi?
Francesco Cusa: Dopo la crudeltà sentivo il bisogno di esplorare il territorio della molestia. Come qualcuno ha ben scritto a proposito del libro: “è un libro in cui ci sono ‘amore’, ‘donne’, ‘esseri sovrannaturali’ e – ovviamente − l’Autore, ma − essendo un libro di racconti molesti − nessuno dei summenzionati è come ci si aspetterebbe, o si desidererebbe”. Amo costruire trappole semantiche in cui far precipitare il lettore. Sono alla ricerca di un senso nell’assurdo, per tale ragione ordisco tranelli, utilizzando magari una trama particolarmente accattivante, ma sempre con lo scopo di escogitare un trucco che rimanda sempre a un altrove rispetto alla trama.

L’Idea Magazine: Di che cosa tratta “Stimmate”, il tuo libro del 2018?
Francesco Cusa: È una raccolta poetica, la mia seconda delle quattro finora edite. Si tratta di un lavoro concettuale molto certosino, suddiviso in ben tre sezioni: Stimmate, Rime Sbavate e Rizoma che, come ha ben scritto il critico Patrizio De Santis, comprendono il tema del radicamento: “La radice è il punto focale di tutta la struttura di questa opera poetica, e si tratta in verità di un rizoma lirico invisibile, poiché nella concezione spirituale e essenziale dell’ Essere come parte della Radice regna l’ invisibile, che è al di là del reale. Sono odi e canti profondamente visionari, pervasi di un aspetto mistico, come ci suggerisce l’eponimo titolo che svetta sulla copertina del libro, dove si intravede una mano metallica e virtuale attraversata da un foro che sta ad indicare la passione del Cristo. Lettura veloce, non complessa ma cantabile e musicale”.

L’Idea Magazine:Altro libro importante della tua carriera letteraria è “Il surrealismo della pianta grassa” (2019). Che argomento tocca?
Francesco Cusa: è una sorta di pamphlet, di zibaldone che riassume tutti i generi letterari in cui mi sono cimentato: la poesia, il racconto, il piccolo saggio, l’aforisma… una sorta di diario romanzesco e picaresco delle mie avventure nel mondo. Altamente consigliato.

L’Idea Magazine:È da poco uscito in libreria il tuo ultimo romanzo, “Vic”. Potresti parlarcene?
Francesco Cusa: Vic è un ragazzo-uomo maturo-anziano che vive la sua schizofrenica vita di scrittore in un luogo immaginario del Sud dell’Italia: Cotrone. È un personaggio che rappresenta il trauma irriducibile, il caso clinico principe oggetto delle ricerche dei freudiani. Fortunatamente lui se ne sbatte di tali indagini, giacché egli rappresenta il cortocircuito di ogni narrazione clinica volta all’individuazione del caso topico, del “problema” su cui orchestrare la riuscita di un progetto teorico. In questo senso Vic nasce per ridonare all’Occidente l’aura mitica della legge di natura, ciò che prevale rispetto alla legge morale; in buona sostanza per restituire l’uomo alla sua sacralità. Forse è giunto per consentirmi di esplorare alcuni aspetti oscuri della mia coscienza.

L’Idea Magazine:Stai lavorando ad altri romanzi al momento?
Francesco Cusa: Ho appena terminato il mio ultimo romanzo, “2056”, ambientato appunto in un futuro distopico, di cui preferisco non rivelare nulla. Spero di trovare una casa editrice per farlo uscire nel 2022. Inoltre, ho già pronte altre due raccolte poetiche che, per ora, sto tenendo nel cassetto.

L’Idea Magazine: La tua attività di musicista continua nonostante il Covid o ne ha sofferto molto?
Francesco Cusa: Naturalmente abbiamo sofferto tutti, adesso stiamo pian piano riprendendo a suonare con continuità.

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Francesco Cusa: Vedere che succederà nel 2056 e riavere indietro i miei capelli.

L’Idea Magazine: Se dovessi definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Francesco Cusa: Ambiguo, straniante, generoso.

L’Idea Magazine:Se avessi l’opportunità di poterti incontrare con un personagiio del passato  o del presente, qualsiasi persona, chi sarebbe e che cosa vorresti chiedere?
Francesco Cusa: Certamente Socrate. Gli direi se, alla luce dei fatti ai giorni nostri, sceglierebbe ancora di bere la cicuta.

L’Idea Magazine:Un messaggio per i nostri lettori?
Francesco Cusa: Seguite sempre i vostri deliri, non accontentatevi mai, dubitate sempre e… comprate i miei libri!