“American Eclipses”
di Flavia Pankiewitz
Pubblicato su L’Idea N.14, VOL. II, 2002, NY
Molto spesso, nell’osservare un dipinto o nel leggere una poesia, s’intuisce il sesso della mente creatrice attraverso l’analisi dei vari dettagli. Siano essi i colori pastello, fusi senza estremi contrasti, o la scelta del tema (fiori, paesaggi o simbolismi eterei) dei loro quadri oppure la sensibilità del contenuto lirico appaiata ad uno stile particolare che traspira di tocchi prettamente femminili, questi prodotti sono riconosciuti per opere caratteristiche del mondo della donna; anche gli estremi, a volte sgradevoli, versi di alcune femministe sono chiaramente riconoscibili, forse per una ragione opposta, vale a dire un’assenza di delicatezza.
Non è una regola, ma un’osservazione che trova molto spesso riscontro nella realtà della vita artistica.
Il libro di poesie American Eclipses, di Flavia Pankiewicz, non rientra in queste generalizzazioni. Tradotto a fronte da Peter Carravetta con una metodologia ferrea che ha saputo ritenere il gusto della creazione originale, questa raccolta di poesie, la prima dell’autrice, è un canto d’amore per New York. Non ci sono sdolcinature o ricercatezze da esteta, bensì uno stile immediato, conciso, pungente, con un ritmo tutto suo, frenetico ma non irritante. Le sue poesie sono paragonabili a dei piccoli quadretti espressionisti, con la loro potenza che non è rintracciabile ad un’eccessiva descrizione grafica, bensì all’effetto d’insieme ottenuto attraverso un particolare accostamento delle masse cromatiche. Così le sue parole scorrono in un effluvio a volte apparentemente irrazionale, quasi come fossero commenti indipendenti dal resto della poesia, ma sempre riescono nella loro amalgama a dare al lettore un’impressione ben chiara di ciò che il poeta ha provato. Le parole sono immagini e le immagini sensazioni.
La prima parte del libro, NEW YORK 549 DAYS AND 18 MINUTES, esprime la passione che il poeta sente per questa città universale. I versi sono impregnati di ammirazione, a volte paiono confinare con l’adorazione:
…Manhattan toglie il respiro.
È bella, d’una bellezza inspiegabile
L’inconsapevolezza della vita… ( pag.16)
e poi ancora:
…E il Tappan Zee e il George Washington Bridge,
Dileguati nelle foschie della pioggia,
Ricompaiono
Con profili di fiammelle
Che scandiscono traiettorie nel buio.
Perfetto, troppo perfetto… (pag.30)
Nella seconda sezione, American Eclipses, che presta il nome al libro, Pankiewicz si vendica di quello che a lei appare un tradimento, ma che è in realtà la realizzazione della possibile brutalità della vita in una grande metropoli. I titoli delle poesie dicono molto: Trappole, Belve Nel Tempo, Esodo, ecc.. La poesia Veleno è forse la più eloquente al proposito:
Ditemi chi ha versato un filtro magico nel mio vino,
chi ha trasformato in una visione di sogno
il profilo eclettico di New York.
Voglio sapere chi ha acceso i lumini luccicanti
In tutte le strade del Village,
chi ha ricoperto di rose rosse i tavoli dei ristoranti.
Fatemi conoscere l’autore della colonna sonora,
il regista,
chi ha scritto i testi.
Ditemi chi ha scelto i costumi
E il cielo di cartone
E chi ha acceso una lampadina elettrica dietro la luna.
E per favore, per favore,
fate che io sappia il nome, il nome,
di chi ha portato il veleno sulla scena.
Veleno mortale nel mio cibo.
Veleno che ha gelato il sangue.
Membra paralizzate.
Ibernazione della mente e del cuore.
Un istante. È bastato un istante.
Veleno.
La metamorfosi, la realizzazione, la rinascita del rapporto con New York sono i passaggi obbligatori di questa sezione che termina con la poesia omonima, dalla quale mi pare indispensabile offrivi questo passaggio:
E sentirò con gioia la morsa del sole
in estati torride,
senza bruciarmi.
E il buio non sarà un tunnel a senso unico
Perché tutte le direzioni condurranno alla luce.
Nulla può più temere
Chi ha attraversato un’eclissi.
Un’eclissi è dunque la descrizione di questo rinnovamento dei propri sentimenti verso questa megalopoli. Parola ben dosata che ci rammenta che tutte le passioni affrontano, prima o poi, una fase di oscuramento, di necessaria trasformazione o evoluzione, dalla quale si esce con una nuova visuale, una nuova concezione che ci permette di continuare la nostra vita, altrimenti disturbata dall’eccessivo trasporto che questa passione suscita.
Un libro energico nel contenuto ed esplicito nel messaggio, con uno stile sciolto e gradevole che certamente conquisterà i nostri lettori. Congratulazioni da parte di tutta la redazione alla collega Pankiewicz per questa sua nuova pubblicazione.
Flavia Pankiewicz ha al suo attivo due altri volumi, Cavalli e Cavalieri (1988) e Border to Border (1988).