“L’arte, la poesia, possono essere strumenti potenti per sradicare il pregiudizio…” Intervista esclusiva con Francesca Innocenzi

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Francesca Innocenzi è nata a Jesi (Ancona). Ha diretto collane di poesia e curato alcune pubblicazioni antologiche, tra cui Versi dal silenzio. La poesia dei Rom (2007); L’identità sommersa. Antologia di poeti Rom (2010); Il rifugio dell’aria. Poeti delle Marche (2010). È redattrice del trimestrale di poesia «Il Mangiaparole» e collabora con vari blog e siti letterari. Ha ideato e dirige il Premio letterario “Paesaggio interiore”.

L’Idea MagazineRisaliamo un poco alle tue origini letterarie. Sei laureata in lettere classiche e dottore di ricerca in poesia e cultura greca e latina di età tardoantica. Il tuo primo libro è stato la raccolta di prose liriche Il viaggio dello scorpione (2005). Che cosa ti ha fatto scegliere di usare questo tipo di espressione linguistica non vincolata dalle regole metriche e ritmiche proprie della poesia?
Francesca Innocenzi: In realtà, mentre lavoravo ai testi che sarebbero poi confluiti in Il viaggio dello scorpione, il mio intento era scrivere racconti brevi. E, quando la raccolta è stata pubblicata, non ho esitato a definirli tali. Solo a posteriori, anni dopo, ho preferito la dicitura di prose liriche, riferendomi ad una tipologia di scrittura in cui il lirismo è preponderante rispetto alla narrazione.

L’Idea MagazinePoi hai pubblicato anche sillogi di poesie quali Giocosamente il nulla (2007), Cerimonia del commiato (2012), e Non chiedere parola (2019). Ci sono state delle grandi evoluzioni a livello poetico in queste tue sillogi?
Francesca InnocenziGiocosamente il nulla è stata la mia silloge di esordio per la poesia. A rileggerla ora, salverei un paio di testi (tra cui quello che dà il titolo al libro), ma vi trovo più che altro un io giovanile ripiegato su sé stesso e privo di una maturità poetica. Cerimonia del commiato segna una transizione, vi è infatti una certa disomogeneità, a mio avviso, a livello di testi. Non chiedere parola contiene versi che, in linea di massima, mi convincono abbastanza; c’è anche una sezione di haiku, prima volta in cui ho provato a mettere in pratica questo genere di poesia.

L’Idea MagazineL’ultima tua silloge poetica, Canto del vuoto cavo, è molto diversa dalle altre, con una impostazione molto originale, essendo una plaquette di 60 componimenti brevi, che adottano la metrica dello haiku e delle sue varianti; precisamente, 40 haiku doppi (6 versi) e 20 tanka (5 versi). Vorresti spiegare ai nostri lettori che cosa siano gli haiku e i tanka e che cosa ti ha portato a scegliere questo tipo di scrittura?
Francesca Innocenzi: Lo haiku è la poesia tradizionale giapponese, basata su regole piuttosto rigide, a partire dalla metrica; nei contenuti, gli elementi della natura sono in risalto.  In Canto del vuoto cavo adotto la metrica dello haiku doppio, quindi due strofe da 5-7-5 sillabe, o quella delle sue varianti, come il tanka, che è un haiku ampliato da due ulteriori settenari. Per un certo periodo, la metrica dello haiku (doppio, soprattutto) ha costituito per me una sorta di contenitore rassicurante. Mi sembrava avesse un ritmo intrinseco che trovavo appagante. Oggi trovo fuorviante definire haiku questi componimenti, poiché dello haiku c’è, appunto, poco: lo schema metrico, come anche la tendenza ad evitare l’uso della prima persona. Ma, in tutto il resto, vi è assoluta libertà. E la natura resta sullo sfondo, ha un ruolo assolutamente secondario.

Riporto come esempi un doppio haiku e un tanka:

mordere l’aria
imparare dal tronco
cielo e radici

di terra è il corpo
labbra ciliegia, cosce
schiuma di miele

*

proietti ombra
sulla parete. gelo
d’estate sgorga
da quel muro, rapprende
l’invisibile accanto.

L’Idea MagazineSempre a proposito di Canto del vuoto cavo, ho notato che la punteggiatura non è quella classica. Per esempio, usi il punto, ma è seguito dalla lettera minuscola. Potresti spiegarmi il perché? Oltre a ciò, usi delle parole di altre lingue, alcune anche antiche. Qual è la ragione di tale scelta?
Francesca Innocenzi: La lettera minuscola dopo il punto è una scelta non inconsueta nella poesia contemporanea, che potrei aver assorbito inconsapevolmente. Per me può essere un modo per oltrepassare i dettami del dire ordinario, o forse, banalmente, per rispondere ad un’inclinazione estetica della grafia.
Riguardo le scelte linguistiche, una lingua è sempre una casa in cui abitare; in questo modo, cerco altri spazi, altri possibili luoghi di esistenza della parola. In particolare, il greco e il latino sono lingue che amo, soprattutto il greco. Ho scelto parole dotate di intensità sia a livello fonico che semantico, tanto da far risuonare una particolare armonia tra significante e significato.

L’Idea Magazine: Hai anche pubblicato la raccolta di racconti Un applauso per l’attore (2007). Potresti parlarcene un po’?
Francesca Innocenzi: Quella fu la prima raccolta di racconti, nel senso sopra esposto. È stata anche l’ultima, almeno finora, in quanto mi sono resa conto di quanto l’arte della short story sia difficile e insidiosa. Comunque, da quei testi emergevano varie tematiche volte a mettere in luce le problematicità dell’esistenza umana: l’erotismo, la malattia, la morte. Il racconto che dà il titolo alla raccolta trae ispirazione da Aspettando Godot, una pièce da me molto amata.

L’Idea Magazine: Il tuo romanzo Sole di stagione, del 2018, di che cosa parla? Hai intenzione di scriverne altri o è stato solo una deviazione temporanea dalle tue attività poetiche?
Francesca InnocenziSole di stagione è un romanzo breve in cui si narra una vicenda che ha come sfondo una città anonima e indifferenziata. Qui si incrociano i destini di tre coppie, tra la vanità di rapporti di facciata, erotismo e segreti inconfessabili. Al centro della storia, il giovane Claudio, la sua esistenza precaria e senza progetti, la sua totale indifferenza verso gli altri, la ricerca di una libertà che è il bene più prezioso e la più grande condanna.
Devo dire che mi piacerebbe dedicare maggior tempo ed energie alla narrativa. È in uscita in autunno un altro mio romanzo breve. Forse prima o poi ne scriverò uno più corposo, chissà.

L’Idea Magazine: Hai anche pubblicato un saggio letterario a titolo Il daimon in Giamblico e la demonologia greco-romana (2011). Un argomento più che interessante…
Francesca Innocenzi: Questo saggio è nato da una rielaborazione della mia tesi di dottorato in Poesia e cultura greca e latina in età tardoantica. L’analisi del daimon nell’opera del pensatore tardoantico Giamblico offre lo spunto per un viaggio nella demonologia antica: dal demone mediatore di stampo platonico all’equazione demone-anima e spirito custode, di matrice popolare e ripresa dal pitagorismo, fino al dualismo precristiano che canonizza le entità avverse. Le tre funzioni confluiscono nel pensiero di Giamblico, esponente del neoplatonismo, che al tramonto della paganità fa del daimon un’esemplificazione coerente e puntuale del suo innovativo sistema metafisico, in risposta ai cambiamenti epocali. Così le riflessioni demonologiche fungono da cartina tornasole rispetto alla storia e alla società. La filosofia rivela il suo debito nei confronti delle dottrine religioso-popolari, per un ripensamento delle interazioni esistenti fra la tradizione colta e la cosiddetta cultura “bassa”.

L’Idea Magazine: Tra le antologie da te curate ce ne sono ben due sui poeti Rom. Come sei arrivata a questo particolare gruppo di poeti?
Francesca Innocenzi: Il mio interesse verso il mondo Rom è nato molti anni fa. Un popolo spesso fuori dagli schemi, vittima di pregiudizi di ogni sorta, regolarmente ignorato se non quando si tratta di episodi di delinquenza e cronaca nera. Scoprire che i Rom hanno un bagaglio culturale, anche poetico, ci insegna che l’arte, la poesia, possono essere strumenti potenti per sradicare il pregiudizio.

L’Idea Magazine: Hai ideato il Premio letterario “Paesaggio interiore”. Che cosa ti ha stimolato a farlo? Questo premio ha degli scopi particolari?
Francesca Innocenzi:  È un premio nato alla fine del 2019, giunto ora alla seconda edizione. La peculiarità di Paesaggio Interiore è che, oltre alle sezioni classiche, poesia, racconto ecc., comprende una sezione dedicata a saggi brevi sul mondo greco-romano. Quest’anno, per la prima volta, la cerimonia di premiazione si terrà in presenza, a Genga (An) ad inizio settembre; in questa occasione assegneremo due premi alla carriera, ad Annamaria Ferramosca per la poesia e a Paolo Fedeli per gli studi sul mondo antico.

L’Idea Magazine: Come poeta, quali sono le sensazioni che ti ispirano di più a scrivere?
Francesca Innocenzi: Per me l’ispirazione è una sorta di evento sismico che accade in un momento preciso, ma è come se scaturisse da una serie di moti tellurici, da un’energia che si è andata accumulando nel tempo. Tuttavia, nella poesia, nella scrittura, non tutto si esaurisce lì: è essenziale la revisione, il lavoro di limatura.

L’Idea Magazine: Stai lavorando a qualche nuova produzione letteraria al momento?
Francesca Innocenzi: Sto iniziando a lavorare ad una antologia di mie poesie scritte e pubblicate prima dei 40. Un piccolo libro che, oltre a contenere quanto risuona in me ancora oggi, dovrebbe avere una sua organicità interna.

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Francesca Innocenzi: Viaggiare restando fedele al viaggio, coltivando la dedizione per il cammino, per l’itinerario, la scoperta. Il viaggio insegna a riappropriarsi del tempo, non tanto attraverso il relax, quanto nell’accorgersi dell’incanto che si cela al di qua della meta.

L’Idea Magazine: Se tu potessi incontrare un qualsiasi personaggio a tua scelta, del passato o del presente, chi sarebbe e che cosa vorresti chiedere?
Francesca Innocenzi: Non mi dispiacerebbe incontrare Giacomo Leopardi e discutere con lui sulla teoria del piacere e sull’idea di infinito.

L’Idea Magazine: Se tu potessi definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Francesca Innocenzi: Riservata, solitaria, tollerante.

L’Idea Magazine: Oltre alla poesia e all’insegnamento, hai altre passioni?
Francesca Innocenzi: Prima di tutto sono una instancabile lettrice. Nelle mie due case ci sono libri dappertutto, perfino sopra e sotto i letti. Poi, mi piace cucinare: se non mi riesce una poesia, pazienza, il vero dramma è quando una ricetta non dà i risultati attesi.
Ma la mia più grande passione è l’astrologia: non l’oroscopo, ma la disciplina che ci avvicina alla conoscenza di noi stessi. Già a tredici anni ho iniziato a tracciare i primi temi natali: allora non c’erano i programmi al pc, occorreva fare tutti i calcoli e disegnare con il compasso e goniometro. Molti anni dopo ho scoperto la corrente psicologico-umanistica, di base junghiana, introdotta in Italia da Lidia Fassio. Una analisi — autoanalisi, soprattutto — che mi accompagna in modo costante, che non abbandono mai.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Francesca Innocenzi: Coltivare la lettura, senza trascurare la poesia. E non smettere mai di cercare dentro e fuori se stessi.

La mia ispirazione? “La realtà, la vita. Parto da qui, sempre.” Intervista esclusiva con Rita Pacilio.

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Rita Pacilio (Benevento 1963) è poeta, scrittrice, direttrice editoriale, sociologa, mediatrice familiare. Si occupa di poesia, di critica letteraria, di metateatro, di saggistica, di letteratura per l’infanzia e di vocal jazz. Direttrice del marchio editoriale RPlibri è Presidente dell’Associazione Arte e Saperi.

L’Idea Magazine: Buongiorno Rita. Il tuo ultimo libro è una silloge di poesie a titolo “Quasi madre”. Potresti parlarcene un poco? A cosa si riferisce il titolo? Questa silloge è composta di poesie dello stesso periodo o di poesie con un tema comune?
Rita Pacilio: “Quasi madre” è un libro di poesie che ha un unico tema: l’anaffettività materna. Poeticamente analizzo i fattori che ostacolano, negli anni della seconda socializzazione, la formazione di un buon rapporto madre/figlia: per esempio il modello materno debole o inadeguato, le lunghe assenze da casa, la freddezza o il disinteresse della madre. In questo lavoro cerco di condurre il lettore nelle scene poetiche e negli avvenimenti quotidiani vissuti in maniera intima e visionaria. Il titolo è estrapolato da una poesia che riporto di seguito:

Ha nascosto i panni in una busta
l’infermiera si ferma più avanti
e la lascia fare: Portali a casa,
qui non devono stare!

Si sente l’eco cristallina verso l’alto
qualcuno chiede la bambola per dormire
piega il colletto della camicia
come una vena rotta e mi guarda
quasi madre
disabitata con la testa curva, aspra
disperata.
Dunque tocca a me tornare all’origine
affrontare la barriera dell’orgoglio
scongiurare che lo squalo mesto e sordo
possa ingoiarmi intera.

L’Idea Magazine: Quali sono le fonti della tua ispirazione quando scrivi poesie?
Rita Pacilio: La realtà, la vita. Parto da qui, sempre.

L’Idea Magazine: “Quasi madre” è l’undicesimo libro di poesie che pubblichi. Potresti spiegare quali sono state le tappe più importanti nella tua produzione poetica?
Rita Pacilio: Il senso di solitudine e di separazione, insorto a soli nove anni, dopo la morte prematura di mio padre e alla malattia di mio fratello, hanno abitato da sempre la mia scrittura poetica. L’orfanità, il dolore, il corpo oltraggiato e ferito, i sentimenti di angoscia e di solitudine psicologica e sociale sono i temi dominanti. Infatti, nel 2011 ho pubblicato un libro con Edilet Edilazio Letteraria Non camminare scalzo, utilizzando un linguaggio parallelo alla prosa poetica: lo stile iperrealista del linguaggio teatrale. La scelta di parlare in prima persona nasce dal mio progetto: ‘Verso empatico’. Cioè, seziono ogni ‘pezzo’ del corpo (personale e sociale) utilizzandolo come metafora espressionistica e surreale per denunciare la tragicità del reale, per parlare della vita e della morte, della coscienza e della fragilità del mondo, della carne e dello spirito, dell’inizio di noi stessi e del ritorno alla contraddizione che appartiene a ogni essere umano.

In Ciliegio forestiero, edito da LietoColle nel 2006, mi lascio ustionare dall’apertura sensuale del sentimento che diventa più maturo e ferito in Tra sbarre di tulipani, LietoColle 2008, in cui il corpo non gode più l’accadimento carnale, ma la vergogna della deturpazione della violenza da parte della società che, fisicamente e moralmente, molto spesso, condanna, soprattutto la donna, a una condizione di solitudine e/o a un modo di vivere poco appagante. Sentimento amoroso/amorale che sviluppo nella raccolta poetica a due voci, nel 2011 edita per la LC, Di ala in ala, in cui la poesia dell’amore brucia e si consuma sull’altare della carne femminile: inizio e fine di ogni sacrificio.

Con la scrittura ho sempre sfidato i baratri del dolore fino a farne memoria corporea, così la parola poetica diventa urlo e denuncia a non declinare il mondo secondo gli stereotipi: da Alle lumache di aprile edito Lietocolle 2010, Non mi obbligare la direzione/e quando si annoda la tempesta/tu chiedimi perdono. La continua lotta, in qualità di poeta/sociologo, diventa una elaborazione a livello sempre più concettuale. La voce poetica si intona a una recitazione di coscienza spostandosi dall’intimo all’esistenziale, non come un ‘separato da sé’, ma come un’essenza unica e comprensibile: un esclusivo soggetto/corpo che si afferma nel mondo e nelle cose, che acquista padronanza e si spinge nella sua totalità e originalità alla ricerca di ciò che è possibile, alla rivendicazione, continuamente, dell’oggetto adeguato. Baudelaire, Pascal, Sant’Agostino, Leopardi, Artaud sono le mie letture preferite. I significanti poetici si intersecano ai significati e corpo-mente-ambiente hanno un rendimento di forma che mette a fuoco, in modo sempre più equilibrato, la mia filosofia poetica. Gli imperfetti sono gente bizzarra edito La Vita Felice 2012, è il libro a cui sono maggiormente legata emotivamente e in cui ho sperimentato l’uso di parole laceranti e legate alla pietas. Quel grido raggrumato, sempre per La Vita Felice, 2014, sembra chiudere una trilogia sul dolore; infatti, potrebbe essere definito un manuale del sopruso, contro chi ambisce variamente manovrare il corpo delle donne e dei fanciulli. Il corpo poetico, in questo libro, ricerca, enuncia e precipita in modo finanche notarile, la pratica maneggiona di coloro che si condannano per un realismo moralmente e socialmente insignificante. Attraverso la poesia, nonostante tutto, nomino l’innominabile nella prospettiva dell’educazione, della rinascita, della ricostruzione.

Per Incroci, rivista semestrale curata da Lino Angiuli, viene pubblicata, nel dicembre 2014, una breve silloge poetico-musicale dedicata a Claudio Fasoli che nel 2015 è stata pubblicata con il titolo ‘Il suono per obbedienza’ per i tipi editoriali ‘Marco Saya Edizioni’ nella collana Assoli. Sempre nel 2015 Scuderi Editrice porta alle stampe la mia prima fiaba per bambini dal titolo La principessa con i baffi, una storia che rimanda a vizi e virtù, tradizioni, costumi e usanze del passato all’interno dei quali i personaggi entrano in relazione con il lettore in base a un principio di coerenza con le sue leggi e non con quelle che regnano in un altro mondo. Nel settembre 2016 La Vita Felice pubblica Prima di andare poesie sulla dimenticanza. Studiosa dell’essere umano e dei contesti psico-sociali, confesso, in questo corposo lavoro poetico, la storia di una donna anziana che, grazie al ricordo del suo amore, tiene in vita la memoria del mondo. Diverse le tematiche sottese tra scienza e coscienza: la solitudine e la frustrazione dell’ammalato, l’indifferenza sociale, la dimenticanza correlata ad alcune patologie cliniche che mettono a dura prova quella parte del cervello che custodisce la memoria a breve e a lungo termine e, inoltre, l’amore, in tutte le sue forme, amore come vera e unica motivazione di vita. Il testamento simbolico e spirituale è per l’umanità intera.

A marzo 2018 viene alle stampe L’amore casomai, racconti per LVF. Qui, la forza stilistica non sovrasta, né offusca, la materia letteraria. La narrazione visionaria guida anche la prosa che penetra i diversi significati della complessità umana. Nel 2019 riprendo la mia formazione spirituale francescana e non poteva mancare nella mia poesia la tematica dell’essenziale, della povertà intesa come germe iniziale di vita, come origine, genesi dell’umanità: La venatura della viola per Ladolfi Editore può essere considerato un monito alla cura e all’ascolto di tutto ciò che purtroppo viene dato per scontato; una vera e propria celebrazione della semplicità. Nel 2021, per Augh Edizioni, Utterson, nasce Cosa rimane, il mio primo romanzo. Un lavoro che parte da lontano e che trova spazio in un intreccio di storie dagli innumerevoli colpi di scena. Nello stesso anno ho pubblicato per Guida Editori una raccolta di saggi, studi e articoli psicosociopedagogici dal titolo Pretesti danteschi per riflettere di sociologia. E ad aprile 2022 per Pequod, collana Rive, esce Quasi madre, un libro il cui tema dominante è il legame di dipendenza privo di comunicazione tra madre e figlia, la severità eccessiva della madre negli interventi educativi, l’iperprotezione, la rigidezza di ruolo e la mancanza di fiducia nelle possibilità presenti o future della figlia, gli atteggiamenti ipercritici, l’educazione alla vergogna e ai sensi di colpa.

L’Idea Magazine: Hai anche scritto un romanzo, pubblicato nel 2021, “Cosa rimane”. Di che cosa tratta? Che cosa ti ha spinto a scriverlo? Hai in progetto di scrivere altri romanzi?
Rita PacilioCosa rimane è una confessione o più confessioni di sentimenti, dubbi, drammi ed emozioni. Attraverso la protagonista cerco di attraversare le diverse strade dell’amore, che rimane il tema cardine della storia.

L’Idea Magazine: Hai anche scritto libri per bambini. Potresti parlarcene un poco? Come sociologa, quali scopi ti prefiggi quando scrivi letteratura per l’infanzia?
Rita Pacilio: Per i bambini ho scritto: La principessa con i baffi, fiaba illustrata da Patrizia Russo dedicata ai bambini fino ai tredici anni. Cantami una filastrocca, filastrocche per i bambini della scuola primaria illustrate da Alessia Iuliano. La favola dell’Abete, una breve favola per i bambini della scuola dell’infanzia illustrata da Luca Luigi Pacelli. La vecchina brutta e cattiva, racconto per i bambini della scuola primaria illustrato da Damiana Valerio. In tutti i miei lavori dedicati alla letteratura per l’infanzia utilizzo le mie competenze psicosociologiche e pedagogiche per parlare/mostrare ai piccoli tutti gli aspetti della vita attraverso le storie inventate al fine di permettere ai bambini la decodificazione dell’oggettività della realtà esteriore così da poter stabilire equilibri tra l’intimo e l’esterno.

L’Idea Magazine: Vorrei che tu parlassi dei libri d’arte e di che cosa rappresentano per te…
Rita Pacilio: Vi presento i miei libri d’arte:

  • Vaghe parole – LietoColle, 2006 (libro rifinito a mano e in tiratura limitata e numerata).
  • Il cigno del lago – Pulcinoelefante, 2013 (libro rifinito a mano e in tiratura limitata e numerata).
  • Preghiera – GaEle Edizioni, 2017 (libro rifinito a mano e in tiratura limitata e numerata). Opera di Roberto Pagnani.
  • Al polso porto le catene, landay – RPlibri, 2019.
  • La ferita dei fulmini, landay – GaEle Edizioni, 2019 (libro rifinito a mano e in tiratura limitata e numerata) con opera di Alessandra Carnaroli.

Ognuno rappresenta un percorso di incontri, luoghi e confronti. Infatti, lavorare con editori e artisti vuol dire scoprire nuovi mondi a cui far aderire, trasversalmente, anche il tuo.

L’Idea Magazine: Tra le tue curatele, qual è stata la più complessa e quale la più appagante?
Rita Pacilio: Ho avuto la gioia e l’onore di curare alcune antologie poetiche sia con i bambini: Corolle di poesia – Progetto Seme Antologia di versi poetici degli studenti 3^ A Scuola Primaria ‘G. Marconi’ San Giovanni Suergiu e 2^ C Scuola Statale Secondaria di 1° grado ‘E. d’Arborea – A. Lamarmora’ Iglesias (Lietocolle, 2011) sia con i ragazzi: Mobile Poetry: l’etereo viaggio del seme – Progetto Seme Antologia di versi poetici degli studenti del Liceo Scientifico Galilei/A. Vetrone di Benevento (Lietocolle 2011) e sia con i poeti: Una luce sorveglia l’infinito (Tutto è misericordia) – Antologia poetica AA.VV. La Vita Felice, 2016. Ogni esperienza ha avuto la sua peculiare importanza nel mio cammino professionale e artistico. Posso dire che affiancare i bambini nell’approccio alla poesia mi ha riempita di speranza nei confronti dell’umanità in divenire. Tengo a sottolineare le preziose collaborazioni con colleghi, istituzioni scolastiche e comunali, editori e poeti.

L’Idea Magazine: Come cantante Jazz, hai partecipato a molti festival…
Rita Pacilio: Il Festival jazz di cui conservo un ricordo ancora vivo è quello della dodicesima edizione (anno 2009) Padova jazz Festival in cui ho vissuto emozioni bellissime con artisti internazionali. Presentai il mio disco Infedele con musiche e arrangiamenti di Claudio Fasoli, Luca Aquino, Antonello Rapuano e Massimo Colombo, Giovanni Francesca, Carlo Lomanto.

L’Idea Magazine: Quando hai iniziato a cantare? Suoni anche uno strumento?
Rita Pacilio: Canto da quando avevo quattro anni. A quell’età partecipai alle selezioni regionali e nazionali dello Zecchino d’oro. Fui selezionata dalla grandissima e indimenticabile Mariele Ventre. Ho suonato il pianoforte, ma sono moltissimi anni che lo uso solo come strumento di studio.

L’Idea Magazine: Nel tuo cd “Infedele”, hai scritto tutti i testi delle canzoni?  È tutta musica Jazz?
Rita Pacilio: Sì, i testi sono miei ad eccezione di Mirror (testo e musiche di Claudio Fasoli). La musica del disco è una fusione di più generi. Mi piace dire che è svincolata da canoni ed etichette.

L’Idea Magazine: Di tutti i premi, che sono tanti, che hai ricevuto, ce n’è uno in particolare che ti ha toccato più degli altri, emotivamente parlando?
Rita Pacilio: Sì, il Premio Laurentum del 2013 per il libro Gli imperfetti sono gente bizzarra è il Premio che in assoluto mi ha dato molte soddisfazioni e grazie al quale ho avuto modo di approfondire la sensibilità di Franco Loi, uno dei giurati del Premio. Ma anche tutti gli altri Premi rappresentano per me, tappe fondamentali del mio percorso letterario come, per esempio, il Premio internazionale Naji Naaman Literary Prize 17° edizione, anno 2019 e il Diploma de Honor da L’Union Mundi al de Poetas par la Paz y la Libertad – UMPPL (2020, 2021, 2022).

L’Idea Magazine: Le tue opere sono state tradotte in nove lingue. Quale di queste traduzioni ti ha sorpreso? Hai provato a leggere in pubblico le tue poesie anche in traduzione? In quale di queste lingue ti senti a tuo agio nel leggerle?
Rita Pacilio: Le traduzioni sono sempre un dono inaspettato e prezioso. Essere tradotta in lingua araba mi ha dato molte emozioni, come la traduzione in lingua francese e spagnolo. Conosco in maniera scolastica, solo la lingua francese. A Parigi, in occasione della presentazione de Les nervures de la violette (L’Harmattan, 2020 Traduction en français par Françoise Lenoir) ho letto una poesia in francese.

L’Idea Magazine: Quali sono le attività dell’associazione della quale sei presidente?
Rita Pacilio: Attività editoriali e culturali in genere. Collaboriamo con diverse associazioni con cui organizziamo reading di poesia e presentazioni di libri.

L’Idea Magazine: Da quanti anni hai creato e dirigi il marchio editoriale RPlibri? Che cosa offri agli autori interessati alla pubblicazione?
Rita Pacilio: Ho ideato il marchio editoriale RPlibri nel 2017. Agli autori cerco di offrire ascolto, competenza, serietà, fiducia e presa in carico delle proprie opere che curo come mie creature. Sul sito www.rplibri.it sono specificati tutti i servizi editoriali.

L’Idea Magazine: Ti sei laureata con specializzazione in Mediazione familiare e conflitti interpersonali presso l’Università degli studi di Napoli. Lavori come sociologa o usi solo ciò che hai imparato nella tua creazione letteraria?
Rita Pacilio: Fino a qualche anno fa lavoravo presso strutture carcerarie, ospedaliere e scolastiche offrendo consulenze e formazione. Poi, ho deciso di rallentare e scegliere la strada della scrittura a tempo pieno.

L’Idea Magazine: Se tu potessi parlare con un qualsiasi personaggio del passato, o anche del presente, chi sarebbe e che cosa vorresti chiedere?
Rita Pacilio: Mi piacerebbe parlare con San Francesco. Gli chiederei consigli e spiegazioni su alcuni passi della Regola applicata ai nostri tempi.

L’Idea Magazine: Scegli tre aggettivi per definirti.
Rita Pacilio: Tre aggettivi positivi: gentile, generosa, innamorata – tre aggettivi negativi: permalosa, ansiosa, impulsiva.

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Rita Pacilio: Vedere i sogni dei miei figli realizzati.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Rita Pacilio: Leggiamo molto per educarci a essere sempre più presenti nella vita per diventare persone degne di stare al mondo.

Come le mie poesie, i miei racconti partono da immagini, “Polaroid” della mia vita… Intervista esclusiva con Alessandro Angelelli

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

L’Idea MagazineBuongiorno Alessandro. Il tuo interesse per il teatro quando è nato? Perché scegliesti proprio “Il teatro della Contraddizione”?
Alessandro Angelelli: Ho cominciato a frequentare il Teatro della Contraddizione nel 1993. Mi portò un amico ad un incontro e cominciai con i corsi di teatro, quasi per gioco. Il Teatro della Contraddizione, fondato da Marco Maria Linzi (regista e drammaturgo), Sabrina Faroldi e Micaela Brignone (attrici) esisteva da poco più di un anno; l’amico che mi portò a conoscerli prese altre vie dopo pochi mesi, io, invece, ho fatto con loro un percorso che è durato oltre vent’anni e che mi ha influenzato profondamente. Sono stato quasi sempre presente nelle produzioni del TdC, recitando in opere teatrali di quello che si può considerare il più importante Teatro di ricerca della scena milanese.
Ricordo con amore tutti i personaggi interpretati in tanti spettacoli: Hieronimo ne “Le Foreste di Arden”, Arkel in “Allemonde ‘67”, Tony in “Wop – gli italiani d’America” e molti altri; ma in particolare ricordo con particolare affetto il ruolo del comandante Rahm nello spettacolo “Die Privilegierten – La città ideale”, premiato come miglior spettacolo e miglior regia dalla giuria popolare del Premio Teatro Città di Milano.
L’ultimo, in ordine cronologico è stato “Berlin, Berlin – Kaffe Bordello” nel 2016, una splendida visione delle cadute dell’animo umano che solo quel pazzo, geniale e visionario di Marco Maria Linzi poteva dipingere…

L’Idea Magazine: Hai fatto anche parte di altre compagnie teatrali?
Alessandro Angelelli: Attualmente sono membro della compagnia Icdun Teatro assieme agli attori Eugenio Vaccaro e Daniela Franco. Abbiamo portato in scena lo spettacolo “Alegher, che fatica essere uomini” in diversi teatri con un ottimo successo. “Alegher” rappresenta una vista differente di quello che è il rapporto tra la nostra società e gli immigrati che entrano e vivono (a fatica) con noi. A fine maggio lo rappresenteremo al Nuovo Teatro delle Commedie di Livorno. Nel frattempo stiamo lavorando a due nuove drammaturgie, una scritta da Daniela che verrà presentata in anteprima ad inizio giugno e una, scritta da me, che porteremo in scena in Autunno. Quest’ultima si chiamerà “Heimat”, concetto molto presente anche nel mio libro di poesie e sarà uno spettacolo in cui la parte visuale sarà strettamente integrata con la parte scenica.

Una scena di Alegher

L’Idea MagazineInsomma, hai avuto varie esperienze nel mondo teatrale. Qual è stata quella che ti ha eccitato di più e qual è quella che tu consideri la più affine alla tua personalità?
Alessandro Angelelli: Forse sarò banale nella risposta, ma ogni esperienza che ho fatto a teatro è stata eccitante e affine al mio universo. Probabilmente perché mi piace sempre sperimentare, rimettermi in gioco e ad ogni nuovo spettacolo devi assolutamente ricominciare da capo: lavorare sul personaggio, in tutte le sue sfaccettature, fisiche, vocali, ti spinge sempre a cambiare, a trasformarti. È parte del mio modo di essere e lo amo. Inoltre, in ogni spettacolo entri a far parte di un nuovo universo, spesso con nuovi compagni di avventura, coi quali devi costruirlo quell’universo… Impossibile preferirne uno piuttosto che un altro.

L’Idea MagazineNel corso dei tuoi molti spettacoli, c’è stato uno che ti ha impressionato positivamente o ha influenzato la tua vita?
Alessandro Angelelli: Ho citato prima “Die Privilegierten – La città ideale” che è stata un’opera che ha cambiato molto il modo di fare teatro della mia compagnia di origine, il Teatro della Contraddizione. Il lavoro che abbiamo fatto, rapportandoci al pubblico, portandoli con delicatezza nel nostro universo, per poi “ingannarli” è stato bellissimo. Ho amato quel lavoro che abbiamo proposto più volte negli anni. Eppure, ogni sera che andavo in scena e, soprattutto in alcuni momenti dello spettacolo, mi commuovevo. Sarebbe un sogno riportarlo in scena, un giorno…

L’Idea MagazinePoi, con gli anni hai scritto vari racconti. Di che cosa trattano i tuoi racconti?
Alessandro Angelelli: Come le mie poesie, i miei racconti partono da immagini, “Polaroid” della mia vita che poi sviluppo senza seguire uno stretto legame autobiografico. Per questo amo pensare che pur parlando di me, di aspetti del mio vissuto, possono essere universali e fruibili per ogni lettore. Forse dovrei pensare a pubblicarli, prima o poi.

L’Idea MagazineAnche la poesia ti ha ammaliato, come vedo dalla tua biografia. Quando incominciasti a scrivere poesie?  Il tuo primo libro, “Metallo Pesante”, è una silloge poetica. Puoi parlarne un poco?
Alessandro Angelelli: “Metallo Pesante” è una raccolta di poesie che ho cominciato a scrivere attorno al 2019. È basato sul concetto di Heimat che nei paesi di lingua germanica è quello che potremmo identificare con il “luogo dell’anima”, il porto di partenza e di arrivo di tutti noi. Heimat può essere un luogo fisico, il paese natio ad esempio, ma anche e soprattutto uno stato del proprio io interiore, un luogo non-luogo da esplorare, un universo complesso fatto di fotografie della propria vita: immagini, segmenti di vissuto che vanno a comporre un puzzle che racconta ciò che siamo stati e quello che saremo.
In Metallo Pesante troverete tutte queste “Polaroid” sparse che vi racconteranno di questo universo che è mio, ma non solo… è un viaggio che chiunque può fare, partendo dalle proprie di immagini per (ri)creare il proprio vissuto

L’Idea MagazineContinui a scrivere poesie e racconti? Che cosa ti spinge a farlo?
Alessandro Angelelli: La voglia di cambiare, di migliorare, di scoprire nuovi aspetti del mio Io interiore e, soprattutto, superare i miei limiti di uomo, attore e scrittore. Scrivere, come recitare, mi tiene vivo.

L’Idea MagazineHai scritto anche pezzi teatrali?
Alessandro Angelelli: Assolutamente sì; vi ho accennato prima di “Heimat”, lo spettacolo che stiamo preparando con Icdun Teatro. Heimat è un progetto nato già due anni fa e, purtroppo, un po’ rallentato dalla Pandemia. La pièce è nata prima che decidessi di scrivere “Metallo Pesante” che, peraltro, è dedicato proprio ai tre personaggi dell’opera teatrale: sono figure che rappresentano metafore di tre importanti fasi della vita, ma sono per me anche delle identità precise di persone che hanno attraversato il mio mondo nel corso degli anni. Il primo di quei personaggi/persone è André, l’Io bambino, che in quanto tale identifica la capacità di amare in maniera incondizionata; poi c’è Patrick che rappresenta l’età adulta che irrompe nella vita di tutti noi a portare responsabilità, difficoltà, spesso dolore. Per ultimo la silloge è dedicata a Julie, che identifica l’amore ideale, qualunque tipo di amore, non solo quello legato all’attrazione tra due persone ma anche quello verso un genitore, un’amica o verso il proprio figlio.

L’Idea Magazine: Hai anche l’hobby della fotografia. Mi pare…
Alessandro Angelelli: Si, nelle mie lunghe passeggiate mattutine, nel parco nella mia città, nelle mie Marche quando posso visitarle, in qualunque posto, sono la croce di chi mi accompagna visto che rimango sempre indietro per fare uno scatto in più. Mi piace notare e immortalare alcuni punti di vista in particolare: dettagli, figure riflesse in specchi d’acqua… Dopo tutto, fotografo per come scrivo poesie.

L’Idea MagazineDove ti vedi, dieci anni da adesso?
Alessandro Angelelli: Vivo molto il passato, tanto il presente, che cerco di non buttare via nella fretta di tutti i giorni e non penso moltissimo al futuro, almeno non così in là nel tempo. Ho già così tanto da fare per capire me stesso che non voglio sprecare energie per prefigurare un ipotetico futuro. Sono un forte sognatore, ma del futuro prossimo, quello che quasi posso toccare con mano.

L’Idea MagazineSogni nel cassetto?
Alessandro Angelelli: Ne ho tanti, ma i sogni quelli più belli li tengo per il futuro di mio figlio. È lui il soggetto per il quale auspico le cose più stupende; come farebbe ogni padre, del resto.

L’Idea MagazineSe tu potessi incontrare un qualsiasi personaggio della storia, chi sarebbe e che cosa vorresti sapere da lui/lei?
Alessandro Angelelli: Beh, come amante del teatro non posso che rispondere: William Shakespeare. Però è impossibile racchiudere in poche righe tutto quello che vorrei sapere da lui; credo che potrei anche sequestrarlo per poter avere il giusto tempo e ripercorrere assieme tutte le sue opere, che amo profondamente, e cercare di comprendere meglio il suo splendido universo creativo.

L’Idea MagazineSe tu dovessi definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Alessandro Angelelli: Empatico, sognatore e irrequieto… però vi dico anche il quarto, quello meno positivo: “prolisso”… Parlo decisamente troppo!

L’Idea MagazineIn che modo sta influendo sulla tua creatività e la tua vita un periodo come quello in cui viviamo, con il Covd19, la quarantena e l’isolamento?
Alessandro Angelelli: Sicuramente la pandemia mi ha cambiato, come ha cambiato la maggior parte di noi. Per paradosso questo periodo mi ha permesso di sviluppare ulteriormente la mia creatività: ho potuto lavorare molto spesso da casa e questo mi ha risparmiato i quotidiani, interminabili chilometri di code per arrivare a lavoro; tutto quel tempo ho potuto dedicarlo a lunghe, piacevoli passeggiate, durante le quali ho sviluppato il mio universo nel quale ho creato “Metallo Pesante”: la maggior parte delle poesie di questa silloge le ho composte durante quelle stupende camminate.

L’Idea MagazineUn messaggio per i nostri lettori?
Alessandro Angelelli: È più un augurio quello che faccio loro… Auguro di poter trovare il tempo per rallentare, per potersi dedicare a se stessi, a ricercare la piena consapevolezza; capire, attraverso le proprie “Polaroid”, qual è il senso del proprio passato per poter costruire un migliore futuro.

Tendo a osservare ciò che mi circonda, ad ascoltarmi e cogliere i segni dell’universo. Intervista esclusiva con Michela Zanarella

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Michela Zanarella è nata a Cittadella (PD) nel 1980. Ha pubblicato diciassette libri. Negli Stati Uniti è uscita in edizione inglese la raccolta tradotta da Leanne Hoppe “Meditations in the Feminine”, edita da Bordighera Press (2018). Giornalista, autrice di libri di narrativa e testi per il teatro, è redattrice di Periodico italiano Magazine e Laici.it. Le sue poesie sono state tradotte in molte lingue.

L’Idea Magazine: Buongiorno Michela. Dal 2006 ad oggi, hai pubblicato ben diciassette raccolte di poesie. È vero che cominciasti a scrivere solo dopo un grave incidente stradale?
Michela Zanarella: Buongiorno Tiziano, è proprio così. Nel 2001 andando a lavoro sono stata investita da una macchina. Era una mattina nebbiosa, non si vedeva nulla. Stavo attraversando la strada in sella alla mia bicicletta, molto probabilmente chi era alla guida non mi ha proprio visto, perché la visibilità era quasi nulla. Fui agganciata dalla macchina al manubrio della bici e sbalzata in aria. Mi trovai al centro della strada completamente sanguinante. Ricordo che sentii una voce che mi disse di alzarmi, ma dal lato opposto della strada non c’era nessuno. Mi ritrovai in piedi, e un secondo dopo un tir travolse la bici. Poi persi conoscenza e iniziò un duro percorso di recupero e riabilitazione dell’uso degli arti durato quasi due anni. Oltre al trauma cranico che mi scosse profondamente. Nel 2004 ho iniziato a scrivere le prime poesie, consapevole che qualcosa in me era cambiato. Non ero più sola, ma avrei dovuto imparare molte cose di me che ancora non avevo mai affrontato. La scrittura è arrivata in un momento difficilissimo, mi ha aiutato a superare ostacoli e a capire l’importanza di ogni istante. Da allora la poesia è diventata la mia luce, la mia guida.

L’Idea Magazine: Di queste raccolte, una è stata anche pubblicata in traduzione dai nostri amici di Bordighera Press nel 2018, proprio qui a New York. Puoi parlarcene un poco? [inserisci pure una poesia in inglese, se vuoi]
Michela Zanarella: Questa raccolta in edizione bilingue inglese/italiano con traduzioni di Leanne Hoppe è arrivata in modo inaspettato. Leanne mi contattò tramite mail dicendo che aveva letto alcune delle mie poesie in rete e ne era rimasta molto colpita. Mai avrei potuto immaginare di essere apprezzata da così lontano. Con la sua docente della Boston University scelse di lavorare alla traduzione di miei testi da un libro che pubblicai nel 2011 “Meditazioni al femminile”. Tra noi iniziò una fitta corrispondenza, poi lei decise di venire a Roma per conoscermi. Dopo due anni di lavoro arrivò “Meditations in the feminine” con Bordighera Press, una delle realtà editoriali indipendenti più interessanti nel panorama italoamericano, fondata nel 1989 da Fred Gardaphé, Paolo Giordano e Anthony Julian Tamburri. Nello stesso catalogo ci sono nomi importantissimi della poesia contemporanea italiana come Dacia Maraini, Silvio Ramat, Paolo Ruffilli, per citarne alcuni. Vorrei scegliere una delle poesie incluse nel volume in inglese:

Spark of life

In these bones
I travel
and I carry with me
the little sparks of life.
I unearth heat,
take in breath,
I love.
I want
to stay in this skin,
I want it to remain
magic
in destiny.
I want you to erupt
out of me
and I want to know
the taste of the sea.

L’Idea Magazine: Il tuo ultimo libro, “Recupero dell’essenziale”, che è stato appena pubblicato, è frutto di un recupero di poesie andate perdute. Puoi dirci di più al proposito?
Michela Zanarella: Il libro nasce da un recupero vero e proprio di inediti andati persi per un guasto irreversibile al computer. Sono riuscita a ritrovare parte dei testi grazie all’aiuto di alcuni amici, a cui avevo inviato le poesie in lettura. Fortunatamente invio spesso ciò che scrivo ad un gruppo fidato di persone che mi seguono e apprezzano. In questo caso sono stati: Felicia Buonomo, Corrado Solari, Fiorella Cappelli e Giovanni Battista Quinto a salvare una parte della mia produzione poetica. Senza di loro questo libro non avrebbe mai preso forma. Quindi a loro devo un grazie infinito. Tra le poesie ‘recuperate’ troverete anche questa:

Esiste una lingua segreta che s’impara
origliando ai piedi dell’erba
sottoterra c’è una folla di ombre sepolte
rugiade strette che vogliono tornare
sale su per le radici la grammatica dei papaveri
sosta come respiro tra le labbra il sogno di fiorire
il sole varia la sua voce a seconda della luce
cede la parola al silenzio ed è petalo sanguigno
che osa tramonti prima della sera.

L’Idea Magazine: I tuoi molti libri sono stati tradotti, oltre che in inglese, anche in francese, spagnolo, arabo, portoghese, hindi, giapponese, albanese, tedesco, polacco, turco, cinese e uzbeko. Congratulazioni! Pensi che nelle traduzioni siano riusciti a trasporre appieno i tuoi sentimenti? Qual è stata la reazione nelle altre nazioni alla tua poesia? Ci sono stati contatti di lettori/lettrici dall’estero?Nelle tue presentazioni, leggi mai una tua poesia in traduzione?
Michela Zanarella: Mi considero molto fortunata, perché ho avuto l’opportunità di incontrare ottimi traduttori, alcuni di loro sono anche poeti, quindi consapevoli dell’importanza dei significati, della musicalità, del ritmo. Non è facile tradurre un testo, perché si rischia di andare a modificare il senso dei termini se non si ha una certa dimestichezza con la poesia. Ho sempre avuto riscontri molto positivi dai lettori di altre nazioni, la poesia se ben tradotta, riesce ad avvolgere, emozionare, arriva dritta al cuore, sono molto contenta degli attestati di stima che ho ricevuto negli anni. Ho avuto la possibilità di conoscere tante persone, di essere letta quasi ovunque. È un privilegio. In molte presentazioni internazionali ho letto anche in versione tradotta le mie poesie. La mia formazione mi ha dato anche gli strumenti per conoscere bene altre lingue. Parlo tedesco, francese e inglese.

L’Idea Magazine: Si parla molto, ovviamente, delle tue poesie, ma tu hai scritto anche testi per il teatro, alcune canzoni e diversi racconti.  I tuoi testi teatrali sono stati mai messi in scena? I tuoi racconti sono apparsi in qualche antologia, suppongo…
Michela Zanarella: Alcuni dei miei testi teatrali sono stati rappresentati in molti teatri italiani. Ho la fortuna di avere un compagno regista e attore che mi ha aiutato molto. Avere una guida esperta nel settore è importantissimo. Tra i monologhi a cui tengo maggiormente cito “Tragicamente rosso” diretto da Giuseppe Lorin, interpretato da Chiara Pavoni, con le musiche del maestro Mauro Restivo. È un testo contro la violenza sulle donne, incluso anche in un libro omonimo, in cui ho affrontato il tema della violenza in poesia sotto diversi aspetti, non solo violenza di genere, ma esclusione sociale, violenza verso l’ambiente, violenza psicologica, oltre alla tragica ferita rimasta indelebile nella storia con la Shoah. Abbiamo portato il monologo nei teatri, nelle piazze, nelle scuole per ben cinque anni, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica su un argomento purtroppo sempre attuale. Per i racconti, invece, ho pubblicato un quadernetto nel 2009 “Convivendo con le nuvole”, che ebbe un discreto seguito; molti altri sono stati pubblicati in antologie. La poesia resta comunque la mia priorità.

L’Idea Magazine: Da dove trai ispirazione per le tue poesie? Ci sono poesie che ti hanno fatto soffrire a scriverle?
Michela Zanarella: Tendo a osservare ciò che mi circonda, ad ascoltarmi e cogliere i segni dell’universo. La mia poesia si nutre di simboli, corrispondenze, trae linfa espressiva dagli elementi della natura. Alcune poesie mi hanno procurato non sofferenza, ma uno stato di svuotamento interiore, ripercorrere certe immagini, certi ricordi, non è stato semplice. Ma fa parte di un percorso, credo, necessario. Dovevo entrare in profondità, accettare certe esperienze, rinnovarle.

L’Idea Magazine: Ma tu hai anche un romanzo nel cassetto in attesa di pubblicazione…
Michela Zanarella: È lì da tanto tempo, sospeso in un limbo. Ho quasi paura di pubblicarlo, perchè dentro c’è molto di me, non so se avrò la forza di fare questo passo. Tutte le mie ferite sono tra le pagine, affronto temi sicuramente attuali, che magari appartengono a tante donne. Chissà se avrò abbastanza coraggio. Temo più me stessa che il giudizio dei lettori.

L’Idea Magazine: Nel 2018 sei stata eletta Presidente della Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo. Che importanza ha per te questo onore?
Michela Zanarella: La Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo Associazione di Promozione Sociale RIDE -APS, con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), riunisce associazioni ed enti pubblici e privati (profit e no-profit) e opera al fine di realizzare i principi della Carta delle Nazioni Unite e, a livello europeo, e gli obiettivi del partenariato euro-mediterraneo contenuti nella Dichiarazione di Barcellona del novembre 1995, coerentemente con gli obiettivi della “Fondazione Euro-mediterranea Anna Lindh per il Dialogo tra le Culture” (FAL, o secondo la dicitura inglese Anna Lindh Foundation-ALF) della quale la RIDE-APS si costituisce come “Rete Italiana”.

La RIDE-APS, in collaborazione con le istituzioni pubbliche e private, gli organismi non governativi e della società civile operanti in Italia, promuove il dialogo tra i popoli e gli Stati, in special modo nello spazio euro-mediterraneo, aderenti ai principi e finalità della Costituzione italiana, della Dichiarazione universale dei Diritti umani del 1948, dell’Unione per il Mediterraneo (UpM). La nostra mission consiste nel promuovere iniziative nel quadro della cooperazione allo sviluppo e della solidarietà internazionale; promuovere il dialogo tra i popoli e le realtà culturali, all’insegna delle rispettive identità e della reciprocità, con particolare attenzione all’area euro-mediterranea; tutelare e valorizzare beni comuni di interesse artistico e storico in Italia e nei Paesi del Mediterraneo; favorire l’incontro, il collegamento, il coordinamento e la cooperazione fra tutti i soggetti e le organizzazioni della società civile che operano in Italia per il dialogo euro-mediterraneo e lo scambio di buone pratiche. Mi onora essere stata eletta, perchè è un incarico che richiede responsabilità e fiducia da parte dei soci membri. Essere impegnata in un contesto di rilievo internazionale, mi conduce a mantenere un equilibrio diplomatico e ad imparare l’ascolto assoluto.

L’Idea Magazine: Sei anche stata nominata Extraordinary Ambassador for Naji Naaman’s Foundation for Gratis Culture. In che cosa consiste questa nomina? 
Michela Zanarella: Nel 2016 vinsi il premio “Creativity Prize” nel prestigioso concorso internazionale Najj Naaman, che porta il nome dello scrittore e umanista libanese che lo ha ideato. Nello stesso anno mi nominarono ambasciatrice culturale per l’Italia. Cerco di valorizzare i talenti italiani, facendo conoscere i poeti del nostro Paese, tradotti anche in altre lingue. Un bellissimo incarico che negli anni mi ha dato la possibilità di dare voce a tanti giovani, ma anche a tante voci di spessore.

L’Idea Magazine: Quali sono le tue funzioni in seno all’associazione “Le Ragunanze”?
Michela Zanarella: L’Associazione di Promozione Sociale “Le Ragunanze” è formata da persone che intendono promuovere e impegnarsi nella diffusione della Cultura e dell’Arte in tutte le sue espressioni. L’Associazione si ispira ai principi del libero associazionismo, è apolitica e non persegue finalità di lucro.
“Ragunanza” è stato un vocabolo quotidiano dell’epoca barocca e significava “radunanza”, raduno di più persone, in principal modo individui di qualsiasi espressione artistica. Era un termine che designava l’incontro di più artisti che mostravano agli astanti quanto l’ingegno, se ben guidato, poteva produrre. Ed è proprio, seguendo le orme di Cristina di Svezia, ideatrice dei raduni degli artisti con la sua Arcadia, che l’Associazione di Promozione Sociale intende ripristinare gli antichi incontri denominati “Le Ragunanze”, valorizzando nel contempo l’ambiente, il territorio, il genio artistico, espressione di qualsiasi forma d’Arte. Da ben otto anni organizziamo il concorso letterario internazionale “Le Ragunanze” con i patrocini di Consiglio Regionale del Lazio, Roma Capitale XII Municipio, Ambasciata di Svezia, Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, Golem Informazione, Associazione Culturale Euterpe, Leggere Tutti, ACTAS, Premio internazionale di Poesia & Narrativa Città di Latina, WikiPoesia. Abbiamo cercato di valorizzare il territorio e il quartiere Monteverde, nel cuore di Roma, premiando l’arte, la cultura e la bellezza.

L’Idea Magazine: Potresti parlarci un poco del Gruppo di Esplorazione Letteraria Poeti Emozionali?
Michela Zanarella: Il gruppo è nato da un’idea dello scrittore Domenico Garofalo, durante la pandemia. È riuscito a riunire scrittori con stili diversi provenienti da varie regioni, uniti dalla stessa passione per la poesia. Possiamo definirci amici scrittori accomunati da affinità letterarie ed emotive nella creazione delle liriche, delle emozioni provate durante lo scrivere o nel declamare versi. Esploratori dell’anima che amano guardarsi dentro per migliorarsi. Siamo: Antonio Corona, Johanna Finocchiaro, Francesco Nugnes, Domenico Garofalo, Immacolata Rosso ed io.

L’Idea Magazine: Molti dei nostri lettori, e anche ad un paio dei nostri giornalisti, saranno molto orgogliosi che tu sia originaria della provincia di Padova. Ti sei però spostata a Roma. Come mai?
Michela Zanarella: Sono nata a Cittadella, in provincia di Padova, ma sono cresciuta a Campo San Martino, piccolo paese della provincia di Padova. Ho vissuto lì fino al 2007, poi per amore, mi sono trasferita a Roma, dove vivo tuttora. Ho scelto di seguire il cuore, anche se poi la storia con la persona con cui stavo si è interrotta. Sono rimasta a Roma, e mi sono trasferita nel quartiere Monteverde, un quartiere verde, ricco di storia e cultura, dove mi sento accolta e apprezzata. Qui hanno vissuto, tra l’altro, alcuni dei poeti che amo, come Pier Paolo Pasolini e Giorgio Caproni. Mi emoziono ogni volta pensando che si sono ispirati tra queste strade, osservando gli stessi luoghi dove mi trovo anch’io.

L’Idea Magazine: Hai anche contribuito alla stesura di un romanzo, essendo uno degli otto co-autori del romanzo di Federico Moccia “La ragazza di Roma Nord”. Da che cosa è nato questo progetto e a che cosa mirava?
Michela Zanarella: Il progetto è nato da un contest letterario organizzato dalla casa editrice SEM in collaborazione con Federico Moccia, che invitava i lettori a essere parte attiva del suo romanzo. Si poteva partecipare con poesie e racconti. Solo otto avrebbero potuto essere inseriti nel romanzo. La mia poesia rientrò tra gli otto testi meritevoli. Non avrei mai pensato di riuscire a superare la selezione tra migliaia di concorrenti. Quando mi telefonarono per darmi la notizia pensavo fosse uno scherzo. Invece era tutto vero. Fui inserita non solo con la poesia, ma sono diventata un personaggio in un capitolo del libro. Una bellissima emozione. Ho avuto anche l’onore di partecipare ad alcune presentazioni del libro insieme a Federico, una persona splendida, molto disponibile.

L’Idea MagazineCollabori con la redazione di Periodico Italiano Magazine, Laici.it e Brainstorming Culturale, oltre ad altre testate. Come sono nate nel corso degli anni queste collaborazioni e quali sono le differenze sostanziali tra queste testate e, di conseguenza, il tuo rapporto letterario?
Michela Zanarella: Con Periodico Italiano intrapresi un percorso di formazione in redazione per diventare giornalista pubblicista. Devo molto agli insegnamenti di Vittorio Lussana, direttore, e Francesca Buffo, capo redattore. Mi hanno insegnato una professione che richiede passione, impegno e costante approfondimento. Dal 2018 sono quindi pubblicista iscritta all’ordine dei giornalisti del Lazio, e ho continuato a scrivere recensioni, interviste, per Periodico Italiano, Laici e altre testate. Con Brainstorming Culturale diretto da Annalisa Civitelli mi occupo della recensione di libri. La scrittura giornalistica è completamente diversa dalla poesia, quindi ho dovuto fare una separazione netta dalla mia dimensione poetica. È stato un percorso duro e faticoso, ma ho capito le tecniche e le regole richieste, studiando, leggendo e scrivendo molto.

L’Idea Magazine: È vero che ci sono in corso di creazione anche un podcast e un canale TV da parte tua?
Michela Zanarella: Si, grazie al lavoro del mio webmaster Alessandro Bagnato, che ha curato la grafica e i contenuti del mio sito ufficiale www.michelazanarella.it ho scelto di mettermi in gioco per dare voce e spazio anche ad altri artisti. Ho dato il via a due rubriche “Scrivimi” dove realizzo delle brevi interviste a scrittori, artisti, performers, e “Liberi”, dove ospito i versi di poeti contemporanei nazionali e internazionali. La sezione podcast è in via di sviluppo e conterrà interviste audio e video.

L’Idea Magazine: Se tu potessi incontrare un personaggio del passato, o anche del presente, chi sarebbe e che cosa chiederesti?
Michela Zanarella: Se potessi, del passato vorrei incontrare Pier Paolo Pasolini, perchè chissà quante cose avrebbe da raccontare ancora. Gli chiederei cosa pensa del nostro tempo, del governo attuale e dell’Italia in genere. Sarebbe stato un bel confronto. Avremmo parlato a lungo di poesia, di vita e morte. E poi Alda Merini, donna e poeta immensa. Mi affascina molto la vita dei poeti, soprattutto di chi si è spinto oltre, senza nascondere mai la propria identità. Del presente vorrei incontrare due persone: Gabriele Galloni, giovane poeta, scomparso prematuramente. Ci siamo scritti tante volte, ma non sono mai riuscita  a incontrarlo. Poi Marcella Continanza, splendida voce della poesia contemporanea, giornalista e ideatrice del Festival della poesia europea di Francoforte sul Meno. A lei ho dedicato il mio ultimo libro “Recupero dell’essenziale”. Ci siamo sempre telefonate per anni, siamo diventate grandi amiche, ma anche con lei non c’è stato mai l’incontro.

L’Idea Magazine: Quando incontri un’altra persona, qual è il pregio che ti attira di più e qual è il difetto che ti da più fastidio?
Michela Zanarella: Mi attira la spontaneità, l’umiltà. Mi dà molto fastidio la troppa saccenza, la presunzione.

L’Idea Magazine: Se dovresti definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Michela Zanarella: Curiosa, timida, generosa.

L’Idea Magazine:  Sogni nel cassetto?
Michela Zanarella: I sogni sono tanti, ma resto dell’idea che sia giusto vivere senza troppe aspettative. Mi accontento di stare bene, di avere a fianco le persone che amo, di continuare a coltivare le mie passioni.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Michela Zanarella: Cercate di ascoltarvi e di prestare ascolto anche agli altri, amarsi è il primo passo per amare il mondo. E se potete non rinunciate mai a ciò che vi fa stare bene.

La mia passione non è tanto la parola scritta, quanto la Parola. Intervista esclusiva con Federica Tronconi

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

L’Idea Magazine: Federica, hai mosso i primi passi nel giornalismo locale e nazionale. Puoi parlarci un po’ delle tue prime esperienze giornalistiche?
Federica Tronconi: Ho iniziato scrivendo per il settimanale Il Ticino. Poi sono passata nella redazione di Radio Ticino, dove per un periodo di tempo sono stata anche cronista sportiva.
Dopo la laurea sono approdata a Radio24-Il Sole 24 e ho avuto, parallelamente, altre esperienze presso redazione nazionali.

L’Idea Magazine: Ora sei libero professionista e ghostwriter. Sei soddisfatta di questo tuo punto d’arrivo?
Federica Tronconi: Certamente. Lavoro con le Parole e con le persone, ambiti che amo e che mi interessano in modo naturale.

L’Idea Magazine: Dalla tua biografia è chiaro che le tue due passioni sono la parola scritta e la pallacanestro. Quale fu la passione che nacque prima e come? Come avvenne il seguente innamoramento?
Federica Tronconi: La pallacanestro è sempre stata nella mia vita. Ogni ricordo che ho del passato è legato al basket. È stata per me come una seconda famiglia. La mia passione non è tanto la parola scritta, quanto la Parola. Mi piacciono e mi incuriosiscono le varie modalità con cui si comunica, i tempi, lo stile. E mi appassiona a tal punto da averne fatto la mia professione e da aver studiato e cercato di capirne sempre di più.

L’Idea Magazine: A settembre scorso hai pubblicato il romanzo “Game Day”, che tratta di pallacanestro e di una relazione sentimentale tra un giocatore ed una giornalista. So che segui sempre le partite di pallacanestro e che sei una giornalista. C’è qualcosa di autobiografico nella trama del libro oppure è tutto frutto della tua fantasia?
Federica Tronconi: No, non c’è nulla di autobiografico. La storia nasce come omaggio ad uno sport, la pallacanestro che io amo profondamente. I personaggi sono nati proprio in funzione della storia. I punti di contatto con la mia vita personale sono le due professioni dei protagonisti che conosco molto bene: il giornalismo e la pallacanestro professionista.

L’Idea Magazine: Potresti offrirci una breve sinossi di “Game Day”?
Federica Tronconi: Certo. Cos’è il coraggio? La pallacanestro e il giornalismo si incontrano attraverso Andrea, giocatore professionista, e Stefania, inviata del quotidiano locale. Questi due mondi però fanno fatica a intrecciarsi, si avvicinano scontrandosi e generando nuovo caos, come due pezzi sbagliati di un puzzle. Tutto accade nell’arco della stagione sportiva di Firenze, squadra neo promossa nella serie maggiore nazionale di pallacanestro, e che sorprende tutti per audacia ed entusiasmo.
Ci sono esistenze, però, in cui i grandi snodi generano sofferenza. È proprio in questi momenti in cui la Vita prende energia, corpo e, attraverso i percorsi che decidiamo di intraprendere, scriviamo ciò che siamo. Perché il processo che ci porta a prendere una decisione consapevole, ad ogni età, significa cambiamento e crescita. Una storia di vita dove l’amore è l’evoluzione naturale e il basket uno dei protagonisti principali.

L’Idea Magazine: La tua recente fatica letteraria è “Il caso del gatto malandrino”, scritta per Univers Edizioni e illustrata da Maria Diletta Quadrini. Una pubblicazione, quindi, dedicata ai bambini, opera prima di una collana intitolata “I misteri dei fratellini”. Il libro è disponibile presso tale Casa Editrice e sul loro shop online. Federica, com’è nata l’idea di un libro per i più piccoli?
Federica Tronconi: Per caso, da un desiderio della mia nipotina più grande Emma. Una sera di fine estate i miei nipotini erano a cena da me e ho annunciato loro che avrei pubblicato il mio primo romanzo (Game Day). Emma era contenta ma alla fine mi ha detto “Zia, un altro libro per i grandi. Quando ne scrivi uno per i bambini, così ti posso leggere?” È nato tutto da qui, dal suo desiderio che io ho cercato di trasformarlo in un progetto.

L’Idea Magazine: Quale difficoltà hai incontrato nel passare da un romanzo per adulti ad una storia per i bambini?
Federica Tronconi: È molto più difficile, a mio avviso, scrivere per i bambini. Lo stile è diverso, la struttura della storia deve essere creata in un modo particolare in modo che funzioni. Ho lavorato sodo ma avevo un obiettivo: fare una sorpresa ai miei nipotini. Quindi avevo un bello stimolo che mi ha permesso di dare il meglio.

L’Idea Magazine: Hai altri progetti letterari in lavorazione al momento?
Federica Tronconi: Sto scrivendo la seconda storia de “I Misteri dei Fratellini” e poi dovrò lavorare su un racconto. Questa estate vorrei iniziare a lavorare sul mio secondo romanzo e dargli tutta la dovuta attenzione e importanza.

L’Idea Magazine: Potresti parlarci del tuo sito Ultimariga.it?
Federica Tronconi: L’ultima riga è un progetto online culturale nato circa dodici anni fa quando ho deciso di condividere in rete la mia passione per la lettura. Prima è nato il sito web (www.ultimariga.it) poi si sono agganciate collaborazioni spontanee e iniziative, sempre legate al mondo dell’editoria: incontri letterari, interviste, organizzazioni di eventi. Poi, a ruota, abbiamo creato anche un gruppo di lettura che si chiama ClubBooks (lo trovate su Facebook): una piccola community in cui parliamo in modo informale di libri con consigli, confronto, condivisioni, incontri online.
Il comune denominatore però è la condivisione della bellezza. Mi spiego: non leggiamo per fare una recensione positive o negativa. No, non ci interessa questo. A noi interessa trovare il bello che c’è in ogni libro e condividerlo.

L’Idea Magazine: Se dovessi definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Federica Tronconi: Creativa, introspettiva, curiosa.

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Federica Tronconi: Leggere tutti i libri della mia libreria.

L’Idea Magazine: Se tu potessi incontrare un personaggio del passato o del presente e porre qualsiasi domanda, chi sarebbe e che cosa chiederesti?
Federica Tronconi: Più che persone realmente vissute mi piacerebbe incontrare qualche protagonista dei romanzi. In particolare, mi piacerebbe incontrare D’Artagnan e i tre moschettieri, in una locanda francese, e mi farei raccontare, a loro modo, le avventure che li vedono protagonisti. Sarebbe affascinante e divertente.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Federica Tronconi: Se si legge si vivono più vite contemporaneamente.

Vivere in questa natura (il Parco Nazionale dell’Abruzzo) è l’anima dei miei romanzi… Intervista esclusiva con Maria Elisabetta Giudici

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Maria Elisabetta Giudici è nata a L’Aquila ma è vissuta a Roma. Di professione architetto, il suo primo romanzo, Il re di carta, edito da Lit Emersioni, ha vinto il premio Histonium 2019. Con il secondo romanzo La foresta invisibile, edito da Castelvecchi, ha vinto il premio Acqui Terme 2020, il premio inediti Etna Book 2020 e il premio Pegasus Cattolica 2021.

L’Idea Magazine: Buongiorno Betta (questo è il nome che usa con gli amici). Ti ringrazio per averci concesso questa intervista che metterà luce su di te e sui tuoi romanzi. Tu sei un architetto che si occupa principalmente di ristrutturazioni. Come sei arrivata alla scrittura di romanzi? Da quanto tempo hai scoperto questa tua passione?
Maria Elisabetta Giudici: Buongiorno a voi. Ho scoperto questa mia passione da soli tre anni, un giorno mentre tentavo di scrivere un sogno che avevo fatto qualche anno fa. Parola dopo parola è nato un romanzo di 200 pagine. Mi sono divertita e ne ho scritti altri due. Il quarto è in cantiere.

L’Idea Magazine: “Il re di carta” è il tuo romanzo edito da Lit Emersioni. Che cosa ti ha ispirato a scrivere questo tuo primo libro?
Maria Elisabetta Giudici: Questo mio primo libro è proprio il sogno che cercavo di scrivere. Abito in una zona d’Italia che nel 1800 è stata fortemente colpita dal fenomeno dell’emigrazione. Ho voluto proprio scrivere degli abitanti di questa zona, siamo vicinissimi all’abazia di Montecassino, distrutta durante la seconda guerra mondiale. Il libro parla di due emigrati, uno negli Usa l’altro in Nuova Zelanda, i cui nipoti tornano in Italia in cerca delle proprie radici.

L’Idea MagazinePotresti darci una breve sinossi de “Il re di carta”?
Maria Elisabetta Giudici: Certamente. È il 1861. Cesidio e Mario, pastori in Terra di Lavoro, sono incaricati in gran segreto dall’Abate di Montecassino di consegnare al Re Francesco II di Borbone una preziosa scatola, fondamentale per la salvezza del Regno delle Due Sicilie. Il piano non andrà nella direzione prevista. Si evocheranno dunque storie antiche di briganti, di emigrazioni, di terre lontane, di viaggi, di tesori nascosti, di felicità e delusioni. In mezzo alle turbolenze della Seconda Guerra Mondiale, Margherita, battagliera e consapevole e Dwight, irriducibile sognatore, accompagnati dalle loro insoddisfazioni raggiungeranno l’Italia da mondi lontani per rintracciare la preziosa scatola. Sulle tracce del proprio passato, alla ricerca del senso della propria esistenza, si sfioreranno appena senza riuscire a conoscersi, in un viaggio nei luoghi delle loro origini, vittime inconsapevoli di eventi tragici e coinvolgenti.

L’Idea MagazineIl tuo secondo romanzo, edito da Castelvecchi, ha vinto il premio Acqui Terme 2020, il premio inediti Etna Book 2020 e il premio Pegasus Cattolica 2021. Grandi risultati di critica, quindi. “La foresta invisibile” è anch’esso ambientato nel passato storico, cioè nel 1900. Fai molte ricerche prima di creare queste tue ricostruzioni storiche?
Maria Elisabetta Giudici: Assolutamente si. Cerco eventi e persone. Il romanzo storico richiede precisione e rigore. Mai sbagliare qualcosa nel romanzo storico. Si diventa immediatamente inattendibile.

L’Idea MagazinePotresti darci una breve sinossi anche de “La foresta invisibile”?
Maria Elisabetta Giudici: Una preziosa collana di corallo, dono d’amore di un pescatore siciliano alla sua donna, arriva, dopo un viaggio di cent’anni attraverso l’Europa, in una Parigi distratta dalle incredibili novità dell’Esposizione Universale del 1900, lasciandosi dietro una scia di amori travolgenti, tragiche rivoluzioni, avventure imprevedibili, vite spezzate. È in quel momento che fa la sua comparsa Giovanni che, con il coraggio dell’incoscienza, riuscirà a scrivere le pagine bianche di un oscuro complotto. Prigioniero delle sue indecisioni, incalzato dalle ombre dei suoi inseguitori, rischiando la vita e nel tentativo di prevedere le loro mosse, affronterà con astuzia e fermezza l’ansia dell’inevitabile.

L’Idea MagazineSei poi giunta a “I guardiani delle aquile”, il libro recentemente pubblicato da Castelvecchi. In esso ripercorri luoghi quasi ‘mistici’ per i viaggiatori, luoghi che hanno sempre avuto un grande fascino sugli italiani, vedi ad esempio i libri di Salgari. Anche tu sei sempre stata affascinata da quei luoghi?
Maria Elisabetta Giudici: Si. Luoghi magnifici e senza tempo, dove il movimento nomade è l’anima delle persone. Non un luogo ma tutti i luoghi, come territori espressivi di identità, come patria dell’anima, come tutto ciò che ci determina. Luoghi dove ci si innamora del loro muoversi tra deserti spietati e cieli di stelle, tante stelle come non siamo abituati a vedere. Luoghi dove la densità umana non esiste, dove non esiste lo sgradevole immergersi nell’eterna ripetizione di se stessi.

L’Idea MagazineLa sinossi del libro…
Maria Elisabetta Giudici: Due uomini attraversano le steppe dell’Asia centrale fino a incontrarsi, inconsapevoli comparse di una guerra di spie che, per buona parte dell’800, vide contrapporsi gli imperi coloniali di Gran Bretagna e Russia.
Tristan Ek, marinaio italo irlandese, imbarcato sul mercantile borbonico Clementina, diretto nelle Indie delle spezie, assiste impotente al misterioso eccidio dell’intero equipaggio. Inizia per lui un lungo viaggio dalla Malesia all’Uzbekistan, all’inseguimento frenetico di una promessa.
Arkadiy Makarov, ufficiale dell’esercito imperiale russo, parte da San Pietroburgo diretto in Uzbekistan, per una pericolosa missione diplomatica.
Il loro viaggio si mescolerà all’annodarsi di relazioni sorprendenti e uniche, immerso nel movimento perenne di un mondo sconosciuto, primordiale e di straordinaria bellezza, in una felicità naturale di generosa poesia.
I personaggi si muovono contaminati dalla natura predatoria di quello che fu chiamato il “Grande Gioco”, a consumare vite e a costruirne altre, tra felicità mai provate e dolori indicibili, in una terra di frontiera dalle infinite etnie.
Intorno le grandi carovane, i cosacchi, i cacciatori di schiavi e la steppa, un paesaggio immutabile, eterna preda del tragico destino di terra di conquista.

L’Idea Magazine: In che modo sta influendo sulla tua creatività e sulla tua vita un periodo come quello in cui viviamo, con il Covid19, la quarantena e l’isolamento?
Maria Elisabetta Giudici: Il Covid mi ha aiutato a concentrarmi perché siamo stati chiusi a casa per mesi. Per il resto l’isolamento e la quarantena mi hanno turbato. Io parlo di luoghi e non poter uscire per me è stato come perdere un anno di vita.

L’Idea MagazineVivi nel Parco Nazionale dell’Abruzzo. Quanto ti influenza la magnifica natura che ti circonda nel processo creativo dei tuoi romanzi?
Maria Elisabetta Giudici: Vivere in questa natura è l’anima dei miei romanzi. Io sono vissuta a Roma anche se non vi sono nata e penso sempre che se fossi stata in città invece che in questo paradiso non avrei potuto scrivere nemmeno una riga dei miei libri.

L’Idea Magazine: Nel Parco Nazionale gestisci anche un resort. Come ti è venuta questa idea? Sono sicuro che molti lettori italoamericani saranno interessati a saperne di più sulla ubicazione di tale resort e su ciò che offre…
Maria Elisabetta Giudici: L’idea mi è venuta perché ho una casa grande e noi, la mia famiglia, siamo in tre. Ho ristrutturato il casale dove abito e ne ho fatto un resort, frequentatissimo da emigrati in America, in Francia, in Inghilterra. Sono stati i loro racconti a riempire le pagine dei miei romanzi.

L’Idea Magazine: Hai dei progetti particolari in lavorazione dei quali vuoi parlare?
Maria Elisabetta Giudici: Sto scrivendo un quarto libro che parlerà sempre di ‘800 ma viaggerà in Africa, nel Mahgreb. È la storia di una ragazzina che parte in cerca della madre che l’ha abbandonata…ma non posso ancora parlarne troppo.

L’Idea Magazine: Se dovresti definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Maria Elisabetta Giudici: Naturalista, animalista, sognatrice.

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Maria Elisabetta Giudici: Un quarto libro migliore dei primi tre, un lungo viaggio in un territorio sconosciuto, un’opera architettonica…insomma un’utopia.

L’Idea Magazine: Se tu potessi incontrare un personaggio del passato o del presente e porre qualsiasi domanda, chi sarebbe e che cosa chiederesti?
Maria Elisabetta Giudici: Gengis Khan. E gli chiederei come ha fatto ad arrivare quasi al Mediterraneo.

L’Idea Magazine: Come passi il tempo libero?
Maria Elisabetta Giudici: Con i miei cani, in bicicletta e a restaurare mobili.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Maria Elisabetta Giudici: Leggete, leggete, leggete che leggere è come fare un grande meraviglioso viaggio.

Il desiderio di condividere la mia visione della vita mi ha spinto a scrivere “A cavallo verso nessuno”… Intervista esclusiva con Serena Guerra

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

L’Idea Magazine: Ciao Serena. Tu hai pubblicato un simpatico romanzo a titolo “A cavallo verso nessuno”. La sinossi del libro asserisce: “Gli eventi della nostra vita arrivano per caso o con uno scopo preciso? È ciò che cercherà di scoprire la protagonista, istruttrice di equitazione, praticante di arti marziali e donna ai ferri corti con Dio. Una storia per tutti, profonda ma anche ironica, che ci lascia con l’animo leggero e un sorriso sulle labbra.”
Tu sei istruttrice di equitazione e praticante d’arti marziali, allora, logicamente voglio chiederti quanto ci sia di te nel romanzo…
Serena Guerra: Ovviamente c’è molto di me. Molti aneddoti riportano fatti realmente accaduti, ma soprattutto mi appartiene l’atteggiamento che la protagonista assume verso i fatti della propria vita: la sua fiducia, la volontà di capire, di non sprecare le lezioni.

L’Idea Magazine: Oltre ad essere istruttore di equitazione inglese, sei anche giudice in varie competizioni di dressage. Ma all’equitazione come ci sei arrivata?
Serena Guerra: Arrivai all’equitazione per puro caso, spinta più che altro dal desiderio di provare qualcosa di nuovo. L’amore per i cavalli, in me, non è scaturito da fantastici sogni di bambina, ma si è piuttosto sviluppato e consolidato con la conoscenza, con il contatto e con i momenti vissuti assieme.

L’Idea Magazine: Sei anche presidente dell’associazione ASD “La mezza fermata”. Puoi parlarcene un po’
Serena Guerra: Fondai “La mezza fermata” con la speranza e l’intento di riuscire a trasmettere una “buona equitazione”, basata sulla capacità del cavaliere di comprendere, interpretare e convincere il proprio cavallo. Purtroppo la realtà è molto diversa, la maggior parte delle persone vorrebbe divertirsi senza impegnarsi troppo, e si finisce che il cavallo diventa uno strumento delegato a gratificare egoismo e vanità. Questo mi ha portato ad allontanarmi dal binario più commerciale del mondo dell’equitazione, l’associazione ha raggiunto numeri sempre più ridotti, e adesso mi dedico ad insegnare solo a poche persone che manifestino un reale desiderio ad imparare e siano disposte ad investire l’impegno necessario ad un vero percorso di apprendimento.

L’Idea Magazine: Pratichi anche arti marziali, in particolare il kung fu. Che cosa ti ha portato a questo? Quanto è rilevante nella tua vita questo sport?
Serena Guerra: Definirei il kung fu, più che uno sport, una disciplina. In esso, infatti, la parte fisica e mistica si intrecciano strettamente. Proprio questo aspetto mi ha attratto e mi ha portato ad abbracciare con entusiasmo questa attività. Così come l’equitazione, essa ha avuto un grande ruolo nella mia vita, e questa importanza è dovuta al fatto che entrambe queste discipline mi hanno stimolato a sforzarmi al massimo, cercando di dare il meglio di me stessa. Tutto ciò che ci porta ad impegnarci con volontà e tenacia è importante nella vita, non fa differenza di cosa si tratti. Ciò che conta è quello che scaturisce da noi.

L’Idea Magazine: Che cosa ti ha spinto a scrivere questo libro?
Serena Guerra: Il desiderio di condividere la mia visione della vita; perché si tratta di una visione piena di fiducia, di positività, e credo che ci sia molto bisogno di queste cose. Inoltre, c’è nel libro un invito a prenderci ciascuno la responsabilità del proprio destino, anziché delegarla sempre alla fortuna e alla sfortuna, a cercare soluzioni in altre persone. La vita è la nostra, dunque è con il nostro impegno, e non con altro, che possiamo determinarne il corso.

L’Idea Magazine: Tu hai pubblicato anche il romanzo “Orso” nel 2012. Che cosa ti ha ispirato a scrivere quel libro?
Serena Guerra: “Orso” fu un libro stampato, più che pubblicato. C’era l’intento di aiutare la causa del randagismo, e speravo in una calorosa partecipazione da parte delle associazioni animaliste. Purtroppo non fu così. Tuttavia, “Orso” resta una storia che amo molto, e prima o poi ci rimetterò le mani per trasformarla in un vero romanzo.

L’Idea Magazine: Una breve sinossi di quel libro?
Serena Guerra: Certamente. Orso è un cane. Un cucciolo come tanti, nato per strada, che come un moderno Zanna Bianca si dibatte nella giungla della crudeltà e della miseria per assurgere, infine, alla luce dell’amore. Ma Orso è anche il simbolo di una realtà troppo spesso ignorata e trascurata: quella del randagismo. La sua storia è la storia di tutti coloro che lottano per difendere le creature più indifese ed egli, come un catalizzatore di emozioni, diviene il filo conduttore verso cui convergono le storie degli “umani” che ruotano come pianeti nel cosmo della sua vita. Un’avventura a lieto fine che sa commuovere, una fiaba con l’amaro sapore della realtà ma che ci ricorda di non perdere mai la speranza.

L’Idea Magazine: Hai dei progetti particolari in lavorazione dei quali vuoi parlare?
Serena Guerra: Sto lavorando ad un manuale di equitazione, e come ho appena detto mi piacerebbe anche rimettere le mani su “Orso”. Ma sto sempre più imparando l’importanza di vivere appieno il presente, piuttosto che distrarsi pensando ad un futuro che, alla fine, chissà se verrà, e se verrà chissà come sarà veramente. Faccio un passo alla volta, cercando di rimanere concentrata, di calarmi nel momento. Fare ogni giorno il meglio che posso è il mio vero obbiettivo. Il resto verrà da sé.

L’Idea Magazine: In che modo sta influendo sulla tua creatività e la tua vita un periodo come quello in cui viviamo, con il Covd19, la quarantena e l’isolamento?
Serena Guerra: In realtà influisce abbastanza poco, dal momento che io vivo molto all’aria aperta e non ho una vera vita sociale. Mi piace stare da sola e in mezzo alla natura. Basta che mi lascino uscire di casa per fare una passeggiata in un bosco, ed io sono a posto.

L’Idea Magazine: Se dovessi definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Serena Guerra: Oddio, Credo che nessuno meriti di essere definito con tre aggettivi. Tre aggettivi non bastano neppure per definire la tastiera del computer, figuriamoci una persona. Ti dirò, invece, quali potrebbero essere tre aggettivi che, in qualche modo, mi si addicono.
Onesta: detesto la menzogna, mentire mi fa star male con me stessa.
Schietta: mi piace esprimermi in modo diretto, chiaro: meglio brusca che incomprensibile.
Creativa: mi piace escogitare soluzioni, costruire cose, praticare forme d’arte.
Ecco, questi sono tre aggettivi che mi stanno bene addosso, per quanto siano ben lungi dal definirmi.

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Serena Guerra: Non ho sogni nel cassetto. I miei sogni sono tutti fuori dal cassetto: mi piacerebbe diventare più saggia, imparare sempre meglio a vivere questa fantastica vita, che troppo spesso trasformiamo in inferno guardandola con occhi sbagliati.

L’Idea Magazine: Se tu potessi incontrare un personaggio del passato o del presente e porre qualsiasi domanda, chi sarebbe e che cosa chiederesti?
Serena Guerra: Mi piacerebbe incontrare Joseph Conrad, e passare con lui una serata in un pub di qualche porto, ascoltando racconti di vecchi lupi di mare. Credo sarebbe un’esperienza grandiosa. Per il resto, che domande fare, e a chi? Le uniche risposte che contano, sono quelle che noi stessi sappiamo darci.

L’Idea Magazine: Come passi il tempo libero?
Serena Guerra: Come ho già detto, mi piace stare a contatto con la natura: passeggiare nei boschi, in mare, in montagna, fare giardinaggio. Mi rilassa molto dedicarmi a queste attività in silenzio, da sola. Natura, solitudine e silenzio sono i miei elementi rigeneranti.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Serena Guerra: Spero che leggerete il libro e che, se lo leggerete vi piacerà. Spero che, se siete tristi, riuscirà a sollevarvi, che se siete annoiati riuscirà a divertirvi; e se siete scettici, che vi faccia nascere almeno qualche dubbio.

Ho ritrovato una parte delle mie radici nella cura degli alveari. Intervista esclusiva con l’autore e apicoltore Francesco Colafemmina.

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Francesco Colafemmina è nato a Roma nel 1980. Laureato in filologia  classica ha frequentato la scuola di giornalismo della RAI per poi dedicarsi  all’attività imprenditoriale nel settore dell’energia e dell’agricoltura  sostenibile. I suoi interessi spaziano dal mondo classico all’arte e alla  spiritualità. Continua  ad associare l’attività pubblicistica al proprio impegno verso l’ambiente,  attraverso la sua azienda di apicoltura biologica. 

L’Idea Magazine: Buongiono Francesco. Tu possiedi un azienda di apicoltura biologica.Come sei arrivato dalla frequentazione della scuola di giornalismo della RAI all’attività imprenditoriale nel settore dell’energia e dell’agricoltura sostenibile?
Francesco Colafemmina: Buongiorno a voi, e grazie per il vostro interesse. È certamente una lunga storia, ma diciamo in premessa che in un mondo sempre più analitico, dove la specializzazione fa l’individuo, continuo a professare l’ideale rinascimentale dell’uomo che al mattino cura i suoi campi, il pomeriggio discute della politica del suo paese, e a sera si immerge negli studi. Qualcosa del genere… Sono sempre stato refrattario agli ordini di scuderia, alle obbedienze e ai conformismi, perciò ho preferito dedicarmi alla consulenza aziendale in una fase molto dinamica della mia vita, quando viaggiavo di qua e di là, esplorando una settimana le terre della Tessaglia per realizzare impianti fotovoltaici, quella successiva le colline attorno a Costanza sul Mar Nero per issare anemometri per l’eolico, e l’altra ancora volando nell’isola di Terranova per un convegno sul trasporto del gas compresso. Dopo diversi anni mi sono reso conto che i paesaggi, i campi ora fioriti ora arati esercitavano su di me un profondo richiamo alle origini, alla civiltà dei miei nonni. La scoperta delle api, della loro società ordinata e coesa, è stata poi una vera e propria rivelazione. Ho lasciato tutto il resto e ho ritrovato una parte delle mie radici nella cura degli alveari.

L’Idea MagazineNel 2017, per ‘Apinsieme-Rivista Nazionale di Apicoltura’, hai pubblicato “Le Api e Noi”, una approfondita storia sociale delle api e del miele. Ti affascinano molto le api?
Francesco Colafemmina: Sono creature meravigliose, fatte di perfezione. Alle volte mi capita di contemplarne una ferma sulla mia mano per un’improvvisa esigenza di riposo. La osservo e rifletto su quanto l’essere umano sia per molti versi una creatura irrisolta, imperfetta, spesso una minaccia per se stesso e per le altre creature. L’ape no. L’ape è l’emblema di una intelligenza superiore che anima il cielo e la terra. E infatti questo piccolo insetto racchiude in sé il mistero di entrambi i mondi, del sole che trae a sé i fiori, della terra che li nutre. E realizza un prodotto unico, straordinario, come il miele, dolce sintesi di estati e primavere.

L’Idea Magazine: Oltre a ciò, tu continui con la tua attività di giornalista pubblicista e, chiaramente, di autore. Essendo laureato in filologiaClassica, il tuo libro del 2007, “Dialoghi con un Persiano di Manuele II Paleologo” mi sembra tratti di un argomento ben mirato. Potresti parlarcene?
Francesco Colafemmina: In uno dei miei tanti viaggi in Grecia, quando esisteva ancora Alitalia e distribuiva i quotidiani in volo, mi capitò fra le mani una copia del Corriere della Sera che riferiva di una lectio magistralis di papa Benedetto XVI a Ratisbona nella quale il grande teologo rimarcava come le radici del Cristianesimo affondassero anche nell’ellenismo e citava questi sconosciuti dialoghi dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo. Appena misi piede a terra chiamai un mio amico che lavorava per Rubbettino e gli proposi di pubblicare una traduzione inedita di quei dialoghi. Fu una esperienza entusiasmante. Benedetto XVI richiamava, sulla scorta di Manuele II, la dimensione di intima convinzione spirituale racchiusa nella conversione: opera del cuore e della ragione, non della costrizione o della spada. L’imperatore bizantino era all’epoca dei suoi dialoghi ostaggio del Sultano e discettava di religione con un dotto musulmano persiano, ma non aveva difficoltà nel sottolineare le storture di una religione imposta con la violenza e la sottomissione. All’epoca la prolusione del papa suscitò aspre critiche ma anche numerosi consensi nello stesso mondo musulmano. Tuttavia, a distanza di quattordici anni da quel momento, sembra che tutto sia finito nel dimenticatoio, e non perché gli eccessi del fondamentalismo siano spariti, ma perché il nostro mondo sembra aver sostituito ormai la fede in una religione con i tanti talismani tecnologici che ingombrano le nostre esistenze, e le plasmano costringendole a tenere gli occhi rivolti verso il basso, verso uno schermo, sicché la fede sembra svanire in una vaga memoria del passato. Gli antichi dicevano: motus in fine velocior. Un’accelerazione terminale della nostra civiltà.

L’Idea Magazine: Trovi difficoltà a gestire l’aspetto imprenditoriale e ritenere la tua attività di scrittore oppure essere immerso nella natura ti aiuta a creare ancor più?
Francesco Colafemmina: Certamente aiuta a riflettere. L’apicoltura è mestiere solitario e anarcoide, simile alla pastorizia per molti versi. Chiaramente nella fase produttiva, da marzo a luglio, è molto difficile combinare le due cose, fra viaggi notturni con le api alla ricerca di nuovi pascoli, e mattutine visite agli alveari, posa e ritiro dei melari, smielatura, etc. Tuttavia quei mesi sono come un lievito. Qualcosa matura dentro, mentre senti il vento sul viso, mentre sudi sotto il sole, mentre aggrotti la fronte per una puntura inaspettata. Ma la scrittura non è un mestiere, è una passione – per ritornare all’uomo rinascimentale. Per certi versi anche l’apicoltura lo è. Quindi le cose sono molto più intrecciate di quanto possa sembrare.

L’Idea Magazine: Hai seguito nel 2010 con l’inchiesta artistico-giornalistica “Il Mistero della chiesa di San Pio”. Di che mistero si tratta?
Francesco Colafemmina: È il mistero della simbologia “esoterica” di molte opere d’arte e d’architettura sacra che non nascono in un contesto religioso, ma laico o addirittura anticattolico.  Per alcuni anni ho gestito un blog di successo dedicato all’arte e all’architettura sacra. Una esigenza nata a partire da esperienze di personale orrore dinanzi a chiese che sembrano hangar o opere d’arte sacra che sembrano caricature dell’arte. Il santuario di San Pio a San Giovanni Rotondo, realizzato dall’archistar Renzo Piano, mi parve un esempio straordinario di questo corto circuito fra committente ed artista/architetto, che altera in maniera definitiva il significato di uno spazio o di un’opera che dovrebbero invitare alla preghiera e che in realtà assumono i tratti individualistici e micragnosi delle laicissime forme d’arte e architettura contemporanee. Ma anche qui il vento è cambiato da un giorno all’altro. E la confusione è cresciuta così tanto che un giorno ho deciso di cancellare per sempre il blog. Ne resta sostanzialmente questo libro inchiesta, quale frutto più maturo.

L’Idea Magazine: Sempre stando nell’era classica, hai anche pubblicato “Storia del Matrimonio nella Grecia classica”. Non mi sarei mai immaginato che un soggetto tale potesse avere diramazioni sufficienti per un libro… Come ti è sorta l’idea per il libro e quanta ricerca hai dovuto fare al proposito?
Francesco Colafemmina: Perché ci sono numerosissimi pregiudizi a riguardo. Pregiudizi contemporanei sui costumi sessuali degli antichi e sulla creazione “religiosa” del vincolo matrimoniale. In realtà, se scaviamo nel passato, scopriamo che talune istituzioni fondamentali come il matrimonio sono radicate nella civiltà greco-romana, con legami simbolici fortissimi e tuttora operanti, come il velo o l’anello.  E i costumi degli antichi non erano poi così rivoluzionari come si tende a pensare. La libertà sessuale era riservata ad una ristretta cerchia aristocratica, la stessa che la accreditava attraverso la letteratura o la filosofia. Il popolo, la massa anonima, era spesso molto più bigotta di quanto si possa immaginare. D’altro canto è questo uno dei segni caratteristici delle civiltà contadine.

L’Idea Magazine: “La Democrazia di AteneStoria di un mito” è il tuo libro del 2020. Intende essere un punto di riferimento per chi studia la storia della democrazia o della Grecia antica?
Francesco Colafemmina: Non direi, non ho simili pretese. Ma di sicuro non esisteva in Italia un testo che ricostruisse le origini e lo sviluppo della democrazia ateniese seguendo un po’ le tracce della grande scuola elitista italiana (quella per intenderci di Mosca, Pareto e Michels). L’assunto di fondo è che il sistema democratico – cosa in generale condivisa dagli storici – non fu mai una creazione dal basso, ma una composizione di interessi elitari. Dalla mia analisi emerge inoltre che le élites che “inventarono” la democrazia ateniese erano élites ribelli rispetto all’aristocrazia terriera classica. Permeate dallo scetticismo e dal razionalismo della sofistica, in un rapporto osmotico con la cultura del grande antagonista degli Elleni, l’impero Persiano, strutturarono una forma politica creativa e in perpetuo divenire, ma assai meno stabile e “democratica” di quanto possa sembrarci. Così anche oggi che viviamo in democrazie “formali” non possiamo accontentarci di una formula, di un meccanismo apparentemente in grado di rappresentare i cittadini, perché oggi tutte le democrazie occidentali sono minacciate dalla tecnica, da nuovi pervasivi metodi di controllo che limitano o sono in grado di limitare le nostre libertà fondamentali. Così lo studio del passato e delle sue contraddizioni può aiutarci a trovare una via per rimettere in equilibrio una pericolante struttura democratica, sempre più inclinata verso nuove tirannidi.

Il 14 gennaio del 1506 l’incontro con il Laocoonte trasformò Michelangelo in nuovo Enea. Prese su di sé l’eredità dell’antico e la tradusse in una forza nuova, talmente avanzata da confondere i suoi contemporanei. ENIGMA LACCOONTE analizza tutti gli ingranaggi di questa intricata vicenda, ne ricostruisce il contesto storico e culturale, richiamando la dimensione simbolica del Laocoonte e il suo messaggio spirituale e politico.

L’Idea Magazine: “Enigma Lacoonte” è il tuo ultimo libro, che possiamo definire un “giallo artistico”… Pensi di pubblicare anche una versione in inglese?
Francesco Colafemmina: Al momento non è prevista una traduzione, ma sarebbe certamente un valido strumento per ampliare la discussione sulle diverse questioni ancora aperte relative al Laocoonte vaticano.

L’Idea Magazine: Qual è il personaggio (o quali sono i personaggi) del passato che ti affascina(no) di più?
Francesco Colafemmina: Ve ne sono di innumerevoli. Chiunque ami la storia e la lettura per certi versi fa come Zenone di Cizico. Il grande filosofo stoico era in realtà un mercante di origini fenicie. Un giorno perse il suo carico di porpora in un naufragio, mentre lo aspettava nel porto di Atene. Così, decise di farsi indirizzare nella sua vita dall’Oracolo delfico. E la Pizia gli disse soltanto: “mettiti in comunicazione con i morti”. Con questo intendeva indicargli la riscoperta dei grandi sapienti del passato. Per certi versi ognuno di noi sa che il passato è un luogo abitato da intere comunità di amici. Ricordo ancora il mio professore di letteratura cristiana antica chiamare Omero “nonno” e Virgilio “zio”, come se fossero tutti membri di una nostra intima famiglia spirituale.

L’Idea Magazine: Nel 2011 hai anche pubblicato il tuo primo romanzo, “La Serpe fra gli ulivi”.  Dai libri di soggetto storico o eco-biologico, ambedue soggetti pertinenti ai tuoi studi e attività imprenditoriali, sei anche arrivato al romanzo. Che cosa ti ha spinto a scriverlo?  Qual è la trama?
Francesco Colafemmina: È un thriller sui generis ambientato in Puglia, scritto quando la Puglia si proiettava come regione del turismo e delle tradizioni, mentre in realtà sotto questa patina dorata si nascondeva spesso un mondo di corruzione e mafia, di droga e “allegra” imprenditoria. La Serpe fra gli Ulivi è un racconto di un microcosmo ancora molto attuale. E tra l’altro contiene una “profezia”: quella dell’elezione del papa latinoamericano…

L’Idea Magazine: Quest’anno è attesa la pubblicazione del tuo secondo romanzo, “Con lo stesso sguardo”. Di che cosa tratta?
Francesco Colafemmina: In realtà “Con lo stesso sguardo” uscirà forse nel 2022. A breve è invece attesa l’uscita di un altro romanzo, “La Guerra non è finita”. Un romanzo distopico che narra le vicende di una generazione di trentenni che improvvisamente, venuti a contatto con oggetti appartenuti ai loro nonni, iniziano a sognarli. E questi sogni si traducono in una rivoluzione, una “rivolta contro il mondo moderno”. Usciranno dalla gabbia del fatalismo, per accendere la fiammella della speranza.

L’Idea MagazineChi è lo scrittore o scrittrice al quale senti più affinità? E quale pensi ti abbia influenzato di più?
Francesco Colafemmina: Indubbiamente Dino Buzzati, scrittore che amo più di ogni altro, italiano e straniero. Ma oltre Buzzati ce ne sono molti altri, come ad esempio lo sconosciuto ai più Marcello Gallian, straordinario autore di romanzi dalle tonalità decadenti e a tratti surrealiste nel pieno degli anni ’30. E poi c’è la mia passione per la letteratura greca moderna, da Papadiamandis a Myrivilis, passando per poeti come Karyotakis e Sarandaris.

COLAFEMMINA SULLA COPERTINA DELLA RIVISTA “VATICAN”

L’Idea Magazine: Hai altri progetti letterari in lavorazione?
Francesco Colafemmina: A marzo per i tipi di Settecolori sarà pubblicata la mia traduzione di un capolavoro della letteratura neogreca, ‘Il Numero 31328” di Ilias Venezis. Un omaggio ai greci dell’Asia Minore vittime del genocidio del 1922. Un’opera piena di tristezza, intrisa di crudeltà, e nello stesso tempo carica di nostalgia e tenerezza che viene per la prima volta proposta ai lettori italiani dal 1931, anno della sua prima pubblicazione.

L’Idea Magazine: Qual è il libro scritto da te con cui ti identifichi di più, e perché?
Francesco Colafemmina: Una bella domanda! Certamente i romanzi sono i luoghi della scrittura nei quali si racconta molto di sé, e si è più liberi di lasciare tracce che poi il lettore dovrà seguire.

Alle volte la solitudine può essere una opportunità.

L’Idea Magazine: Si parla di ‘sindrome da isolamento’ causata da Covid. Tu ne hai risentito?
Francesco Colafemmina: Grazie alle api ho sofferto poco di questa sindrome. La libertà di movimento ha permesso all’apicoltore di continuare indisturbato i propri spostamenti notturni di alveari, di colloquiare con la natura e di impegnare all’aria aperta i propri giorni. Un grande astrologo francese che nel 1993 predisse la pandemia, André Barbault, parlava tuttavia in relazione al 2020 di un momento di grande “introspezione” dell’uomo. Alle volte la solitudine può essere una opportunità. Mi rendo tuttavia conto che la solitudine forzata sia stata per molti di noi soltanto uno spreco, condita com’era da angosce, incertezze e paure costantemente alimentate da ogni mezzo di comunicazione. Il fatalismo ci avvince, e la speranza si rifugia nel sogno.

L’Idea Magazine: Se tu avessi l’opportunità di parlare con un individuo del passato, chi sarebbe e che cosa chiederesti?
Francesco Colafemmina: Mi piacerebbe incontrare Solone e potergli chiedere cosa esattamente gli dissero i sacerdoti egizi in merito alla vicenda di Atlantide. Naturalmente gli chiederei anche come sia riuscito a spianare la strada alla democrazia ad Atene. Poi finiremmo con l’invitare un po’ di amici al simposio, qualche bella flautista, e si chiacchiererebbe fino al mattino. Sveglio, mi renderei conto che è stato solo un sogno, ma almeno mi piacerebbe poter ricordare le sue parole su Atlantide…

L’Idea Magazine: Potresti cercare di definire te stesso con tre aggettivi?
Francesco Colafemmina: Curioso, testardo, sognatore.

Mi affido allo stupore che la vita mi riserva giorno per giorno.

L’Idea Magazine: Oltre l’apicoltura e la letteratura, hai altri interessi?
Francesco Colafemmina: Un tempo ballavo il tango; dopo diverse partner che non apprezzavano, ho appeso le scarpe al chiodo… Mi limito ad ascoltare la buona musica. E amo cucinare, naturalmente cucina greca…

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Francesco Colafemmina: Mi affido allo stupore che la vita mi riserva giorno per giorno.

L’Idea Magazine: Un messaggio per i nostri lettori?
Francesco Colafemmina: Coltivate la speranza, non smettete mai d’essere curiosi, ricercate sempre la bellezza.

“Ero in realtà interessato alla scrittura, ma pian piano il morbo della batteria ha prevalso, in quei lontanissimi anni…” Intervista esclusiva con Francesco Cusa [L’IDEA MAGAZINE 2021]

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Francesco Cusa, batterista, compositore, scrittore, nasce a Catania nel 1966. Si trasferisce a Bologna nel 1989, dove si laurea al Dams nel 1994. Il suo percorso artistico lo porterà a suonare, negli anni, in Europa, America, Asia e Africa. Da sempre interessato all’interdisciplinarità artistica, è anche scrittore di racconti, romanzi e poesie.

L’Idea Magazine: Buongiorno Francesco. Allora, tu hai iniziato i tuoi studi musicali con il piano, poi sei invece passato alla batteria. Che cosa ti ha spinto al cambiamento?
Francesco Cusa: È stato del tutto casuale, giacché dopo il diploma chiesi in regalo una batteria per puro sfizio. Ero in realtà interessato alla scrittura, ma pian piano il morbo della batteria ha prevalso, in quei lontanissimi anni.

L’Idea Magazine: Da Bologna, dove ti sei laureato, il tuo percorso artistico ti ha portato in molte parti del mondo. Lo hai fatto sempre con il collettivo bolognese “Bassesfere”?
Francesco Cusa: Certamente, come musicista, una svolta è stata la mia decisione di trasferirmi da Catania a Bologna alla fine degli anni Ottanta, nella Bologna ancora pregna dell’humus della ricerca e intrisa di fermento. Erano gli anni della “Pantera”, delle lezioni al DAMS con Eco, Nanni, Celati, Clementi, Donatoni, gli anni della nascita di importanti collettivi artistici come quello di “Bassesfere”, di cui sono uno dei fondatori. È parte di un percorso che si dipana fra studi di batteria, concerti con Steve Lacy, Tim Berne, Kenny Wheeler, i tour per ogni dove, la creazione dei miei progetti da leader come “66sixs”, “Skrunch”, “The Assassins”, “Naked Musicians”, fondazione di una label e di un collettivo come Improvvisatore Involontario, l’insegnamento in conservatorio… Bassesfere ha rappresentato simbolicamente il senso del collettivo artistico, ancora prassi e laboratorio in quei fervidi anni.

L’Idea Magazine: Potresti parlarci del progetto artistico “Improvvisatore Involontario”?
Francesco CusaImprovvisatore Involontario nasce da una duplice esigenza. Da un lato la necessità di produrre musica senza dover “dipendere” dalle scelte di altre label (o dagli eventuali rifiuti). Dall’altra da una passione viscerale per le musiche contemporanee, nel tentativo di fare emergere ciò che continuerei a definire “underground”, senza tema di smentita. Per molti anni siamo stati un collettivo aperto, e abbiamo avuto decine e decine di iscritti da tutto il mondo. Poi, dopo esperienze memorabili, quale l’organizzazione di un tour americano e di tantissime rassegne, abbiamo deciso di esistere in quanto label, attualmente gestita da me, Mauro Medda e Paolo Sorge.

fc and the assassins

L’Idea Magazine: In questo momento fai parte di vari gruppi jazzistici…
Francesco Cusa: Attualmente sono leader dell’FCT TRIO con Tonino Miano e Riccardo Grosso, del FRANCESCO CUSA & THE ASSASSINS con Domenico Caliri, Giovanni Benvenuti, Ferdinando Romano, dell’ensemble: “NAKED MUSICIANS”, del progetto di sonorizzazione di film d’epoca “SOLOMOVIE”, dello spettacolo “DRUMS & BOOKS”, co-leader dei THE LENOX BROTHERS (Cusa/Mimmo/Martino) dei “THE BLACK SHOES” in duo con la flautista Giorgia Santoro, e dello spettacolo musical-teatrale “MOLESTA CRUDELTÀ”. in trio batteria e voce insieme alle attrici Alice Ferlito e Laura Giordani.  Il mio Naked Musicians” è un metodo di conduction musicale che è stato realizzato in varie parti del mondo e da cui è stato tratto anche un libro di teoria musicale sulla “conduction”, chiamato, appunto “Naked Performers”.

L’Idea Magazine:Il tuo NAKED PERFORMERS: “Elementi di Conduction” è un libro di teoria musicale. A che cosa fa riferimento?
Francesco CusaNaked Musicians è una forma di orchestrazione e direzione dell’improvvisazione collettiva, che rinforza il sottile legame fra la tradizione della musica classica e quella del jazz creando uno spazio intermedio tra la notazione e l’improvvisazione, nonché permettendo l’acquisizione di nuove competenze e prospettive. Tramite ciò è possibile identificare e sfruttare i punti deboli e quelli di forza di entrambi e rappresentare le limitazioni che hanno fra loro. Naked Musicians è un vocabolario di segni ideografici e gesti utilizzati per costruire un arrangiamento o una composizione in tempo reale. Ogni simbolo trasmette informazioni per l’interpretazione da parte del musicista o del collettivo in modo da dare le possibilità di modificare armonie, melodie, ritmi, articolazioni, un fraseggio o forme.

L’Idea Magazine: Componi anche musica, mi pare…
Francesco Cusa: Sì certo, da sempre.

L’Idea Magazine:Nella composizione di brani musicali, chi è stato il musicista che ti ha influenzato di più?
Francesco Cusa: Tim Berne senza dubbio, ma come non citare anche Zappa, Bartok, la musica seriale, ecc. In Italia sono stato fortunato ad avere studiato con Alfredo Impullitti e Domenico Caliri.

L’Idea Magazine: Insegni anche al Conservatorio di Reggio Calabria, dopo molti anni di insegnamento presso i conservatori di Benevento, Monopoli, Frosinone, Lecce. Trovi una differenza sostanziale nell’insegnare la batteria jazz con, per esempio, la batteria rock and roll?
Francesco Cusa: Nella sostanza no. Nella forma ci sono sostanziali differenze che occorre focalizzare al fine di “liberare” l’allievo dalle dipendenze dei vari stili.

L’Idea Magazine: Oltre alla musica, tu hai anche avuto molte esperienze letterarie. Di che cosa tratta il tuo primo libro, “Novelle crudeli” (2014)?
Francesco Cusa: Mi piace riportare i pareri di alcuni lettori che rispecchiano le mie intenzioni“Uomini incompresi ma compiaciuti di essere portati sul baratro della routine di coppia, personaggi ambigui, logorroici, consapevoli della propria bruttezza o della disonestà delle proprie azioni. In questo ritmo spasmodico denso di caratteri a volte molto differenti tra loro, trascende una lucida consapevolezza della condizione umana, con i difetti e le virtù che la contraddistinguono, e la “crudeltà” nel titolo, non estromette il lirismo che tra le righe si riesce a cogliere. Non vi aspettate banalità ma lasciatevi trasportare da una disperata follia in cui, con fascino dissacrante, la morte corporale o spirituale, denota in verità un cambiamento, l’inizio di una mutata esistenza”.
Francesco ama le donne. Donne cantate e musicate nelle sue novelle. Donne dai diversi ritratti psicologici che non si stanca di sottolineare. Incedono con i loro vestiti, talvolta macchiati di sangue, in un tramonto colmo di liberazione. Nei suoi racconti è presente sempre il lato oscuro del dolore. Il dolore agghiacciante, terribile, squarciante come lama sottile. Il dolore narrato, il dolore indicibile… “è forse questo canto, questa tenue melodia che nella notte si fa strada vezzosamente una carezza di mia madre …”

L’Idea Magazine: Con “Racconti molesti” del 2017 che intenzioni avevi?
Francesco Cusa: Dopo la crudeltà sentivo il bisogno di esplorare il territorio della molestia. Come qualcuno ha ben scritto a proposito del libro: “è un libro in cui ci sono ‘amore’, ‘donne’, ‘esseri sovrannaturali’ e – ovviamente − l’Autore, ma − essendo un libro di racconti molesti − nessuno dei summenzionati è come ci si aspetterebbe, o si desidererebbe”. Amo costruire trappole semantiche in cui far precipitare il lettore. Sono alla ricerca di un senso nell’assurdo, per tale ragione ordisco tranelli, utilizzando magari una trama particolarmente accattivante, ma sempre con lo scopo di escogitare un trucco che rimanda sempre a un altrove rispetto alla trama.

L’Idea Magazine: Di che cosa tratta “Stimmate”, il tuo libro del 2018?
Francesco Cusa: È una raccolta poetica, la mia seconda delle quattro finora edite. Si tratta di un lavoro concettuale molto certosino, suddiviso in ben tre sezioni: Stimmate, Rime Sbavate e Rizoma che, come ha ben scritto il critico Patrizio De Santis, comprendono il tema del radicamento: “La radice è il punto focale di tutta la struttura di questa opera poetica, e si tratta in verità di un rizoma lirico invisibile, poiché nella concezione spirituale e essenziale dell’ Essere come parte della Radice regna l’ invisibile, che è al di là del reale. Sono odi e canti profondamente visionari, pervasi di un aspetto mistico, come ci suggerisce l’eponimo titolo che svetta sulla copertina del libro, dove si intravede una mano metallica e virtuale attraversata da un foro che sta ad indicare la passione del Cristo. Lettura veloce, non complessa ma cantabile e musicale”.

L’Idea Magazine:Altro libro importante della tua carriera letteraria è “Il surrealismo della pianta grassa” (2019). Che argomento tocca?
Francesco Cusa: è una sorta di pamphlet, di zibaldone che riassume tutti i generi letterari in cui mi sono cimentato: la poesia, il racconto, il piccolo saggio, l’aforisma… una sorta di diario romanzesco e picaresco delle mie avventure nel mondo. Altamente consigliato.

L’Idea Magazine:È da poco uscito in libreria il tuo ultimo romanzo, “Vic”. Potresti parlarcene?
Francesco Cusa: Vic è un ragazzo-uomo maturo-anziano che vive la sua schizofrenica vita di scrittore in un luogo immaginario del Sud dell’Italia: Cotrone. È un personaggio che rappresenta il trauma irriducibile, il caso clinico principe oggetto delle ricerche dei freudiani. Fortunatamente lui se ne sbatte di tali indagini, giacché egli rappresenta il cortocircuito di ogni narrazione clinica volta all’individuazione del caso topico, del “problema” su cui orchestrare la riuscita di un progetto teorico. In questo senso Vic nasce per ridonare all’Occidente l’aura mitica della legge di natura, ciò che prevale rispetto alla legge morale; in buona sostanza per restituire l’uomo alla sua sacralità. Forse è giunto per consentirmi di esplorare alcuni aspetti oscuri della mia coscienza.

L’Idea Magazine:Stai lavorando ad altri romanzi al momento?
Francesco Cusa: Ho appena terminato il mio ultimo romanzo, “2056”, ambientato appunto in un futuro distopico, di cui preferisco non rivelare nulla. Spero di trovare una casa editrice per farlo uscire nel 2022. Inoltre, ho già pronte altre due raccolte poetiche che, per ora, sto tenendo nel cassetto.

L’Idea Magazine: La tua attività di musicista continua nonostante il Covid o ne ha sofferto molto?
Francesco Cusa: Naturalmente abbiamo sofferto tutti, adesso stiamo pian piano riprendendo a suonare con continuità.

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Francesco Cusa: Vedere che succederà nel 2056 e riavere indietro i miei capelli.

L’Idea Magazine: Se dovessi definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Francesco Cusa: Ambiguo, straniante, generoso.

L’Idea Magazine:Se avessi l’opportunità di poterti incontrare con un personagiio del passato  o del presente, qualsiasi persona, chi sarebbe e che cosa vorresti chiedere?
Francesco Cusa: Certamente Socrate. Gli direi se, alla luce dei fatti ai giorni nostri, sceglierebbe ancora di bere la cicuta.

L’Idea Magazine:Un messaggio per i nostri lettori?
Francesco Cusa: Seguite sempre i vostri deliri, non accontentatevi mai, dubitate sempre e… comprate i miei libri!

“La poesia è viva, fertile e vivace…” Intervista esclusiva con il poeta Fabio Strinati. [L’Idea Magazine July 2021]

Intervista di Tiziano Thomas Dossena

Fabio Strinati (San Severino Marche, 19 gennaio 1983) è un poeta, scrittore, pianista e compositore italiano. Autore di numerose raccolte poetiche, è presente in diverse riviste e antologie letterarie. Sue poesie sono state tradotte in romeno, in bosniaco, in spagnolo, in albanese, in francese, in inglese, in catalano e in lingua croata.

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Tiziano Thomas Dossena: Fabio, hai debuttato come poeta nel 2014 con il libro «Pensieri nello scrigno. Nelle spighe di grano è il ritmo». Che cosa ti ha spinto a scrivere le poesie di quella raccolta e ad iniziare la tua vita di poeta?
Fabio Strinati: La verità è questa: dentro di me (in maniera piuttosto corpulenta), avevo
come una sorta di guazzabuglio senza né capo né coda; percepivo il caos. La mia mente assomigliava ad una stanza immersa nel disordine, e i miei pensieri, erano come in rivolta: tutto, si muoveva all’interno di un turbinio perfettamente fuori controllo. Ecco, il mio primo libro non è altro che lo sfogo di una persona fuori controllo, “non compos sui”.

“La poesia, è al pari di una pastiglia per me: è pura ed essenziale terapia.”

Tiziano Thomas Dossena: Tu curi una rubrica poetica dal nome «Retroscena» sulla rivista trimestrale del «Foglio Letterario». Puoi parlare un po’ di questa tua esperienza?
Fabio Strinati: Si tratta di una rubrica semplice e frugale, spontanea, senza fronzoli né orpelli, dove giovani poeti e non, esprimono le proprie libertà poetiche attraverso una sensibilità di fondo. “Retroscena” è un luogo ospitale, una stanza dove poter creare quadri, e affreschi di parole. Ma… è l’intera rivista del “Foglio Letterario” ad essere un luogo speciale. Un autentico capolavoro. E ad essere sincero, il merito di tutto questo è di Gordiano Lupi: scrittore, editore dal 1999, traduttore, finalista per ben due volte al Premio Strega. Un uomo di grande cultura, di grandissima sensibilità. Ha tradotto tutta l’opera di Nicolás Guillén, Obra Poética – 1922-1989, Edizioni Il Foglio, 2020. Basterebbe questo per capire la sua grandezza! Un libro monumentale. In Italia, con tutta onestà, dovrebbero apprezzare di più Gordiano Lupi.

“L’unico sogno che ho è quello di essere ricordato come una brava persona.”

Tiziano Thomas Dossena: Sei anche il direttore della collana poesia per le «Edizioni Il Foglio». Curi tutte le edizioni di poesia, allora? Trovi che  la poesia sia ancora viva nel DNA umano?
Fabio Strinati: Curare la collana “Poesia” per Il Foglio Letterario significa a tutti gli effetti arricchire ed ampliare il proprio bagaglio culturale. Il tutto, assomiglia come ad un enorme contenitore dove le più variegate energie dell’Universo si tengono per mano con naturalezza assoluta. Poi… sicuramente, tutto questo è possibile proprio perché la poesia è viva, fertile e vivace. Venire a contatto con molteplici sensibilità e sfaccettature è come andare in luna di miele con la poesia, che in fin dei conti, alberga nelle più nobili profondità del cuore umano.

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Nei cinque sensi e nell’alloro

Tiziano Thomas Dossena: Il tuo ultimo libro di poesie, “Nei cinque sensi e nell’alloro” (Edizioni Il Foglio, 2021) porta in sé una rilevanza emotiva particolare. Potresti parlarne?
Fabio Strinati: Si tratta una raccolta poetica-spirituale che nasce da un bisogno irrefrenabile di raccontare un dolore forte vissuto con il cuore in mano e la penna come compagna di un viaggio, a tratti sterminato; brevi poesie-preghiere che portano in superficie il dono della parola come testimonianza rara di una storia eterna. Versi che portano il peso di un dolore interminabile. Come fosse un lungo percorso illuminato dai fari d’una rinascita figlia della Vita, ogni poesia è pregna d’una Fede rara, che si manifesta con sincerità assoluta.

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Tiziano Thomas Dossena: Hai pubblicato in totale ben 21 libri, un fenomeno quasi ultraterrestre, considerando la tua età. Sono tutti libri di poesia? Parlane un po’, per cortesia…
Fabio Strinati: Sinceramente non li ho mai contati, ma sapere che sono 21, un po’ mi spaventa! Sono libri di poesia, pensieri, aforismi, sperimentazioni, preghiere; ho una spiritualità molto accentuata e questo mi porta ad approfondire alcuni lati di me che sono in qualche modo nascosti là, proprio negli abissi dell’animo umano. Ogni libro scritto, realizzato e pubblicato, per me, non rappresenta altro che un punto di inizio; mi piace ragionare come se stessi immerso dentro ad un lunghissimo viaggio; una lunga e sterminata strada dove è possibile viaggiare, scrutare, adocchiare ed infine, sostare con libera pazienza; i miei libri sono come delle macchie scure nel bel mezzo di un prato verde.

“…per me comporre risulta essere assolutamente vitaminico…”

Tiziano Thomas Dossena: Come musicista e compositore hai pubblicato per la Ema Vinci – L&C il disco dal titolo: “Chiaroscuro estemporaneo – Nel DNA il suono”. Che tipo di musica è? Intendi continuare a comporre musica?
Fabio Strinati: Per quanto riguarda il disco, si tratta di un lavoro che pone al centro di tutto l’identità del suono come lungo viaggio all’interno di un labirinto magico e sonoro. Ambienti nebulosi, stanze che si muovono nel “qui e ora” dando voce e spazio ad un canto libero in grado di diffondersi in un’immaginazione sconfinata. Ogni brano, possiede la sua forma, unica ed irripetibile; pennellate musicali che nascono da un’esigenza di mettersi a nudo attraverso la poetica del pianoforte. Un disco in grado di permeare l’anima degli ascoltatori (quelli più attenti) attraverso un dialogo continuo tra la nota musicale e il “tutto” che la circonda. Un disco di musica classica/contemporanea-sperimentale. La verità, è che per me comporre risulta essere assolutamente vitaminico: continuerò a farlo fino a quando nelle mie vene scorreranno i notturni di Chopin e gli Improvvisi di Schubert!

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Tiziano Thomas Dossena: Insegni anche pianoforte. Qual è la passione che è nata prima, la musica o la poesia? Visto che scrivi anche testi per canzoni, devo dedurre che queste due arti si complementano in te. Vorrei sapere, però, se a volte sono in concorrenza con la tua psiche, cioè se trovi che una sia più preponderante dell’altra in te?
Fabio Strinati: Musica e poesia sono sempre state dentro di me, fin dalla nascita. O almeno credo, e… tuttora, penso che l’una abbia bisogno dell’altra e viceversa. Anche se… quasi subito abbandono questa tesi un pochino strampalata. In realtà, sia la musica, sia la poesia, hanno il pieno diritto di vivere la propria vita, la propria identità e la propria dimensione, come tutto d’altronde: l’individualità come creatura unica ed irripetibile.

Tiziano Thomas Dossena: In genere, che cosa ti stimola a scrivere una poesia?
Fabio Strinati: L’irrequietudine che alberga dentro di me, proprio nella parte più profonda. La poesia, è al pari di una pastiglia per me: è pura ed essenziale terapia.

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Tiziano Thomas Dossena: E come inizia invece il processo creativo della tua musica?
Fabio Strinati: Di solito, tutto inizia dal silenzio. Uno stato di meditazione che fluttua al ritmo di un’esigenza permanente e costante; m’immergo nell’Universo e ragiono in maniera quadridimensionale. Metto in moto un meccanismo dove frequenze e sintonizzazioni si tengono per mano all’interno di un valzer cosmico; penso ai suoni e alle note, come fossero dei lampi gamma all’interno di uno spaziotempo (o cronòtopo) in grado di penetrarmi senza trovare resistenza alcuna.

Tiziano Thomas Dossena: Hai progetti in lavorazione?
Fabio Strinati: Sto mettendo in piedi con assoluta scrupolosità e passione, insieme a Maurizio Sinibaldi, uno spettacolo teatrale di musica e poesia da realizzare a Roma, in memoria di Gabriele Galloni, giovane poeta scomparso prematuramente lo scorso settembre. Sono poesie che fanno parte di una mia raccolta inedita dal titolo “Notturni”; testi un po’ torbidi e nebulosi, che una volta pubblicati in una silloge, saranno dedicati proprio a Gabriele. Sto lavorando molto sulla musica, che… ahimè, sarà anch’ella abbastanza torbida, e vagamente nebulosa.

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Tiziano Thomas Dossena: Sogni nel cassetto?
Fabio Strinati: L’unico sogno che ho è quello di essere ricordato come una brava persona.

L’Idea Magazine: Se tu potessi incontrare un personaggio del passato o del presente, qualsiasi persona, chi sarebbe e quale domanda porresti?
Fabio Strinati: Sicuramente Walt Whitman, e senza mezzi termini né troppi giri di parole, gli direi (con semplicità e sincerità assoluta): “Mio caro Walt, ma da dove diavolo è saltato fuori tutto quel coraggio che ti ha portato a scrivere un capolavoro assoluto come Foglie D’Erba? (Leaves Of Grass)”. Sì perché… oltre ad essere una penna eccezionale, per partorire un libro come quello bisogna avere anche (e soprattutto), una buona dose di coraggio! Siamo nel 1855! Davvero pazzesco! Semplicemente un genio.

Tiziano Thomas Dossena: Un messaggio per i nostri lettori?
Fabio Strinati: Cercate la Pace, e soprattutto, ricercate il bene, perché… soltanto così sarete davvero liberi.

BIBLIOGRAFIA

  • Pensieri nello scrigno. Nelle spighe di grano è il ritmo, 2014, Edizioni Il Foglio.
  • Un’allodola ai bordi del pozzo, 2015, Edizioni Il Foglio.
  • Dal proprio nido alla vita, 2016, Edizioni Il Foglio.
  • Al di sopra di un uomo, 2017, Edizioni Il Foglio.
  • Periodo di transizione, 2017, Bibliotheca Universalis.
  • Aforismi scelti Vol.2, 2017, Edizioni Il Foglio.
  • L’esigenza del silenzio, 2018, Le Mezzelane Casa Editrice.
  • Sguardi composti… e un carosello di note stonate, 2018, Apollo Edizioni.
  • Quiete, 2019, Edizioni Il Foglio.
  • Concertino per melograno solista, 2019, Apollo Edizioni.
  • Discernimento atrabile, 2019, Macabor Editore.
  • Lungo la strada un cammino, 2019, Transeuropa Edizioni.
  • La Calabria e una pagina, 2020, Meligrana Editore.
  • Toscana – Venezia solo andata, 2020, Calibano Editore.
  • Obscurandum, 2020, Fermenti Editrice.
  • Oltre la soglia, uno spiraglio, 2020, Edizioni Segreti di Pulcinella.
  • Frugale trasparenza, 2020, Edizioni Segno.
  • Anime tranciate, 2020, CTL Editore Livorno.
  • Aforismi in un baule, 2021, Edizioni Segreti di Pulcinella.
  • Nella valle d’Itria il sole e l’oro, 2021 Nuova Palomar Editore.
  • Nei cinque sensi e nell’alloro, 2021, Edizioni Il Foglio.